Le giornate in Sicilia sono sempre belle e piove di rado. Sebbene le stanze della mia casa siano sempre ben ventilate, una passeggiata all’aria aperta, specie nelle prime ore del mattino, quando la temperatura è ancora sopportabile, risulta davvero piacevole e rilassante.
La spiaggia vicino a casa è davvero splendida, fatta di sabbia scura di origine vulcanica e abbastanza lunga perché si possa camminare a lungo. Mentre la percorro con Cristina, a piedi nudi per godere della deliziosa freschezza del bagnasciuga, faccio ordine tra i ricordi e proseguo il mio racconto.
Il vescovo Adriano, futuro Papa Adriano I, era un uomo straordinario e mi bastò il tempo del viaggio in carrozza assieme a lui per accorgermene. Aveva passato da poco i quarant’anni ma la sua mente era fresca e attiva come quella di un ragazzino. Mentre attraversavamo l’ex Gallia, ora regno dei Franchi, l’ecclesiastico studiava preparativi ed azioni da compiere non appena fosse giunto a Roma. Parlammo molto anche della mia vita, di quella plausibile almeno, e del perché portassi con me una spada.
-Un tempo sono stato un guerriero, Eccellenza-, spiegai quando mi pose quella domanda, mentre percorrevamo un sentiero che si perdeva in sterminati campi di grano. –Quella spada, sebbene a volte abbia desiderato di liberarmene, è l’unica cosa che mi lega al mio passato e porta con se molti ricordi.-
-Allora hai fatto bene a tenerla, fratello Khalàd-, mi disse lui. –E’ giusto voler intraprendere nuove strade, specie se portano a Cristo, ma non bisogna mai dimenticare chi siamo stati. Sarebbe come negare l’esistenza di una parte di noi stessi.-
-Eccellenza-, intervenne fratello Egisto. –Non crede che il nome del nostro nuovo fratello, e il suo aspetto soprattutto, possano allarmare qualcuno a corte? I mori d’Africa in fondo sono ancora pagani e…-
-Che cos’ha il mio nome che non va?- domandai un po’ seccato al monaco calvo.
-Nulla, fratello…- si affrettò a dire il frate. –E’ solo che…-
-Fratello Egisto voleva dire che ci sono membri della corte papale, persone con cui avremo spesso a che fare in futuro, che considerano i tuoi conterranei degli esseri inferiori-, mi spiegò senza tanti giri di parole Adriano. –E’ gente che non esiterebbe un istante a radunare un esercito e a mandarlo a sottomettere e convertire a forza la tua gente. Il tuo nome così… straniero… beh, ecco, potrebbe metterli a disagio.-
-E voi non volete averli tra i piedi per una sciocchezza simile, Eccellenza-, conclusi io per lui.
Il vescovo fece un mezzo sorriso e annuì. –Vedo che comprendi al volo, Khalàd.-
-Non è un problema. Lo cambierò. Ne assumerò uno un po’ meno da “forestiero”.-
-Abbiamo tutto il tempo per pensarci. A Roma mancano ancora diversi giorni di viaggio.-
-Non eri mai stato a Roma prima di allora, vero nonno?-
-No. L’avevo combattuta, ne avevo ammirato la civiltà a volte, ma non ci ero mai stato. Non era più la città imperiale di cui tanto avevo sentito parlare. Roma era diventata la città del Papa, da esso governata, e con lei i suoi diretti possedimenti. Il centro del potere non era più il palazzo imperiale in rovina del Palatino ma la Basilica Costantiniana del Vaticano, costruita sopra la tomba di Pietro.-
-Come fu scelto Adriano per divenire il nuovo Papa?- mi chiede lei, nonostante io sia sicuro che conosca bene come funzionassero le cose a quel tempo, all’interno della Chiesa.
-Tanto per cominciare era di famiglia nobile ed influente. Poi era il pupillo di un altro nobile anziano della corte papale che aveva molta influenza sulle candidature. In più, albergava nelle grazie del re dei Franchi, Pipino il Breve, cosa di fondamentale importanza visto che i re di quel popolo avevano giurato di difendere il Papato in caso di attacco.-
-Desiderio, il re dei Longobardi. Lui era la minaccia-, commenta Cristina osservando le impronte dei suoi piccoli piedi che rimangono sulla sabbia umida al suo passaggio.
-Si-, confermo. –Ma non corriamo troppo.-
Roma, la Città Eterna. Non è un soprannome esagerato perché la sua grandezza dava per davvero l’idea di qualcosa di intramontabile, di eterno, fin dall’antichità. Vedere quell’immenso abitato da lontano, mentre la carrozza percorreva una strada collinare in discesa, fu un’emozione indescrivibile.
-E davvero enorme-, commentai. –Non avevo mai visto una città tanto grande.-
-E’ solo un ammasso di pietra e mattoni, fratello Khalàd. Ciò che rende una città piccola o grande sono i suoi abitanti.-
-E Roma è dunque un città piccola o grande, in tal senso?- domandai, in modo da spingerlo a rivelare ciò che pensava di coloro che la governavano, la corte papale che a breve avrebbe presieduto.
-Al momento è piccola, ma ho il grande desiderio di farla tornare immensa.-
-Se mi permettete, siete un uomo ambizioso, Eccellenza-, azzardai. -Ho conosciuto altri come voi, con grandi propositi, ma che poi hanno ceduto agli eventi.-
-Hai ragione da vendere, amico mio. Tuttavia non siamo noi a decidere il corso degli eventi, ma Nostro Signore. Se Egli deciderà diversamente dai miei piani, allora sarà fatta la Sua volontà.-
Sembrava un discorso di comodo ma non detto da lui. Per quanto poco lo conoscessi, potevo affermare con sicurezza che il vescovo Adriano aveva un carisma unico e una grande fiducia nei suoi mezzi.
-Ho pensato ad un nuovo nome da assumere, Eccellenza. Mi chiamerò come un caro amico, un confratello di Grelòn che mi ha insegnato l’arte della miniatura. Veniva anche lui dall’Italia. Si chiamava Callisto. Il suono è simile a quello del mio vero nome, così mi sembrerà di essere ancora io.-
-Non è un nome che ci cambia, sono le esperienze-, affermò il futuro papa. –Apprezzo molto il tuo gesto e trovo il nome adeguato… fratello Callisto.-
Così cambiai nome ed entrai per la prima volta in Roma come Callisto di Uruk, anche se con il tempo esso divenne Callisto l’Uruchese ed, infine, Callisto Uruchese. Adriano aveva ragione. Alla corte papale non amavano molto gli stranieri, specie quelli che venivano dal medioriente. Li chiamavano indistintamente saraceni o mori.
-E’ così che è nato il nostro cognome?! Uruchesi!?- mi domanda Cristina molto sorpresa.
-Si, è stato così. Nel tardo Medioevo venivo chiamato Callisto degli Uruchesi. In seguito, soltanto Uruchesi.-
-Non credo ci siano molte persone al mondo che conoscano l’origine esatta del loro cognome.-
-Direi proprio di no-, le rispondo sorridendo.
Nello stesso anno del mio arrivo a Roma, neppure un mese dopo per la verità, il vescovo Adriano salì al soglio pontificio come Papa Adriano I ed iniziò immediatamente la sua opera di rafforzamento della Chiesa di Roma. Fratello Egisto era il suo faccendiere e segretario personale, mentre io assunsi il ruolo di scrivano. Redigevo gli atti papali, trascrivevo le conversazioni importanti e custodivo una piccola stanza, attigua al mio nuovo studio, dove erano conservati molti antichi atti risalenti anche all’età imperiale.
Un giorno, mentre scrutavo con attenzione gli scaffali colmi di scritti, alcuni dei quali su tavolette di argilla, altri su pergamena, fui sorpreso alle spalle proprio dal mio “datore di lavoro”.
-Qui ci sono molti documenti interessanti-, commentò il Papa affiancandosi a me.
