giovedì 10 luglio 2008

9 - VERSO L'IGNOTO

-Cinque sono i momenti che hanno caratterizzato la mia esperienza in Britannia e il primo fu la rinascita di Uragano, la mia spada-, spiego a Cristina.
E’ una bella domenica mattina e siamo tornati nella mia stanza a godere della brezza marina. Il cielo è coperto ma sappiamo che forse non pioverà. Accade di rado in questa terra sempre baciata dal sole. Il suono delle campane sale dai paesi vicini, per richiamare la gente alla messa, e so che mia nipote è un po’ dispiaciuta per non esserci andata perché avrebbe cantato nel coro, cosa che lei adora, e perché è una ragazza di profonda fede. Ha preferito invece stare con me e ascoltare la storia di come la Britannia è stata conquistata da Roma, e di come Excalibur è giunta nella mano dell’uomo destinato a tramandarla.
-Se il nome della tua spada doveva rimanere noto solo a te, perché me lo hai rivelato?- mi chiede lei per distogliere la mente dal richiamo della chiesa.
-Perché il suo scopo è stato assolto, quindi il suo grande potere non è più necessario.-
-E gli altri quattro momenti? Quali sono?-
-Il primo è stato sposare Caysia-, le dico con un mezzo sorriso.
-Fermo, nonno! Ti contraddici ancora! Hai detto che la nonna è stata l’unica donna che hai mai sposato! Passi per Netia, la ragazza del Popolo del Leone, ma Caysia? L’hai sposata per davvero!-
-Certo che l’ho fatto ma non ti ho neppure mentito. Tua nonna è effettivamente l’unica donna che abbia mai sposato.-
-Io non ci capisco più nulla-, mi risponde lei scuotendo la testa.
-Come si chiama la nonna?- le domando sempre più compiaciuto del fatto di averla messa in crisi.
-Sandra…-
-Che non è il diminutivo di Alessandra-, insisto per spronarla a ragionare.
Cristina sbianca in volto e rimane a bocca aperta. –Cassandra?!- esclama dopo un po’ con un filo di voce.
-Ci sei arrivata, finalmente. Per questo ti dico che nella mia lunghissima vita solo lei è stata effettivamente mia moglie.-
-Vai avanti, nonno-, mi chiede cercando di riprendersi da quella rivelazione choc.

Ora che la spada era stata riforgiata, la mia richiesta di matrimonio a Caysia sembrò una pura formalità e la notizia fu accolta con grande gioia in tutto il villaggio dei druidi. Il rito e la seguente festa furono fissati per il primo giorno di primavera, durante la festa che i celti gaeli del nord chiamavano Beltaine, la “Festa dei fuochi”. Taliesin in persona avrebbe celebrato il rito mentre Twilir avrebbe enunciato i doveri e i diritti della nuova coppia, secondo la legge di Breohn. Kevin, il bardo che faceva parte del Consiglio, acconsentì di buon grado ad allietare la nostra unione con il suono della sua arpa e delle sue parole e questo diede grande prestigio al nostro matrimonio. Raramente un capo-bardo accompagnava con il suo talento un rito simile. Fu il suo dono di nozze per noi. Altri druidi ci regalarono amuleti, piccoli gioielli, manufatti di pregio e cibo. Fu Taliesin, però, ad onorarmi con il dono più prezioso e raro.
-Inahl, il mio maestro e predecessore, insegnò a Calhorn un po’ della sua arte. Come lui, io sono un druido mistico, che qualcuno chiama mago, e, come il vecchio capo-druido, io concederò questo insegnamento a te, Khalàd-, mi disse mentre passeggiavamo nel bosco sacro.
-Perché fai questo per me, Taliesin? In fondo sono uno straniero.-
-Hai fatto molto per noi, amico mio. Le tue conoscenze hanno migliorato la vita del nostro popolo e ciò che ti insegnerò sarà ancora una piccola cosa in confronto all’aiuto che ci hai dato.-
-Parlami del potere che vuoi farmi acquisire-, gli chiesi titubante ed emozionato allo stesso tempo.