-Molti documenti pericolosi, se mi permettete, Santità-, specificai sottintendendo i segreti che alcuni di quegli scritti contenevano. –Non mi pare il luogo adatto per conservarli, e neppure la maniera.-
-Hai proprio ragione, Khalàd-, disse Adriano annuendo pensieroso. Quando eravamo soli usava sempre il mio vero nome, forse per aiutarmi a ricordare chi ero veramente. –Pensi di essere in grado di catalogarli e trascriverli, in modo che il tempo non li danneggi, e nel contempo siano più facili da occultare in caso di bisogno?- Era una domanda innocente ma per me risultò quasi un insulto. Io, che avevo creato la Grande Biblioteca di Alessandria, non essere capace di archiviare quella poca roba? Inaudito.
-Naturalmente. E se mi permettete un piccolo suggerimento, io terrei lontano da qui fratello Egisto. Sembra ami un po’ troppo il pettegolezzo e questa corte ne è avida. Potrebbe rivelare cose inopportune.-
-Diretto come sempre, amico mio. Si, ho notato anch’io questa propensione del mio segretario alla poca discrezione. Vedrò di porvi rimedio.-
-Cosa c’era in quegli scritti?-
-Molte cose. Dai vangeli apocrifi ai documenti del primo Consiglio di Nicea. C’erano inoltre molti atti papali in cui si parlava di provvedimenti disciplinari, molti di essi contro ecclesiastici traditori e rei di altre nefandezze. Il marciume della Chiesa, in parole povere-, spiego senza mezzi termini.
-Il primo Consiglio di Nicea è definito l’evento che ha dato un’identità alla Chiesa ufficiale. Fu davvero così?- mi chiede mia nipote con noncuranza. In verità vuole strapparmi qualche informazione in più su quei documenti che furono il primo nucleo degli odierni Archivi Vaticani. Ammiro davvero la sua perspicacia e intraprendenza.
-Ti posso solo dire che, leggendo il resoconto delle discussioni di quei giorni, fu la più grande litigata della Storia, fatta da uomini ipocriti che pensavano di conoscere e comprendere l’insegnamento di Gesù meglio degli altri. Il Consiglio di Nicea non fu l’origine della Chiesa ma la fondazione di uno stato ecclesiastico che avrebbe dominato per secoli, direttamente o indirettamente, su tutta l’Europa. Un’entità molto più terrena e materiale di quanto si possa immaginare.-
-E Papa Adriano, di cui avevi una gran considerazione, che ne pensava?-
-Ne era pienamente cosciente e proprio per questo lo ammiravo. Negli anni in cui sono stato al suo servizio, mai una volta si è nascosto dietro alla “missione spirituale” della Chiesa di Cristo per giustificare atti ben poco ortodossi da lui ordinati. La corte papale era un nido di serpi, ma lui era un abile incantatore e sapeva tenerle a bada con maestria.
La corte papale era composta dai rappresentanti di molte nobili famiglie romane e non. Ufficialmente fungevano da ambasciatori dei poteri terreni alla corte del Papa. In realtà erano degli avvoltoi pronti a cogliere la minima informazione per girarla a proprio vantaggio, o del potentato che servivano. I cardinali, gli uomini di rango più elevato della Chiesa, all’infuori del Papa, non erano da meno. Una cerchia ristretta di grassi parassiti che passavano il loro tempo ad escogitare mezzi per accumulare maggiori ricchezze e potere. Da loro imparai un’arte degna dei ninja, per quanto era effimera. La capacità di ottenere potere pur mostrando continuamente il proprio volto spirituale, quello dell’uomo di Dio. Il Papa, naturalmente, sapeva bene come funzionavano le cose a corte ma, finché i cardinali e gli altri frequentatori della sua casa erano indaffarati nelle loro solite occupazioni, non lo intralciavano nei suoi progetti, che lui portava avanti segretamente con l’ausilio di una “corte ombra”, il vero governo della Chiesa. Adriano era solito dire una frase per spiegare i mezzi con cui il clero perseguiva i suoi scopi e si rafforzava. “Il confine tra cielo e terra è molto sottile e spesso se ne perde traccia.” Era una frase con molti significati che riassumeva il modo di pensare di quell’ambiente, anche se la maggior parte dei giocatori di quella partita si trovavano dalla parte terrena del confine.
Oltre a me e a fratello Egisto, c’era un’altra persona in stretta confidenza con il Papa. Era un frate di una trentina d’anni, di corporatura minuta, che viveva in un vicino convento. Si chiamava Leone e spesso Adriano gli affidava importanti missive da recapitare a potenti locali, oppure lo affiancava a qualche cardinale nelle missioni diplomatiche. Da quel poco che lo conoscevo mi sembrava la persona più pia e insignificante del mondo.
-Leone ha capacità e qualità che neppure immagini, amico mio-, mi disse un giorno il Papa, mentre pulivo degli scaffali dell’archivio per riporre i primi volumi che la mia catalogazione aveva prodotto. Stavano nascendo gli Archivi Vaticani. Veniva spesso a trovarmi. Sembrava rilassarsi in quel luogo polveroso dove io regnavo e dove, per un po’ di tempo, potevamo essere semplicemente due uomini che parlavano.
-A vederlo non si direbbe. Talvolta non si nota neppure la sua presenza-, obiettai riferendomi al piccolo frate.
-E ti sembra poco? Leone passa inosservato ovunque. E’ discreto e, soprattutto, è un attento osservatore. Sa valutare le persone e trovarne pregi e difetti. Nonostante parli poco, è un politico nato e sono sicuro che un giorno lo dimostrerà.-
-Ne parlate come di un figlio-, buttai li per cercare di capire meglio il rapporto che legava il Papa al fraticello.
-Lo considero più un allievo. In questo momento mi sta dando un enorme aiuto nel tessere la tela diplomatica che servirà a difendere Roma dalla minaccia dei Longobardi.-
-Desiderio è sul piede di guerra? Non ne sapevo nulla-, commentai senza neppure guardare il capo della Chiesa.
Scoppiò a ridere. –Povero Khalàd-, mi disse allegro. –Per quanto tu tenti di nasconderla o di soffocarla, la tua indole di guerriero è sempre ben presente in te.-
-Che intendete dire?- gli chiesi serio voltandomi a fissarlo negli occhi.
-Che puoi vestirti con il saio e portare la croce per tutta la vita, ma dentro di te sarai sempre un combattente. Credi che non sappia che ti fermi spesso ad osservare le mappe del mio studio, facendo ipotesi e piani di difesa per Roma in caso di attacco? I commenti che fai con gli inservienti dei miei appartamenti ti tradiscono. Tu sei un guerriero, Khalàd. Lo sei sempre stato e sempre lo sarai-, mi disse serenamente alzandosi in piedi per andarsene. –Il che, per Roma e per la Chiesa, potrebbe davvero essere un bene.-
-La situazione è così grave?- gli chiesi direttamente mentre usciva dall’archivio.
-Si-, rispose lui serio tornando a voltarsi. –Desiderio muove i suoi eserciti. Ha fatto piazza pulita dei duchi Longobardi che gli erano ostili e ci ha praticamente circondato. La corte franca è in subbuglio. Pipino il Breve è morto e ha lasciato il potere al figlio più giovane, Carlomanno. Egli non intende rispettare il patto di alleanza tra i re franchi e il Papato.-
-Ho sentito parlare dei figli di Pipino. In particolare di Carlo, il maggiore. Un uomo devoto, intelligente e ambizioso. So che si è risentito molto per la sfiducia paterna.-
Adriano si accigliò. Rientrò nell’archivio e richiuse la porta alle sue spalle. –Sai molte cose, Khalàd. Immagino tu abbia le tue fonti. Cosa suggeriresti di fare? Da soldato, intendo.-
-Sfruttate l’orgoglio di Carlo. Inviategli una delegazione, nei suoi domini a nord, e chiedetegli di mantenere il patto con il Papato. Appoggiatelo apertamente.-
-Lo metterei contro il fratello-, obiettò il Papa.
-Si scontreranno comunque. Si creerà tensione, è vero, ma è Carlo l’unico vero scudo che abbiamo contro Desiderio.-
-E’ una mossa rischiosa ma è l’unica sensata che mi sia stata proposta finora-, commentò Adriano iniziando a camminare avanti e indietro per la stanza. –Farò come hai detto. Manderò uno dei cardinali con lo scopo ufficiale di ammonire Carlo per la sua vita non proprio retta, per salvare le apparenze.-
-E gli affiancherete Leone con il vero messaggio. La richiesta di aiuto.-
-Esatto-, disse il Papa annuendo.