-Noi mistici, a torto, siamo considerati i più potenti tra i druidi. Non lo siamo, tuttavia la nostra capacità ci eleva sicuramente al di sopra di molti nostri fratelli. Il potere che ci caratterizza, e che già in parte Calhorn ti ha mostrato quando vi siete battuti, è quello di plasmare le energie della natura che ci circonda. La forza della terra, dell’acqua, delle foreste, del fuoco e di molte altre potenze ancora. Ogni elemento naturale ha caratteristiche diverse ed è per questo che, per imparare a dominarli, servono molti anni di studio e di pratica.-
-Ma Calhorn dominava solo il fuoco-, precisai io.
-Appunto. Imparare a controllare un solo elemento richiede molto meno tempo e se l’elemento è quello al quale siamo più affini, il potere che viene acquisito è comunque notevole.-
-Quale elemento allora si adatterebbe di più a me? Il fuoco? Come Calhorn? O forse la terra?-
-Una volta mi hai detto che la tua forza aumenta in modo impressionante nel momento in cui il sole spunta all’orizzonte.-
-E’ vero. Un potente Dio egizio ha sempre vegliato su di me.-
-E se non fosse stata una divinità? Se invece fossa stata la tua innata capacità di assorbire ed usare la forza della luce solare?- ipotizzò Taliesin. –Non dico questo per sminuire il potere del Dio che ti ha protetto ma la mia ipotesi è plausibile.-
-Lo è-, ammisi a malincuore. –Non ho mai creduto molto negli Dei ma se ne devo ringraziare uno quello è proprio Amon-Ra, il signore della luce e della vita. Tuttavia, se tu sei in grado di dominare le forze naturali, forse, potrei esserne in grado anche io.-
-Allora è deciso, amico mio. Dopo il matrimonio lo scopriremo insieme.-
La cerimonia serale fu bellissima, allietata dalla luce dei fuochi, dalla presenza dei nostri amici e dal meraviglioso poema recitato da Kevin il bardo. Dopo aver sentito quelle parole e quei suoni d’arpa tutti i presenti rimasero ammaliati, incantati dal potere del druido. In quel momento ne ebbi la certezza. I bardi erano i più potenti tra i druidi e Kevin, così schivo e solitario, era il più grande tra i bardi.
Due sere prima della cerimonia, intenti in mille preparativi, io e Caysia sentimmo bussare alla porta di casa. Fuori pioveva e ci domandavamo chi potesse mai essere a quell’ora tarda. Grande fu la nostra sorpresa quando ci trovammo di fronte Calhorn, il fabbro.
-Ecco l’ultima persona che ci saremmo aspettati di vedere in un villaggio di druidi-, lo derisi facendolo entrare.
-Per prima cosa, voi non siete druidi. In secondo luogo nessuno sa che sono qui, a parte Twilir, ovviamente.-
-Allora hai deciso di accettare il nostro invito…-, iniziò la mia futura sposa ma l’uomo tarchiato la fermò alzando la mano.
-Non sono fatto per le occasioni mondane, mia signora, tuttavia, nessuno mi aveva mai invitato ad una festa. Forse a causa del mio brutto carattere-, scherzò l’uomo. –Ho apprezzato grandemente questo gesto.-
-Sarebbe un onore per noi se partecipassi, Calhorn. Ti sembrerà strano ma da quando ci siamo battuti, ti considero uno degli amici più cari-, gli dissi.
-Hai uno strano modo di farti gli amici, uomo del sud-, esclamò Calhorn per poi scoppiare a ridere.
Lo facemmo accomodare accanto al fuoco perché si asciugasse e Caysia gli preparò un po’ del cibo di quella sera, ovvero della carne arrosto accompagnata da pane, formaggio di capra e birra.
-Quale motivo ti porta a sfidare la notte con un tempo come questo, amico?-
-Anche se non onorato, un invito esige un dono. L’oro che mi hai dato per la spada era davvero troppo, così ho deciso di utilizzarlo in modo adeguato-, spiegò il fabbro estraendo dalla sua borsa due fagotti di pelle di cervo che depose sopra al tavolo. Li aprì e rivelò due magnifici collari d’oro, due “torques”. I collari celtici erano dei cerchi metallici, quasi sempre d’oro, che indicavano un rango elevato oppure una straordinaria capacità guerriera. I grandi anelli erano aperti sul davanti per essere allargati e poi richiusi attorno al collo, per portarli sempre e non toglierli mai. Quelli che Calhorn ci aveva portato erano i più splendidi che avessi mai visto da quando ero giunto in Britannia. Entrambi composti da fili d’oro intrecciati, terminavano nelle loro estremità anteriori con dei pomoli lavorati ad arte. In quello di Caysia i pomoli erano modellati a forma di testa di civetta, un animale molto significativo nella religione celtica perché rappresentava la conoscenza dei misteri. Ciò si adattava perfettamente al potere della mia donna. Le estremità del mio torque, invece, erano meno elaborate, due semplici sfere d’oro, sulle quali, però, erano incisi i simboli celtici del sole e della luna. Non so perché Calhorn avesse operato quella scelta ma la ritenni anch’essa adeguata. Il sole veniva associato a me sempre più di frequente e assieme alla luna poteva significare il mio profondo contrasto interno su ciò che era giusto o sbagliato fare per un uomo dotato delle mie capacità.
-Sono… splendidi!- esclamò Caysia senza fiato, avendo quasi timore ti toccare i due monili.
-Lo sono davvero, amico, e dopo averli visti non posso non rinnovarti l’invito a restare per la cerimonia. Potrebbe essere la volta buona per far pace con i druidi.-
Il fabbro barbuto scosse la testa. –Conosco Twilir e anche la fama di Taliesin, il capo-druido. Ho avuto modo di ascoltare molte volte le parole e la musica di Kevin il bardo. So che sono persone buone e ragionevoli ma sono solo in tre. La maggior parte del Consiglio mi è ostile, come lo era il vecchio Inahl. Credetemi. È meglio se me ne torno a casa. Il mio isolamento lo considero il prezzo per ciò che ho fatto-, mi spiegò l’uomo dopo aver bevuto un sorso di birra.
-Vorrai dire per ciò che hai ottenuto-, precisò Caysia accigliandosi. -Il potere di dominare il fuoco valeva tutto questo?-
-Mia signora-, cominciò Calhorn con un mezzo sorriso. –Quell’abilità è stata solo una piccola parte del pagamento per la creazione di Excalibur. Ciò di cui parlo è l’onore di aver creato l’arma che un giorno salverà la nostra terra, la Britannia, dall’oscurità. Posso essere avverso ai druidi, ma le loro profezie si sono sempre rivelate veritiere e non ho motivo di dubitarne.-
-Resterai qui stanotte?- gli chiese Caysia cambiando discorso per evitare che la conversazione si facesse troppo seria. –Sei un gradito ospite nella nostra casa.-
-Non arrecherei mai disturbo a due colombe che stanno per sposarsi. Sarò ospite di Twilir stanotte. Abbiamo molto di cui discutere e ripartirò domattina, prima dell’alba.-
-Torna a trovarci, però. La nostra porta è sempre aperta per te-, gli chiesi versandogli ancora da bere.
Calhorn aveva ragione. Molti dei membri del Consiglio, al vedere i torques che indossavamo durante la cerimonia, storsero il naso sapendo che erano un dono del fabbro che si ostinava a non cedere loro il Fuoco della Britannia. A parte quel piccolo particolare, andò tutto nel migliore dei modi e la festa che seguì il rito fu altrettanto splendida.
La mia vita con Caysia si rivelò da subito un sogno. Dopo secoli avevo trovato finalmente la pace che cercavo. Sapevo che sarebbe stato straziante vederla invecchiare e poi morire ma cercavo di non pensarci. Era troppo presto per angosciarmi. Senza contare il problema dei figli. Lei ne parlava spesso ma io non le avevo rivelato che non ne potevo avere.
-Mi piacerebbe avere dei gemelli-, diceva sempre. –Mia madre, prima che morisse, diceva sempre che nella nostra famiglia erano stati frequenti i parti gemellari.- Come potevo continuare ad illuderla? Tacevo la verità ma sapevo che non avrei potuto farlo in eterno.
Iniziai a passare molto tempo con Taliesin ed egli mi trasmise l’insegnamento che già era stato elargito a Calhorn, ovvero come dominare un’energia della natura.
-Il segreto-, mi spiegò fin dal primo giorno, -E’ di porre il tuo intero essere in armonia con la forza che vuoi assoggettare. In questo modo essa verrà a te e tu la potrai usare.-
Avevo una vaga idea di cosa intendesse ma fu solo dopo molte settimane che iniziai a comprendere quel principio e ad ottenere dei risultati. Mi alzavo tutte le mattine prima dell’alba, in modo da catturare i primi raggi del sole. Sentivo la consueta forza riempirmi le membra, che fino a quel momento avevo attribuito ad Amon-Ra. Ora, però, volevo di più e mi sforzai di armonizzarmi con la luce solare. Finalmente, un mattino d’estate, riuscii nell’impresa ed ebbi il pieno controllo della forza luminosa. Non solo all’alba ma a qualsiasi ora del giorno potevo attingere ai raggi luminosi per incrementare o rigenerare la mia forza.