-Il Leone di cui parli, non sarà per caso…-
-Il futuro Papa Leone III. Si, è lui, e non è stato da meno del suo maestro.-
-Come mai un uomo così umile è potuto salire al soglio pontificio?-
-Nessuna regola lo vietava. Generalmente, venivano eletti uomini provenienti da famiglie nobili per il fatto che dovevano esercitare molto potere. Si optava quindi per coloro che avevano dimestichezza con quest’arte, che sapevano comandare.-
-E nel caso di Leone?- mi domanda Cristina sempre più catturata dalla mia spiegazione.
-La corte papale era, come detto, un covo di vipere e di parassiti. Non avendo un candidato forte da proporre, appoggiarono il testamento di Adriano che indicava il suo fedele assistente come papabile. Chiaramente, immaginavano che una persona tanto insignificante sarebbe stata un fantoccio molto semplice da manovrare. Come si sbagliavano.-
La delegazione partì due giorni dopo, diretta alla residenza di Carlo, re minore dei Franchi. Doveva fare in fretta perché i Longobardi potevano attaccare da un momento all’altro. La mano divina venne in nostro aiuto perché, al suo ritorno, l’ambasceria vaticana portò la notizia della morte, avvenuta in circostanze misteriose, di Carlomanno. Qualcuno malignò che fosse stato fatto avvelenare dal fratello. Carlo diveniva in questo modo l’unico re dei Franchi.
-C’è una questione che potrebbe ancora porsi tra re Carlo e i Longobardi-, riferì Leone la sera del suo arrivo, dopo che Papa Adriano ebbe ascoltato il pomposo resoconto del cardinale fantoccio inviato al re dei Franchi. Ci eravamo ritirati tutti e tre nello studio privato del Santo Padre.
-E sarebbe?- domandò il capo della Chiesa offrendoci personalmente una coppa di buon vino di Sicilia.
-Desiderio ha tentato di tessere una sorta di alleanza con i Franchi, concedendo le sue figlie in matrimonio a Carlomanno, al potente duca Tassilone di Sassonia e a Carlo stesso. Ermengarda, la sposa di Carlo, potrebbe essere il problema.-
-Speriamo non si intrometta o dovrà ripudiarla-, commentai amaro. Scacciare una donna, una moglie, era un atto che consideravo davvero squallido, specie per fini politici. Tuttavia, per quegli stessi interessi, era possibile evitare guerre o vincerne altre tramite l’allontanamento di una donna ingombrante.
-Il re farà ciò che Dio vuole-, sentenziò Adriano molto serio. -Desiderio è pronto ad invaderci dalla sua capitale, Pavia. Solo il grande esercito franco può fermarlo. Carlo e i suoi famosi Paladini devono accorrere in nostro aiuto.-
-Paladini?- domandai senza capire di cosa parlasse. –Chi sono?-
-Sono amici d’infanzia di re Carlo. Abili combattenti e condottieri-, mi spiegò Leone che evidentemente li aveva conosciuti. –Il più famoso e il più forte è Rolànd, che noi chiamiamo Orlando, il nuovo Duca di Bretagna. Lui e la sua spada “Durlindana” sono diventati leggenda tra il popolo.-
-Non importa se siano le leggende a combattere per noi-, esclamò cinicamente Adriano. –L’importante è che lo facciano.-
Carlo fece ciò che doveva. Si pose tra i Longobardi e il Papato e questo fece insorgere la sua sposa che venne puntualmente ripudiata. Assediò Pavia nell’anno 774 d.c., sebbene i suoi eserciti dovettero combattere anche contro le esalazioni venefiche e i fastidiosi insetti delle paludi che attorniavano la città. Molti morirono di malattia ma questo non fermò Carlo che, alla fine, guidando personalmente una sortita notturna dei suoi paladini, Desiderio fu fatto prigioniero e Pavia cadde.
-Nulla che non si sapesse già-, commenta Cristina fermandosi a osservare il mare, le cui onde le bagnavano i piedi.
-Vero. Tutti fatti noti, almeno in via generali.-
-Che intendi dire?-
-Nella vicenda dell’ascesa al potere di Carlo Magno, ci sono molte sfumature che vengono spesso messe in secondo piano. Per esempio, si crede che Papa Adriano abbia accettato passivamente il fatto che il re franco si fosse proclamato anche re dei Longobardi, dopo la presa di Pavia. Che si sia accontentato delle briciole senza proferire parola.-
-Se ben ricordo, il patto tra il Papato e i Franchi non prevedeva ciò.-
-Per niente. Adriano osteggiò fino alla fine questa decisione ma dovette cedere. Carlo non era sceso in Italia solo per gli impegni presi dai suoi avi ma, soprattutto, per avere un tornaconto personale, ampliando i suoi domini e dando soddisfazione alla sua segreta aspirazione di diventare signore di un impero.-
-Lo conoscesti? Carlo Magno, intendo.-
-Si. Mi fu presentato di sfuggita durante una sua breve permanenza a Roma. Ebbi modo di conoscerlo meglio in seguito, quando andai da lui per salvare il mio amico Leone.-
-Salvarlo?-
La conquista di Pavia aveva letteralmente messo fine al dominio longobardo sul nord e centro Italia, e di questo il Papa non poteva che esserne felice. Tuttavia, l’annessione al regno dei Franchi di molti dei territori conquistati, aveva messo in evidenza il fatto che Carlo si limitava a rispettare il potere della Chiesa, ma non vi si sottometteva.
-Quei possedimenti dovevano essere nostri!-, esclamò Adriano irritato mentre attendevamo l’arrivo del re franco e dei suoi paladini. L’intera basilica era in subbuglio fin dalle prime ore del mattino ed era solo mezzogiorno. Re Carlo entrava a Roma per rendere omaggio al Papa, da conquistatore vittorioso, e questo era un grande evento, sia per i cittadini romani che per il clero. Sebbene i dignitari della corte fossero divisi sul conto del re d’oltralpe, in quel momento si limitavano a festeggiare lo scampato pericolo, quello più immediato.
-Re Carlo non sarà mai una Vostra pedina-, sentenziò Leone mentre aiutava il capo della Chiesa a sistemare la veste. –Nutre rispetto per ciò che rappresentate ma persegue i suoi scopi personali.-
Oramai eravamo io e il piccolo frate i veri consiglieri del Papa, sempre con lui in ogni occasione. Ci eclissavamo soltanto nelle occasioni pubbliche, in modo da salvare le apparenze e permettere ai cardinali di mettere in mostra le loro belle porpore.
-Potrebbe non essere un problema-, intervenni nella discussione.
-Callisto. Se hai un’idea per rivoltare le posizioni dimmela in pochi minuti. Non mi va di parlamentare con il re in una posizione di svantaggio-, affermò Adriano davvero agitato. La situazione non gli piaceva perché sapeva che la trattativa tra il franco e il Papato, sulla spartizione del “bottino” di guerra, era favorevole al primo. Carlo aveva si rivendicato i domini Longobardi e la corona di Pavia, ma senza l’appoggio del Papa sarebbero sempre stati visti come acquisizioni illecite.
-Re Carlo vi rispetta. Usate questa leva per controllarlo, senza che lui se ne accorga.-
-Controllarlo?- domandò Leone sorpreso. –E’ già tanto se Sua Santità riesce ad ottenere per la Chiesa i possedimenti del centro dell’Italia.-
-Opponete una moderata resistenza e accontentatevi di poco… per ora-, suggerii. Non che mi interessasse arricchire ancora di più lo Stato della Chiesa. Volevo soltanto aiutare Adriano, proprio per il rispetto che gli portavo. Fin da quando ero stato dignitario alla corte di Alessandria avevo imparato molto sull’arte del compromesso politico. Non che amassi quella pratica, ma ammetto che ci sapevo fare. Il Papa si fece interessato e il suo sguardo divenne interrogativo.
-Continua-, mi disse sedendosi.
-Re Carlo è in una posizione di vantaggio, questo è innegabile. Potrà facilmente avere partita vinta, io credo. Rimane però un prezioso alleato, un potente alleato, che non vi potete permettere di perdere. Vuole il nord dell’Italia? Lasciateglielo, ma al tempo stesso, in cambio, ingabbiatelo. Legatelo alla Chiesa da nuovi vincoli e patti. Fate in modo di indirizzare le sue future scelte a Vostro vantaggio. Forse oggi perderete con lui una battaglia, ma potreste in questo modo vincere la guerra.-
Il capo della Chiesa divenne pensieroso e rimase in silenzio per diversi minuti. Quando parlò si rivolse a Leone. –Tu che ne pensi, amico mio? La via suggerita dal nostro fratello Callisto ti sembra percorribile?-
-Io ritengo di si. Al momento non sarà la più felice ma davvero potrebbe farvi avere, in un prossimo futuro, un maggiore controllo sul re dei Franchi.-
-Sei un uomo pericoloso, Callisto-, mi appuntò il Papa con un mezzo sorriso. -Sono felice che tu sia dalla mia parte. Non oso pensare cosa accadrebbe se ti schierassi con la fazione della corte che mi si oppone.-
-Sono felice di esserVi di aiuto, Santità-, risposi con un inchino.
-Davvero fece come gli avevi suggerito?-
-Ma certo. Ne lui ne Leone avevano un’idea migliore. Carlo Magno era troppo potente e influente. Non sapevamo ancora della sua ambizione di diventare imperatore ma riuscimmo a mettergli il freno. Il rischio che, prima o poi, rivendicasse il controllo anche sullo Stato della Chiesa era reale.-
-Com’era lui? Era davvero analfabeta?- mi chiede la mia bambina, evidentemente interessata ad un po’ di “gossip medioevale”.
-Lo era davvero, ma questo non fu mai un vero problema. Talvolta, anzi, si rivelò un grande vantaggio. Molti suoi avversari, per il fatto che non sapeva leggere e scrivere, facevano il terribile errore di considerarlo anche stupido. Carlo non era uno stupido e posso dire che fu davvero il grande sovrano che la Storia ricorda.-
Il re dei Franchi e il suo seguito rallentarono di proposito la loro avanzata verso la Basilica Costantiniana. Evidentemente anche lui aveva fatto i suoi piani per l’imminente confronto politico e, probabilmente, voleva irritare un po’ il Papa per renderlo più vulnerabile. Adriano fu invece paziente. Conosceva bene il suo alleato, soprattutto le sue bizzarrie. Attorniato dai suoi consiglieri ufficiali, un gruppo di anziani cardinali che costituivano il governo dello stato papale, attese immobile l’arrivo dell’ospite in cima alla gradinata che portava all’ingresso della basilica. Io e Leone avevamo avuto il compito di mischiarci ai dignitari di corte e cogliere i loro commenti, le loro lamentele e quant’altro potesse indicare un eventuale schieramento pro o contro il Papa. Da dove mi trovavo, in mezzo ad un gruppo di rampolli di nobili casate romane, potevo vedere il corteo dei Franchi giungere ai piedi della scalinata e ivi fermarsi.
Re Carlo era un uomo piuttosto tarchiato, con le spalle larghe e la testa leggermente sproporzionata rispetto al resto del corpo. Solo la corona e gli abiti regali lo facevano risaltare all’interno del corteo, altrimenti avrebbe davvero potuto sembrare un uomo comune, e questo mi preoccupò. Sembrava un uomo insignificante, proprio come Leone. Temetti che il re dei Franchi fosse fin troppo simile al mio amico. Nel corteo vidi finalmente i famosi Paladini, gli eroi che affiancavano re Carlo in ogni impresa. Riconobbi subito il biondo Orlando, che cavalcava a fianco del sovrano e che sfoggiava con orgoglio l’elsa riccamente decorata della sua spada, Durlindana. L’arroganza del suo sguardo non mi piacque fin da subito e mi ritrovai perfidamente a pensare a quanto sarebbe stato divertente vedere la sua nobile lama scontrarsi con Uragano.
-Tu, naturalmente, non fosti presente al colloquio tra il Papa e Carlo Magno-, suppone Cristina con l’aria un po’ delusa.
-No, ma ascoltai un colloquio molto più interessante. Captai per caso una conversazione bisbigliata tra alcuni dignitari della corte. La parola “Bisanzio” mi mise in allarme. I rapporti tra la Chiesa Romana e il potentato di Bisanzio, impersonato dall’imperatrice Irene, erano da sempre molto tesi. Il fatto che il nome della capitale d’oriente fosse sussurrato da alti rappresentanti della corte papale non era un buon segno. Mi ricordai che avevo una risorsa unica per ascoltare quella conversazione e richiamai a me lo spirito del lupo, una cosa che non facevo da secoli. Pensavo di non riuscirci più ma con mio sommo piacere fui investito subito dall’affinità spirituale con quel nobile animale. Le parole dei dignitari mi divennero chiare all’istante.
-Guarda come si pavoneggia, ora che arriva da vincitore-, disse uno di loro riferendosi a re Carlo. –Quel povero analfabeta è stato davvero fortunato e ora avrà molte pretese. Il Papa cederà sicuramente.-
-Speriamo di no. La corte di Bisanzio si irriterebbe molto se il porco franco dovesse accumulare ancora potere-, rispose un altro.
-Limitiamoci a riferire cosa accade, poi saranno i nostri amici d’oriente a dirci come muoverci-, esclamò un terzo.
-E’ pericoloso, Alderigo. Se ci chiedessero di interferire con gli affari del Papa…-
-Basta! Non lo faranno, non preoccupatevi. Sanno bene che per mettere le mani su Roma devono prima togliere dai giochi i Franchi. La proposta di un’alleanza strategica tra l’imperatrice e re Carlo è già in fase avanzata.-
Avevo sentito abbastanza quindi mi allontanai. Anche se li vedevo di spalle avevo capito chi erano i tre cospiratori. Il più anziano era Alderigo di Riverosse, un ricco possidente che discendeva da una delle famiglie più aristocratiche di Roma. Si diceva persino che il suo casato fosse legato ad una delle famiglie imperiali che avevano governato su Roma nei tempi antichi. Gli altri due erano degli arricchiti introdotti a corte dallo stesso Alderigo. Germano degli Acquaroli e un hispanico, Fernando di Burgos, un influente ex mercante che aveva affari, talvolta poco puliti, sia con i cristiani che con i mori che occupavano gran parte della sua terra natale.
-Ma non erano il Papa e i cardinali a prendere tutte le decisioni sul governo di Roma e dei suoi possedimenti? A cosa serviva una “corte papale”?- mi chiede Cristina, non comprendendo chiaramente l’articolata organizzazione dello stato pontificio di quell’epoca.
-Una buona domanda a cui si possono dare molte risposte-, inizio a spiegarle. –Effettivamente era il pontefice a prendere tutte le decisioni, consigliato solo dai cardinali della sua stretta cerchia. Tuttavia, gli stessi cardinali provenivano da gruppi familiari molto influenti e avevano introdotto i loro parenti più rappresentativi nel cerchio dei consiglieri del Papa. Un pratica non disdegnata dai pontefici perché questi consiglieri “non ecclesiastici” amministravano a loro volta potere e denaro. Si creava così una complessa catena di relazioni che portava ad una certa stabilità politica del Papato. In pratica, se si doveva prendere una decisione importante sul governo dello Stato della Chiesa, veniva studiata una proposta di massima dall’autorità ecclesiastica che poi era sottoposta all’esame dei consiglieri esterni al clero. Questi, essendo più legati ad interessi terreni che spirituali, la valutavano e suggerivano gli eventuali cambiamenti da apportare. Trovato un certo livello di compromesso, il Papa ratificava il decreto e questo diveniva legge pontificia.-
-Una sorta di scambio di favori, insomma.-
-Chiamiamolo pure così. Era un sistema che, se da un lato non guardava molto all’interesse della povera gente, dall’altro garantiva una base economica solida per il mantenimento dello stato romano. Al Papato non è mai mancato il denaro. Quello che gli mancava erano le spade, ed ecco perché era così importante avere un alleato così forte come Carlo Magno.-
-L’arte del compromesso è davvero antica-, commenta disgustata mia nipote.
-Non hai idea quanto-, le rispondo ridendo.