-Sono stupefatto-, ammise Taliesin quando gli mostrai i miei progressi. -Devi affinare ancora la tecnica ma posso dire che hai raggiunto un livello che io stesso ho impiegato anni ad acquisire.-
-Credo dipenda dal fatto che sia io che Calhorn ci siamo concentrati su una sola energia.-
-Puoddarsi. Ad ogni modo l’insegnamento è completo. Usalo con saggezza e conservalo gelosamente. Non è cosa da far apprendere a uomini dal cuore oscuro.-
-Me ne ricorderò, amico mio, ma presto verrò ancora a cercarti per chiedere nuovamente il tuo aiuto. Devo prima riordinare le idee ma verrò presto.-
-La mia porta per te è sempre aperta, Khalàd di Uruk-, rispose il capo dei druidi di Britannia.

-Qual era la questione di cui volevi parlargli, nonno?-
-La Britannia era una terra di uomini dal grande potere mistico, come Taliesin, come i sognatori e i divinatori, come la stessa Caysia. Era tempo di scoprire qualcosa su quello che sembrava il mio antagonista e magari anche lo scopo della mia spada, Uragano.-
-Riuscisti?-
-Si. Ma fu davvero un’impresa colossale-, affermo serio, ricordando la notte del rito di veggenza e i preparativi che lo precedettero.

Per molto tempo non avevo più pensato a Gesù, anche se i suoi insegnamenti erano impressi a fuoco nel mio cuore. Rammentare il suo corpo martoriato sulla croce era troppo doloroso e più volte avevo desistito. Tuttavia, era arrivato il momento di ricordare. Ricordare gli ultimi attimi della sua vita, le sensazioni terribili che ho provato e, soprattutto, le sue ultime parole per me. “E’ qui Khalàd! E’ stato lui a…. Non è come te… E’ malvagio…. Stai attento allo sfreg….” Mi tornarono in mente come il fulmine che mi aveva colpito quando ero stato reso immortale. Capii immediatamente di chi stava parlando. Era sicuramente il carceriere romano che lo aveva flagellato, un uomo crudele, ma soprattutto era uno sfregiato e questo mi fece pensare al generale che si diceva avesse affiancato e infine ucciso Alessandro di Macedonia, il giovane conquistatore che aveva assoggettato mezzo mondo.
Ringraziai dentro di me il Cristo per l’aiuto che mi aveva dato e andai da Caysia a parlarle della faccenda.
-Ciò che dici è davvero importante e bisogna scoprire assolutamente qualcosa su quell’uomo.-
-Pensavo già di parlarne a Taliesin ma prima volevo sapere cosa ne pensavi tu. In fondo si tratta della tua specialità.-
-Ciò che chiedi è davvero complicato ma credo che se c’è una soluzione, Taliesin lo saprà.-

-Lei non avrebbe potuto aiutarti con una visione?-, mi domanda Cristina perplessa.
-Il potere di Caysia era grande ma le visioni non venivano sempre nel momento in cui erano desiderate. Inoltre, avevano l’effetto di indebolire terribilmente il veggente che le evocava e non avrei messo in pericolo la vita di mia moglie per un atto che si preannunciava arduo arduo.-
-Serviva comunque una veggenza-, insiste mia nipote.
-Non hai ben chiaro ciò di cui avevo bisogno. Una veggenza di Caysia o di qualsiasi altro druido mi avrebbe mostrato delle tracce del futuro da interpretare. Io cercavo di scoprire un disegno molto più ampio che relazionasse me all’altro come me. Una veggenza di proporzioni colossali.-
-E’ stato questo il secondo fatto di cui mi parlavi?-
-Proprio così.-

-E’ davvero un affare complicato-, disse pensieroso il capo-druido quando andammo da lui ad esporgli il nostro problema. –E’ una visione molto ampia e non ho idea di quale druido possa evocarla.-
-Non è una questione di vita o di morte, Taliesin-, lo rassicurai. –Se non si può fare non importa. Scoprirò da solo ciò che devo sapere.-
-Ora hai stuzzicato la mia curiosità, Khalàd. Una veggenza del genere sarebbe una grande impresa per i druidi. Ne parlerò al Consiglio, al prossimo incontro, e vedremo cosa suggeriscono gli altri.-
-Te ne sono grato, amico.-
Il Consiglio dei druidi non arrivò a nessuna soluzione e già mi stavo rassegnando quando Twilir, il mio amico giudice, risolse la questione.