I colloqui privati tra re Carlo e Papa Adriano andarono avanti fino a sera, quindi non potei riferire ciò che avevo sentito. Ne parlai a Leone e anche lui si preoccupò molto. Era una brava persona e, a differenza di me, oltre che il rispetto per il nostro comune superiore, aveva un sincero desiderio di preservare l’integrità della Chiesa.
-Dobbiamo riferire tutto a Sua Santità, amico mio-, disse il frate piuttosto agitato. –E’ un fatto gravissimo quello di cui sei venuto a conoscenza.-
-Calma, fratello Leone. Il Papa ora è a colloquio con il re e non possiamo disturbarlo. Ad ogni modo abbiamo un po’ di tempo. Se davvero Bisanzio vuole mettere le mani su Roma dovranno prima togliere dallo scacchiere re Carlo e non sarà cosa facile. Piuttosto, dobbiamo scoprire quanti dignitari della corte sono coinvolti. Solo allora potremo decidere il da farsi-, suggerii, anche per tentare di calmarlo.
-Si. Forse hai ragione. Mi sono fatto prendere dall’ansia, fratello. E’ solo che un fatto così grave…-, disse il mio amico stringendo i pugni.
-Parliamone a Sua Santità, poi si vedrà.-
Naturalmente, Papa Adriano andò su tutte le furie quando seppe ciò che avevo scoperto e la temperanza propria di un ecclesiastico fu accantonata per un po’.
-Sapevo che tramavano qualcosa ma non immaginavo che il loro tradimento fosse così grande!- disse il capo della Chiesa furibondo. Era tarda sera e la cena con il re e i colloqui privati erano terminati da poco più di un’ora. Lo studio di Adriano era semibuio ma la fioca luce di poche candele bastava per illuminare il suo volto rosso per la rabbia.-
-Dobbiamo fare qualcosa, Santità-, disse Leone. –Non possiamo permettere che il complotto vada avanti.-
-No davvero, mio fedele Leone-, concordò il pontefice. –Solo non so cosa. Servono prove e, come mi avete detto, si tratta solo di un progetto, per adesso-, concluse un po’ sconsolato il Papa sedendosi.
-Dimenticate per qualche momento la congiura-, intervenni. –Sono troppo indiscreto se vi chiedo come sono andati i colloqui con re Carlo?-
-Per nulla, Callisto. Il tuo suggerimento si è rivelato davvero utile. Da tutta questa faccenda il Papato otterrà solo le briciole, pochi possedimenti nel centro dell’Italia. In compenso però, ho raggiunto con il re dei Franchi un accordo di massima per stipulare nuovi concordati. Si impegnarà a muovere ogni suo passo esclusivamente con il consenso di Roma.-
-Molto bene. In questo modo, quando l’imperatrice Irene di Bisanzio farà la sua mossa, Voi lo verrete a sapere e potremo prendere le adeguate contromisure.-
-Credi sia opportuno riferire al re della faccenda?- mi chiese Leone.
-Non è necessario. Sapere è potere, ed è meglio non dare a re Carlo informazioni che potrebbero portarlo a qualche azione sconsiderata.-
-E con i congiurati come la mettiamo? Sappiamo di Alderigo e degli altri due-, disse Adriano corrucciato. –Saranno i soli?-
-Questo starà a noi scoprirlo. Cominceremo ad indagare su coloro che Vi si oppongono, anche sui cardinali. Non potete fidarvi di nessuno-, suggerii.
-E quando avremo la lista completa? Che faremo?-
-Nulla. Attenderemo che facciano la loro mossa e, se si faranno troppo intraprendenti, vuoteremo il sacco con re Carlo e in qualche modo glieli consegneremo.-
-Non è un atteggiamento molto cristiano, però-, mi fece notare Leone. –Uomini di Chiesa non si comportano in questo modo.-
-Fratello Callisto ha ragione, mio fedele Leone-, convenne il Papa. –Loro non si faranno scrupoli per colpirmi. Io non posso essere da meno. Anche in questo caso, sarà il compromesso tra la nostra parte terrena e quella spirituale a prevalere. Chiederemo perdono a Dio nell’eventualità in cui dovessimo uscire per un po’ dalla rettitudine, ma abbiamo il sacro dovere di salvare la Chiesa da questa infida minaccia.-
Fu così che io e Leone, oltre che assistenti del Papa, diventammo segretamente anche le sue spie. Leone, come detto, aveva dalla sua un aspetto molto comune. Riusciva ad avvicinare tutti i cardinali sospetti e a carpire i loro pensieri e le loro conversazioni. Io mi occupai dei dignitari che non facevano parte del clero. Utilizzai le mie affinità animali per sgusciare negli angoli più nascosti dei palazzi e delle chiese e ascoltare le conversazioni più indiscrete.
Passammo anni dedicandoci a quell’attività segreta ma alla fine riuscimmo a scoprire tutti i congiurati. Oltre ai tre che avevano dato il via alla nostra ricerca, altri quattro se ne aggiunsero, tra cui due insospettabili cardinali di alto rango. Era l’anno 795 d.c. e, purtroppo, fu anche l’anno in cui Papa Adriano I morì, proprio la notte di Natale. Re Carlo era lontano e non poté essere presente ai riti funebri, anche perché una parte dei cardinali, tra cui i traditori, avevano una gran fretta di seppellire il defunto pontefice e di eleggerne subito un altro. Adriano, a modo suo, era stato un rivoluzionario e alle caste di potere i rivoluzionari piacevano poco. Non ci fu accordo sul nome del nuovo Papa e così, come la tradizione di quel tempo voleva, venne aperta la lettera testamentaria del vecchio Papa, in cui era scritto il nome di colui che egli aveva in gradimento come successore.
-Immagino che sia stata una grande sorpresa per tutti quando lessero quel nome-, commenta Cristina divertita.
-Davvero, ma più ancora fu sorpreso il diretto interessato. Leone non immaginava che Papa Adriano lo avesse in così alta considerazione.-
-I cardinali accettarono quella candidatura senza discutere?-
-La esaminarono, solo il tempo strettamente necessario per decidere che un Papa fantoccio poteva essere loro più utile di uno forte come era stato Adriano.-
Dovetti sorreggere Leone quando il suo nome venne annunciato all’assemblea dei cardinali e dei dignitari della corte papale. Essendo una fase pubblica del cerimoniale, noi due potemmo essere presenti.
-Non… è… possibile…-, biascicò il piccolo frate quando si rese conto di ciò che stava accadendo.
-E’ possibile, invece. Personalmente credo che il nostro buon Adriano abbia fatto la scelta più giusta, oltre che la più coraggiosa. Alla Chiesa serve un uomo forte come lo era lui, Vostra Santità-, lo apostrofai serenamente.
Questi sono i fatti che portarono un semplice frate a salire al soglio pontificio con il nome di Leone III. Disgraziatamente per coloro che avevano pensato di aver appoggiato l’elezione di un pezzo di burro, Leone mise subito in chiaro che a comandare era lui. Sbrigati i cerimoniali del caso, il suo primo atto fu di nominare me come suo segretario personale, nonostante molti cardinali anziani gli proposero un uomo di loro fiducia, uno che lo controllasse in ogni momento della giornata, per intenderci. In secondo luogo riequilibrò i piatti della bilancia. La fazione di ecclesiastici e dignitari che si opponeva al vecchio pontefice era andata in maggioranza, quindi si era fatta più pericolosa. Avevamo passato gli ultimi anni a stilare liste di congiurati e frequentatori poco affidabili della corte. Non dovemmo fare altro che sfoltire un po’ quella marmaglia. Leone spedì alcuni dei prelati a lui ostili in missione, in terre remote ai confini dei domini influenzati dalla Chiesa romana. e bandì letteralmente alcuni dei dignitari meno importanti dalla corte. In questo modo riportò le opposte fazioni in parità.
-Perché semplicemente non si liberò dei suoi oppositori? Magari mandandoli lontano da Roma?-
-Era la sua idea iniziale ma lo dissuasi io dal farlo.-
-Per quale motivo?- mi chiede mia nipote senza capire.
-Era meglio sapere in ogni momento dove si trovassero i nemici più pericolosi. Per dirla in breve, era più facile sorvegliarli li a corte che non in qualche sperduto angolo di mondo.-
-Davvero astuto-, si complimenta lei. –Ma mi sembra improbabile che nessuno si sia accorto dello scopo di quelle manovre.-
Era chiaro che i nostri intenti non potessero passare inosservati. Leone era un uomo diretto e usava poche cautele quando doveva far eseguire un editto papale. I cospiratori decisero di agire. Sapevamo che erano rimasti in contatto con Bisanzio per molti anni. Il tentativo di allontanare Carlo dal Papato era miseramente fallito perché l’imperatrice Irene aveva sottovalutato l’intelligenza del re franco. Colei che regnava in oriente si era offerta di sposare Carlo e di farlo quindi diventare imperatore. Questa mossa aveva il doppio scopo di mettere le mani sull’occidente, su Roma, e di legittimare con un forte matrimonio il suo diritto a governare. Carlo non abboccò. Lui voleva si essere imperatore, ma dell’occidente, e non amava dividere il potere. Rifiutò. Con garbo, ma rifiutò. Immaginai che a Bisanzio non si fossero arresi e che preparassero qualche altra offensiva. Purtroppo lo scoprii troppo tardi e non fui in grado di evitare il primo attentato al Papa che la Storia ricordi.
Una sera, dopo il pasto, mi stavo affrettando a raggiungere Leone nel suo studio, per stilare il programma del giorno seguente e per aggiornarlo sui movimenti di Alderigo e di altre conoscenze poco affidabili. Arrivai appena in tempo per vedere i quattro uomini vestiti di nero che lo avevano aggredito, estrarre dei lunghi pugnali e levarli su di lui. Ci trovavamo in uno dei giardini interni della residenza papale e il luogo era deserto. Leone era già a terra tutto pesto e sanguinante.
-Fermatevi!- intimai loro mettendomi a correre, nonostante la lunga veste bianca mi limitasse i movimenti.
Quando li vidi voltarsi verso di me sorridendo, pronti ad eliminare il piccolo contrattempo che rappresentavo per loro, in me scattò qualcosa. I miei muscoli si tesero e la mia mente si concentrò sugli avversari, tornando affilata come una lama, come lo era stata un tempo. Secoli di inattività sembravano non aver intaccato le mie capacità combattive e questo fu, forse, la salvezza del Papato di Roma.
-Uccidiamolo!-, esclamò uno dei sicari. –Non lasciamo testimoni!-
-Stolti-, dissi loro a bassa voce con un mezzo sorriso. Anche se non ero armato non mi preoccupai. I quattro mi attaccarono uno alla volta, in rapida successione. Mi fu facile abbatterli tutti, evitando i loro fendenti e colpendoli nei loro punti deboli con precisi colpi da ninja. L’Atemi Jutsu che Hidai Kanoshi mi aveva trasmesso era ancora ben vivo dentro di me. Non li uccisi, naturalmente, ma li lasciai svenuti a terra e mi precipitai da Leone. Uno di loro era riuscito a ferirmi ad un braccio ma la ferita era già guarita, lasciandomi soltanto la veste lacerata e sporca di sangue.
-Come stai, amico mio?- gli chiesi senza troppe formalità.
-Potrei stare… meglio-, mi rispose un po’ ironicamente. Era ridotto male. Lo aiutai ad alzarsi prendendolo sotto braccio. Stavo per chiamare le guardie di palazzo quando altri sicari spuntarono in fondo al corridoio semibuio. La mia vista di falco me li mostrò prima che loro potessero vedere noi e feci in tempo a nascondermi assieme al Papa.
-Questo posto non è più sicuro per noi, Leone. Ci hanno presi di sorpresa e non sappiamo di chi ci possiamo fidare. Dobbiamo andare via e trovare un rifugio adatto, fuori da Roma.-
-Ho la testa che mi scoppia… Callisto. Mi rimetto… nelle tue mani… e in quelle di Nostro Signore.-
-La mia stanza non è lontana. Indosseremo delle vesti che non siano bianche, così daremo meno nell’occhio e potremo uscire dalla residenza con meno difficoltà-, gli annunciai. Temevo svenisse da un momento all’altro.
Lo trascinai nella mia semplice stanza e lo adagiai sul letto. Gli pulii alla meglio le ferite che ancora sanguinavano e lo spogliai. Era semicosciente ma riuscii lo stesso a farmi aiutare a mettergli un vecchio saio marrone che avevo usato per passare inosservato durante gli anni, mentre tenevo d’occhio i congiurati fuori dei palazzi pontifici. Terminato quel compito mi fermai ad osservare il piccolo Leone, inerme sul letto. Quell’uomo era stato scelto da Gesù per essere la guida dei suoi fedeli. Non ero sicuro che la Chiesa di cui mi ero trovato a far parte, la Chiesa ricca e opulenta, corrotta e politicamente schierata, fosse l’istituzione amorosa che il mio antico amico aveva in mente di fondare quando era in vita. Tuttavia, di una cosa ero sicuro. Leone era un uomo giusto e non meritava di essere abbandonato nelle mani di gente senza scrupoli, gente che si faceva scudo della croce solo per giustificare le proprie nefandezze. Il Papa aveva bisogno di protezione e solo io potevo dargliela. Non avrei potuto farlo come fratello Callisto. Dovevo farlo come Khalàd, il guerriero.
-Allora tornasti ad essere un combattente-, commenta Cristina quasi sollevata. Ho avuto fin dall’inizio il sospetto che non approvasse la mia scelta di prendere l’abito talare.
-Proprio così. Era il momento cruciale. Finalmente scelsi definitivamente cosa essere.-
-Non ti ci vedo proprio in abito da prete. Scusa, nonno-, mi confida sorridendo.
Mi tolsi l’abito e lo deposi su una seggiola. Dalla cassa dei vestiti presi dei calzoni e una casacca di lana e li indossai. Erano abiti che avevo comprato negli anni, per usarli come travestimento. Non avrei mai immaginato che mi sarebbero serviti per tornare ad essere me stesso, perché quella era la verità. Dentro di me sapevo di non essere mai stato veramente un uomo di Chiesa. Il monastero era stato un rifugio temporaneo per darmi il tempo di riflettere e fare la tanto agoniata scelta.
Fermai la casacca in vita con una cintura e indossai un paio di stivali al ginocchio. Leone osservava impassibile la mia trasformazione. Ebbe però un sussulto quando mi vide inginocchiarmi per tirare fuori da sotto il letto una cassetta piena di polvere ed aprirla. Nel momento stesso in cui vi posai gli occhi, udii il canto di Uragano nella mia mente, come se io fossi un’altra Spada Celeste disposta a cantare con lei. Ammisi, quasi con un misto di gioia e rammarico, che se avessi potuto farlo lo avrei fatto. Infilai la mia spada celtica alla cintura e sollevai il pontefice dal letto. Mi assicurai che non ci fosse nessuno in giro ed uscimmo dalla stanza. Volevo raggiungere il cortile di servizio, dove sapevo c’erano dei cavalli e dei carretti che avrebbero potuto fare al caso nostro. La via più breve passava per la cappella privata del Papa. Quando l’attraversammo e vidi il crocifisso appeso sopra l’altare, sentii il bisogno di fermarmi un attimo. Deposi Leone su una panca e mi voltai verso il piccolo altare. Mi inginocchiai e levai gli occhi all’immagine di Cristo.
-Gesù. Perdonami se ora o in futuro non potrò essere degno della fiducia che hai riposto in me. Ho tentato di fuggire da ciò che un destino beffardo aveva stabilito per me e ho fallito. Non posso essere quello che non sono. Se mi volterai le spalle lo capirò ma, ti supplico, non permettere che un uomo giusto come Leone venga sacrificato in nome del potere e del denaro. Sostienimi nel mio compito. E’ il tuo vecchio… vecchio… amico Khalàd di Uruk che te lo chiede.-
Non so dire se si trattò di un miracolo o della mia immaginazione, ma per un attimo vidi il crocifisso illuminarsi di una luce d’orata e seppi che Cristo era ancora al mio fianco. Rinfrancato, mi rialzai e andai a recuperare il mio amico Leone.