-Certo che è possibile-, esclamò l’anziano tutore della Legge dopo che gli ebbi spiegato il problema. –E non mi stupisco che nessuno del Consiglio lo abbia detto.-
-Di che parli, Twilir?- gli domandò Caysia senza capire. –Detto cosa?-
-Si tratta di un rito particolare, operato da più druidi contemporaneamente. E’ successo una sola volta, quando io ero solo un ragazzo. Nessuno di chi vi partecipò direttamente è ancora vivo ma io vi assistetti di nascosto. Fu allora che venne menzionato, seppure vagamente, l’arrivo del metallo celeste per forgiare Excalibur.-
-Per quale motivo fu organizzato il rito?- chiese ancora mia moglie al nostro amico.
-Era un periodo di grandi cambiamenti per la Britannia. Eravamo più divisi di adesso e le molte tribù e i loro piccoli re, anche se sarebbe meglio definirli capi, perché nulla avevano di regale, continuavano a combattersi tra loro. La domanda a cui si cercava risposta era se da tutto quel fermento potesse nascere un giorno qualcosa di nuovo, di pacifico, di unito.-
-Otteneste la risposta?- domandai incuriosito.
-In parte si, anche se fu di difficile interpretazione-, rispose Twilir annuendo. –Si preannunciava un periodo di relativa tranquillità in cui una stella sarebbe caduta dal cielo e il suo seme avrebbe generato l’inizio di una nuova era per i britanni.-
-Molto vago-, commentai.
-E’ vero. Ciononostante il rito funzionò perché ci mostrò non specifici fatti ma una situazione più ampia del futuro della nostra terra.-
-Il problema nell’interpretare queste visioni è che è difficile collocarle nel tempo-, mi spiegò Caysia. –Non si sa mai a quando si riferiscono o quanto tempo comprendano.-
-Comunque ha funzionato-, insistetti.
-Si-, confermò il druido.
-E tu sapresti dare indicazioni a Taliesin per ritentare?-
-Naturalmente, ma si dovrebbero trovare i druidi giusti, con abbastanza potere e autocontrollo per poter cooperare.-
-Questo sarà compito di tuo cugino, se vorrà aiutarci-, affermò mia moglie offrendo al nostro amico un’altra tazza di birra di malto.
Taliesin ascoltò la storia di suo cugino con grande interesse dopodiché rimase in silenzio e pensieroso. Ci trovavamo nel prato appena fuori il villaggio e il capo-druido stava accudendo alcune pecore di sua proprietà.
-Non sarà facile ma credo potremmo tentare. Avevo già sentito parlare di questa cosa da Inahl ma non avevo mai capito bene di cosa si trattasse.-
-Inahl era presente-, confermò Twilir. -Era il mistico che dava potere al rituale, anche se allora non era ancora capo-druido.-
-E sia. Tenteremo-, confermò Taliesin dopo un altro momento di riflessione. -Sono sicuro che anche gli altri druidi del Consiglio accetteranno. Questo rituale potrebbe tornarci molto utile in futuro. Lasciatemi qualche giorno per organizzare la cosa, poi ne riparleremo.-
Taliesin fu di parola e dopo appena tre giorni venne a cercare me e Caysia.
-E’ fissato per il prossimo plenilunio, tra cinque giorni. La luna darà maggior potere alla nostra opera-, annunciò il capo-druido.
-Posso essere d’aiuto?- domandò Caysia.
-Tu sei fondamentale, mia cara. Sei la nostra veggente più potente.-
-Quanti druidi parteciperanno?- domandai incuriosito.
-Tra cinque giorni saprete tutto. Venite al bosco sacro al calare della sera. Mentre attendiamo lo spuntare della luna vi spiegherò ogni cosa.
L’attesa fu snervante ma, finalmente, il giorno del plenilunio arrivò, il giorno in cui il mio destino sarebbe stato svelato. La serata si preannunciava nebbiosa e questo mi fece temere per la visibilità dell’astro notturno. Fortunatamente, solo una lieve foschia si levò dalla terra e dai fiumi delle vicinanze e nulla ostacolò l’inizio del rituale. Giungemmo con largo anticipo ma Taliesin era già nel bosco sacro.