-Adriano… mi aveva detto che… eri un uomo speciale. Che dentro di te… dormiva un guerriero…-
-Lui aveva visto la mia anima tormentata quando mi accolse al suo servizio. Le diede conforto dal dolore ma sapeva che fuggivo da un destino che non avevo scelto. Sapeva anche che un giorno avrei dovuto farci i conti e quel giorno è arrivato. Ho fatto una scelta, Leone. La scelta di tornare ad essere me stesso e di salvare il Papato di Roma da te rappresentato, nonostante io non sappia se esso lo merita davvero.-
-Una cosa…noto con piacere… che non hai perso… la fede… in Cristo.-
Solo uno stalliere sorvegliava il cortile di servizio e le stalle. Lo stordii con un colpo al collo e portai il piccolo pontefice nella stalla. Adagiai Leone su un carretto sul quale avevo sparpagliato un po’di paglia pulita e lo coprii con una vecchia coperta e attaccai. Appeso ad un chiodo del muro trovai un mantello logoro ma ancora buono e me lo buttai sulle spalle. C’era luna calante ma il fioco bagliore non ci tradì, cosicché, attaccato il mezzo ad un bun cavallo, riuscimmo ad uscire dal perimetro dei palazzi pontifici senza dare nell’occhio.
-Dove lo volevi portare, nonno?-
-Dall’unico amico che un Papa come Leone potesse avere. Da re Carlo, a nord-, rispondo ricordando gli eventi di quei giorni.
-Da soli? Su un carretto di legno e con il Papa in quelle condizioni?-
-Non c’era scelta. Se volevo rimetterlo sul trono di Roma avevo bisogno dell’appoggio di Carlo Magno. Speravo di incontrarlo prima di arrivare tanto a nord, alla sua reggia.-
-E fu un desiderio esaudito?-
-Purtroppo no.-
Il viaggio fu duro e molto faticoso, specie per il povero Papa. Avevo curato alla meglio le sue ferite ma tutto quel movimento ne rallentava la guarigione. Nei giorni che seguirono, mentre ci dirigevamo a nord, attraverso i valichi nelle montagne, venne colto più volte dalla febbre e da stati di incoscienza. Una volta temetti davvero di averlo perso. Ma non era solo la sua mente ad essere forte. Nonostante un fisico così esile, Papa Leone era un uomo forte anche all’esterno e sopravvisse ai molti giorni di fuga. Speravo solo di trovare presto dei messi reali che potessero darci aiuto. Temevo che i sicari fossero al nostro inseguimento perché ero sicuro che avessero cercato le nostre tracce. Non potevano lasciarci vivi. Eravamo testimoni del fallito attentato.
I miei timori si materializzarono un pomeriggio dell’ottavo giorno di fuga. Avevamo appena attraversato un valico di montagna e stavamo scendendo verso la terra dei Franchi quando, in un piccolo altopiano, ci trovammo accerchiati da otto uomini a cavallo con il volto coperto. Erano tutti armati di spade. Inconsciamente, prevedendo lo scontro, iniziai ad assorbire l’energia della luce del sole, come avevo imparato a fare in Britannia, a caricarmi per la battaglia.
-Sei sfuggente, monaco, ma portare una spada non salverà te o l’omuncolo che ti trascini appresso- disse uno di loro fermandosi a poca distanza da noi. Avevo già sentito quella voce, da qualche parte, ma non riuscivo a ricordare dove e quando.
-Sono un uomo pieno di risorse e ti sconsiglio di scoprirne altre perché periresti.-
-Sei solo un monaco. Non hai l’addestramento necessario per battere me o qualcuno dei miei uomini-, mi derise lo sconosciuto. Gli avevo intravisto gli occhi e anche quelli mi sembravano familiari.
-Io ti ho avvertito-, gli risposi con indifferenza e questo lo irritò, proprio come volevo. –Voi sicari sapete solo colpire alle spalle. Non avete nessun onore-, lo provocai volontariamente.
L’uomo esplose e si strappò il cappuccio di tela che gli nascondeva il volto. I biondi capelli volarono al vento e due occhi azzurri colmi di rabbia scintillarono alla luce del giorno. Rimasi molto sorpreso nel riconoscerlo. –Io sono un nobile cavaliere, monaco! Ne so molto più di te sull’onore!-
-Orlando?!- esclamai. –Ti davano per morto a Roncisvalle, nelle terre dei Baschi!-
-Dio mi ha salvato, nonostante proprio il mio migliore amico e re mi abbia abbandonato!- ringhiò il redivivo paladino franco. Ero nella retroguardia dell’esercito di Carlo quando i baschi ci attaccarono, perché lui si era dimostrato debole! Preferiva parlamentare con loro anziché sottometterli e dominarli! I suoi possedimenti si sarebbero estesi ancora ma lui ha desistito, per rispettare i dettami di uomini deboli quanto lui, quanto quello che ti porti ferito appresso!-
-E così ti sei unito ai cospiratori contro il Papa. Davvero onorevole per un cavaliere-, lo sbeffeggiai scendendo dal carro. Volevo avere i piedi ben piantati per terra se dovevo affrontare uomini a cavallo.
-E’ stato per caso che mi sono avvicinato a loro. Un cardinale, di passaggio con la sua scorta, mi ha raccolto ferito e mi ha portato a Roma dove sono stato curato. Mi ha rivelato tutte le debolezze degli uomini che governavano la Santa Chiesa e allora ho capito, monaco. Ho capito perché il mio re era diventato così remissivo!- Era in preda ad un chiaro delirio. –Ma ora questa effimera influenza finirà perché uccidendo Leone sradicherò le assurde idee del suo maestro Adriano!-
-Stolto!- tuonai estraendo Uragano. –Se vi riuscissi non faresti altro che consegnare Roma e l’Europa a Irene di Bisanzio! Ovviamente non torcerai neppure un capello a Sua Santità.-
Un cenno bastò per far scattare i suoi sette compagni che mi assalirono al galoppo, con le spade pronta a colpire. Furono proprio i Franchi ad introdurre in Europa le sella da cavalleria con le staffe, un formidabile strumento che permetteva di sommare la forza del cavallo a quella del cavaliere, proprio nel momento in cui questi colpiva con la spada o la lancia. Peccato che non abbiano studiato anche un modo per proteggere i punti deboli dei cavalli. Schivai ogni attacco con rapidità e, dopo il colpo a vuoto del cavaliere, io ferivo con la spada una delle gambe posteriori del cavallo, in modo da azzopparlo senza ucciderlo. In quel momento mi sentivo più magnanimo verso quegli innocenti animali che con i loro padroni. Ottenni il risultato sperato e li feci scendere tutti a terra, il mio terreno prediletto. Non erano degli stupidi perché non mi sottovalutarono dopo quello che avevo fatto alle loro cavalcature. Erano restii ad attaccarmi anche se quella, vista la loro superiorità numerica, era la mossa più logica da fare. Decisi di sorprenderli e li attaccai io. Ricordai gli insegnamenti del maestro Long Dao quando mi spiegò la tattica per affrontare da solo più uomini. “Attacca prima quello che non vedi, poi il più aggressivo, infine il più debole.” Aggredii proprio quello che mi era scivolato alle spalle e lo trafissi con un preciso affondo alla gola. Mi voltai rapidamente perché il più aggressivo di loro si era fatto coraggio e mi stava per calare la sua spada sul cranio. Parai il colpo e risposi con un fendente al petto. Lo ferii ma non lo uccisi e me lo ritrovai addosso nuovamente. Schivai il suo affondo con una giravolta e piantai, senza neppure guardare, la mia spada celtica nel suo ventre, facendolo accasciare. Mi concentrai infine sul più debole di tutti, un uomo esile che stava tremando dalla paura dopo quello che avevo fatto ai suoi due compagni. Non era una bella cosa infierire proprio su di lui ma serviva un esempio della mia ferocia. Non lo uccisi ma lo ferii gravemente ad una gamba e lo colpii ripetutamente con il piatto della lama. I quattro sicari rimasti fermarono i loro attacchi e arretrarono impauriti.
-Vogliamo finirla e batterci?- domandai ad Orlando, che per tutto lo scontro non mi aveva tolto gli occhi di dosso. Aveva studiato la mia tecnica. Povero sciocco, pensai. Non bastano pochi minuti per comprendere tremila anni di addestramento alla guerra e al combattimento.