-Al rito parteciperanno quattro druidi più Caysia. Il ruolo principale lo avrà un giovane druido di nome Almet, un sognatore benedetto da visioni nel sonno davvero potenti. Caysia alimenterà il sogno di Almet con il suo potere di veggenza mentre io gli darò forza attingendo alle energie della natura. Kevin il bardo userà la sua arte per stimolare il sonno e la visione e per coordinare i nostri sforzi. Rinwell il divinatore, infine, interpreterà la visione di Almet. Tu ti stenderai accanto al sognatore, Khalàd, per focalizzare il sogno su dì te.-
-Un complesso lavoro di squadra-, dissi io cercando immaginarmi la scena.
-Questa volta la visione dovrebbe essere più chiara che in passato perché abbiamo Caysia. Il suo potere è molto più forte di quello di un druido veggente.-
-Correrà pericoli?- gli domandai timoroso.
-Non correrò nessun pericolo, amore mio. Non più degli altri druidi-, rispose lei con un sorriso per tranquillizzarmi.
-Ha ragione, Khalàd. Nessuno correrà pericolo. Nel peggiore dei casi falliremo.-
Giunsero gli altri interpreti della cerimonia e iniziammo a prendere posizione. Almet si stese al centro della radura, ai piedi del masso su cui ardeva il fuoco sacro dei druidi. Io mi misi accanto a lui mentre Caysia si sedette abbastanza vicino alla testa del sognatore da poterla toccare con le mani. Taliesin e Kevin erano a poca distanza mentre il divinatore, Rinwell, si teneva momentaneamente in disparte. Ad un cenno del capo-druido, il rituale iniziò. Il bardo prese ad accarezzare la sua arpa e a trarne una musica lenta, dolce e soporifera. Taliesin nello stesso momento chiuse gli occhi ed iniziò lentamente ad allargare le braccia. Il suo viso era teso. Stava raccogliendo le forze della natura che lo circondava e le convogliava nel divinatore che già si stava addormentando. Anche Caysia era concentratissima, con una mano posata sulla fronte del druido in modo da incrementare il potere veggente del giovane. Passarono minuti che sembravano ore. Almet si era addormentato e non restava che attendere che si svegliasse. Capitò nel modo più brusco e improvviso che se potesse immaginare. Si tirò a sedere di colpo, con il corpo irrigidito, urlando, e anche Caysia si spaventò. Ritirò la mano interrompendo il contatto. Kevin smise di suonare e Taliesin disperse lentamente l’energia che aleggiava intorno a tutti noi. Il rito era concluso.
-Almet!-, chiamò il capo-druido prendendo il giovane compagno per le spalle e scuotendolo. –Riprenditi! Sono Taliesin!- Gli occhi del sognatore rimanevano spalancati in uno sguardo di terrore e il suo respiro era rapido e affannoso.
-Ci penso io, amico-, intervenne Kevin facendosi avanti. Bastarono pochi accordi del suo strumento per calmare Almet e farlo tornare alla normalità.
-Terrificante!- fu la prima parola che uscì dalla sua bocca. –Il tuo avversario è davvero spaventoso-, mi disse mettendomi già una grande preoccupazione addosso.
-Racconta la tua visione a Rinwell. Penserà lui ad interpretarla-, lo sollecitò il capo-druido.
Il sognatore fu aiutato ad alzarsi e, barcollando, si allontanò da noi assieme al druido divinatore. Parlarono per alcuni minuti, poi Rinwell si fece pensieroso e cominciò a passeggiare avanti e indietro sull’erba, rimuginando su ciò che il sognatore gli aveva raccontato.
-Perché non poteva semplicemente raccontarci quello che aveva sognato?- domandai io perplesso.
-Le visioni nel sonno non giungono mai sotto forma di precise immagini di quello che sarà-, iniziò a spiegarmi Taliesin. –Il più delle volte arrivano a noi sotto forma di indizi visivi, che vanno interpretati secondo una complessa simbologia.-
-Per questo hai voluto anche un divinatore-, commentai.