-Durlindana!- gridò il franco scendendo da cavallo ed estraendo la spada. –Testimonia ancora una volta il potere di Cristo!-
-Dovrai ammettere che aveva una profonda fede-, mi fa notare mia nipote riferendosi al paladino franco.
-Fede-, dissi sdegnato. –Invocando Gesù, un uomo indegno come lui, non fece altro che farmi arrabbiare per davvero.-
Gli andai incontro infuriato. Non amavo che si invocasse Cristo per scopi meschini come il suo. Mi attaccò per primo, dall’alto verso basso, con la sua famosa spada. Non cercai di deviare il fendente ma risposi con un altro colpo, con tutta la forza che avevo, facendo scontrare le due lame. Com’era prevedibile, la gloriosa Durlindana fu spezzata in due dalla terribile Uragano. Questo bastò a far desistere il paladino caduto dal suo desiderio di continuare lo scontro. Fissava con occhi vacui il moncone della sua spada e blaterava parole senza senso. Avevo deciso di risparmiarlo ma lui evidentemente non era d’accordo. Tentò di pugnalarmi alle spalle, da vero sicario. Evidentemente non aveva ancora capito con chi aveva a che fare. Con l’ennesima giravolta gli fui alle spalle, con il colpo carico. La sua testa volò in cielo e ricadde parecchi metri lontana dal corpo. I sicari superstiti, alla vista della fine del loro capo, se la squagliarono a gambe levate.
-Un uomo… davvero terribile… protetto da Cristo…- riuscì a dire Leone alzandosi a sedere sul carretto. –Non si era mai visto… un guerriero come te… Callisto.-
-E mai se ne vedranno altri, spero. Essere come me non è una benedizione di Nostro Signore ma una maledizione di qualche divinità in vena di scherzi-, risposi sarcastico mente guardavo alcuni graffi sulla mano che guarivano all’istante.
-Ricordi il motto… di Papa Adriano?- mi chiese d’un tratto.
-“Il confine tra cielo e terra è spesso molto indistinto”-, recitai, ricordando la frase prediletta del vecchio Papa.
-Esatto. Gli strumenti di… Cristo possono essere… davvero inusuali… Riflettici ancora su e… vedrai che il tuo operato non ti sembrerà… più così sbagliato.-
Era un ragionamento degno di Adriano, di un uomo giusto. Leone era conscio che per risolvere certe situazioni bisognava scendere i gradini degli altari e porsi allo stesso livello dei comuni mortali.
Incontrammo i messi di re Carlo poco dopo. Sembrava che qualcosa fosse accaduto a Roma e il sovrano, venuto a sapere che il Papa era fuggito, aveva immaginato che si sarebbe diretto a nord e aveva messo in allerta tutti gli ufficiali del suo esercito perché lo intercettassero.
-Il re Vi aspetta, Santità-, disse l’ufficiale a capo del drappello che ci era venuto incontro. –Vi scorteremo noi alla sua residenza.-
-Grazie, soldato… Mi rimetto nelle mani vostre… e di Dio-, disse Leone disteso sul piano del carretto.
Il viaggio non durò molto perché il re si trovava in una delle residenze più a sud del regno dei Franchi, forse proprio nella speranza di soccorrere il Papa.
-E’ un miracolo che siate riusciti ad arrivare fino a qui- esclamò re Carlo venendoci incontro, mentre ancora varcavamo il cancello d’ingresso della piccola reggia.
-Dio era con noi, Maestà-, gli dissi fermando il cavallo che trainava il carro. Il povero animale avrebbe avuto finalmente il meritato riposo.
Il re mi guardò bene in faccia, poi spalancò gli occhi, riconoscendomi. –Ma tu sei il segretario personale di Sua Santità! E porti una spada!-
-Non sono più un monaco, re Carlo. Più tardi c’è un fatto che vi devo raccontare e che vi riguarda. Ora però pensiamo al nostro amico prelato.-
-Naturalmente-, esclamò il franco riprendendosi. Accorse personalmente ad aiutarmi a tirare giù Leone dal mezzo di fortuna su cui lo avevo fatto viaggiare. Le ferite sanguinavano ancora ma almeno non si erano infettate e la febbre non lo assaliva più da due giorni.
Il re, sinceramente preoccupato, rimase a sorvegliare il ricovero del pontefice fino a quando questi, con bende nuove e pulite, non si addormentò per riposare. Poi venne a cercarmi.
-Ricordo che eravate consigliere anche di Papa Adriano….-, iniziò il re, fermandosi però al mio nome.
-Callisto. Callisto Uruchese, maestà-, risposi utilizzando il mio nuovo nome. –L’ufficiale che ci ha trovati mi ha detto che a Roma è scoppiato uno scandalo. Che è successo?-
-Evidentemente i congiurati dovevano giustificare la fuga del pontefice, quindi hanno messo in giro la voce che il Papa si dedicasse più ai piaceri della carne che non a quelli dell’anima. Ho ricevuto proprio stamattina una lettera che mi invita al pubblico processo che si terrà fra qualche giorno, con o senza pontefice presente.-
-Traditori!- inveii. –Che prove potremmo mai portare per dimostrare l’innocenza di Leone?-
-Vedremo il da farsi quando saremo a Roma.-
-Far ritornare il Papa a Roma?! Mai! Lo uccideranno!-
-Non preoccuparti, Callisto. Sarà ben protetto. E poi ci serve che sia lì per scagionarlo. Un mio studioso mi ha detto che, probabilmente, negli archivi che tu stesso hai catalogato può esserci la soluzione al problema e bisogna consultarli.-
Gli archivi. Iniziai a ripercorrere con la mente ogni istante della loro creazione, riga dopo riga, parola dopo parola, finché non trovai ciò che cercavo. –La Storia del Papato!- esclamai euforico. –Un caso simile si è già verificato in passato e il pontefice ne è uscito pulito!-
-E in che modo?- mi chiese il re guardandomi dritto in viso.
-Essere papi ha i suoi vantaggi. E’ sufficiente che Leone presti solenne giuramento di non aver commesso ciò di cui lo si accusa. Questo farà cadere tutte le accuse e non potrà essere confutato perché il giuramento dovrà essere pronunciato sui Vangeli.-
-Eccellente, e già che siamo li è il caso di fare anche un po’ di pulizia. Tu sai i nomi di tutti i traditori?-
-Naturalmente-, risposi sorridendo. –Siamo stati proprio io e fratello Leone a identificarli su ordine di Papa Adriano. Vi stilerò una lista completa. Ora, però, c’è una cosa che dovete sapere.-
-Gli parlasti di Orlando?-
-Si. Non era mia intenzione distruggere il ricordo che aveva di lui, ma re Carlo doveva conoscere il pensiero che serpeggiava tra alcuni dei suoi uomini più fidati e porvi rimedio. Fu molto addolorato nel venire a conoscenza di ciò che era successo e quando lo lasciai mi sembrò piangesse.-
-Da quello che mi dici meritò in pieno il nome “Magno”-, commenta Cristina lasciandosi accarezzare i piedi dalle onde.
-Lo era davvero.-
-Come andò a Roma? Come fece re Carlo a togliere di mezzo i cospiratori?-
-Seppi che, con varie accuse di tradimento, li fece incarcerare tutti e poi giustiziare alcuni. Non come traditori del Papato ma come traditori del regno dei Franchi, visto che lo Stato della Chiesa aveva delegato a loro l’amministrazione militare e la custodia dell’ordine costituito.-
-Tu non c’eri?-
-No. Dopo che ebbi consegnato il Papa a Calro Magno seppi che era venuto per me il tempo di partire. Il nord mi attraeva nuovamente ma non era la Britannia a chiamarmi. Era una terra vicina ad essa, un’altra isola che mi invocava, con la voce di cento bardi e mi attirava a se avvolgendomi in un vento verde e fresco a cui non potevo resistere.-
-L’Irlanda-, conclude mia nipote, continuando distrattamente a guardarsi i piedi nudi immersi nell’acqua del mare.
-Si. L’Irlanda di Brian Boru.-
mercoledì 10 settembre 2008
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