-Esattamente. Il compito di Rinwell è quello di interpretare ciò che Almet ha sognato e di collocarlo in uno schema comprensibile.-
Rinwell il divinatore tornò nel gruppo dopo quasi un’ora di attesa. Almet se ne era andato dopo aver raccontato al compagno il suo sogno, stremato per il grande sforzo. Il viso del divinatore, un uomo di mezza età dai capelli castani e dagli occhi di un bell’azzurro chiaro, era molto teso. Si vedeva chiaramente che l’interpretazione non era stata facile.
-Abbiamo ottenuto ciò che volevamo, Rinwell?- domandò il capo-druido quando il divinatore fu di nuovo tra noi.
L’uomo annuì. –Si. Il rituale è riuscito, nonostante ciò che ne è emerso mi lasci molto perplesso.-
-Dicci cosa ha visto Almet-, lo incitò Taliesin.
Rinwell si voltò verso di me ed iniziò a parlare. –Sei parte di un grande progetto, Khalàd di Uruk, un progetto divino che ti pone su una strada molto lunga da percorrere. Questa via è segnata ma sta a te scegliere come percorrerla, acquisendo gli insegnamenti che la vita ti elargirà. Non sei solo però ad affrontare questa prova. A fianco a te c’è un’ombra, un uomo dal viso deturpato, che segue il tuo stesso sentiero.-
-Lo sfregiato-, affermai io. Ormai non avevo più dubbi che fosse lui il mio antagonista.
-Un uomo che percorre una strada identica alla tua ma che finora ha fatto scelte estremamente opposte a quelle cha hai fatto tu, poiché il suo animo è nero come la notte.-
-Qual è lo scopo di questo viaggio?- domandai a Rinwell, sempre più ansioso di ottenere la risposta che tanto avevo cercato.
-Lo scopo è imparare, per quando ci è dato sapere, ma potrebbe non essere quello definitivo. Ad un certo punto, molto avanti nel tempo, la vostra strada si restringe e vi sarà uno scontro. In quel momento dovrete mettere a frutto tutto ciò che avrete imparato vivendo e, chi sopravvivrà, otterrà una grande ricompensa dal cielo.-
-Chi è lo sfregiato? Almet è riuscito a sapere il suo nome?-
-No. Quando la sua volontà, spinta dal potere veggente di Caysia, ha tentato di penetrare quella nera figura, il tuo avversario, non so come, se ne è accorto e lo ha scacciato terrorizzandolo. E’ il momento in cui si è svegliato. E’ tutto.-
-Ti siamo debitori, Rinwell. A te e ad Almet verrà pagato il giusto prezzo. Ora lasciaci perché dobbiamo riflettere su ciò che è stato detto-, gli disse Taliesin con un sorriso.
Anche Kevin il bardo stava per andarsene quando il capo-druido gli chiese di fermarsi. Kevin era un uomo enigmatico. Aveva la corporatura, e sicuramente anche la forza, di un guerriero ma non lo avevo mai visto con una spada in mano. Portava i suoi lunghi capelli castani raccolti in una treccia che gli cadeva sulla schiena e i suoi occhi scuri erano come due pozze di cielo notturno. Non si sapeva mai a cosa stesse pensando. Il viso era segnato da profonde rughe, nonostante non dovesse essere più vecchio di Taliesin. Era forse questo il prezzo per il potere più grande dei druidi? Il potere della poesia e dell’incanto?

-Ma erano davvero così potenti?- mi domanda Cristina scettica. –Erano solo dei poeti.-
-Solo?!- esclamo io piuttosto sorpreso. –Allora non mi hai ascoltato finora. Quando il bardo riusciva ad armonizzare la musica e la parola, non c’era nulla di impossibile per lui. Era vera magia, alimentata dalla grandissima conoscenza di cui era depositario. Per questo motivo il consiglio di un bardo era talmente simile alla Legge di Breohn che spesso il suo ruolo era confuso con quello del giudice.-
-Sarà-, esclama lei. Evidentemente non l’ho convinta.

-Che cosa hai inteso di tutto ciò, amore mio?- mi domandò Caysia guardandomi speranzosa con i suoi dolci occhi neri.
Sospirai sconsolato mentre i miei amici pendevano dalle mie labbra. –So molto più di prima. Conosco lo scopo primario della mia vita, so come muovermi. E’ una sorta di invito a rassegnarmi, se proprio devo dirla tutta. Non ho avuto, però, la risposta più importante. Qual è lo scopo ultimo di questa specie di gara? Perché io? Perché tutto questo? Solo per assegnare un premio? Ora più che mai mi rendo conto di aver sempre avuto ragione sugli Dei che abitano il cielo. Hanno un pessimo senso dell’umorismo e noi ne siamo il loro bersaglio preferito.-
-Non abbatterti, Khalàd-, mi disse Taliesin mettendomi una mano su una spalla. –Questo è stato un inizio. Vedrai che un giorno scoprirai il vero scopo della tua vita.-
-Ti ringrazio per le tue parole, capo-druido. Ora vi chiedo, a tutti voi, di lasciarmi un po’ da solo. Questo luogo sacro è il posto migliore per riflettere.-
Nessuno ebbe da obiettare, neppure Caysia che mi comprendeva meglio degli altri. Tutti se ne andarono. Tutti tranne Kevin. Quando mia moglie e il capo-druido furono abbastanza lontani, il bardo parlò.
-Loro sanno quanto tempo è passato da quando questa sfida è iniziata? E quanto ancora durerà?-
-Che cosa intendi, bardo? Io non…-
-Sai bene cosa intendo… immortale.-
Rimasi pietrificato dallo stupore. –Come fai a sapere… E’ stata forse Caysia a rivelartelo? Solo lei conosce il mio segreto!-
-Non è stata lei ma mentre celebravamo il rito della veggenza mi sono infiltrato nella visione di Almet e ho visto tutto-, mi rispose con un mezzo sorriso.
-Sai dirmi qualcosa di più di quello che mi ha rivelato Rinwell?- gli chiesi speranzoso.
-Non sul sogno. Tuttavia un aiuto posso dartelo perché ho visto qualcos’altro che ti riguarda, il tuo conflitto interno.-
-Di cosa stai parlando?-
-Del fatto che freni la tua lama davanti ad un avversario che vuole ucciderti-, mi disse serio Kevin, con un tono quasi di rimprovero. –Del fatto che ti chiedi se sia giusto o no togliere la vita. Vedo l’indecisione e il dubbio nel tuo cuore, anche in questo momento. E ho visto lo spirito di un uomo, un uomo buono, che veglia su di te.-
-Lui è qui in questo momento?!- gli chiesi incredulo.
-E’ sempre stato con te da quando sei arrivato-, affermò il druido annuendo. –E’ proprio lui, però, che genera la guerra che è dentro di te.-
-Che pensi dovrei fare?!- gli domandai un po’ acido. –Dovrei mettermi a massacrare la gente solo perché ne ho la capacità e sono bravo a farlo?!-
-No. Ma devi compiere una scelta definitiva, Khalàd. O sei un guerriero, e accetti che talvolta sarà necessario uccidere e adempiere al tuo scopo e a quello della tua spada, oppure scegli di non esserlo, in questo caso puoi predicare amore fino al giorno della tua morte, se mai verrà.-
Rimasi a bocca aperta. I bardi erano davvero uomini terribili. Le sue parole mi colpirono come pugni nello stomaco e fecero davvero male, soprattutto perché erano vere. Che stavo facendo? Chi ero? Caddi in ginocchio, in lacrime, mentre Kevin il bardo lasciava il bosco sacro.
Quando tornai a casa ero un uomo distrutto e mi ci vollero giorni per riprendermi. Caysia si preoccupò molto per me, nonostante tutte le mie rassicurazioni. Ci volle tempo per assorbire il colpo ma alla fine ci riuscii. Decisi però di fare la mia scelta con calma. Di tempo ne avevo molto, come al solito. Accantonai anche la questione della visione. Qualunque fosse la ricompensa in palio per la sfida con lo sfregiato, se mai ci fosse stata, oramai sapevo come indirizzare i miei passi e, ammetto con un po’ di orgoglio, fino a quel momento me l’ero cavata bene.
Un paio d’anni dopo il mio matrimonio con Caysia, la questione dei figli si era fatta difficile e mia moglie temeva che la colpa fosse sua, che non fosse una donna completa in grado di dare figli ad un uomo. La sera che mi disse questo non resistetti più a tacere e le raccontai la verità.
-Avrei dovuto parlartene molto prima-, dissi triste e timoroso di perderla. –Prima ancora di chiederti di sposarmi. Sono stato un vero egoista.-
-Si, lo sei stato-, disse lei alzandosi in piedi. Il suo volto era rigato di lacrime. –Ma non per il fatto di avermi chiesta in moglie sapendo di non poter avere figli.- Non riuscivo a capire. Quanto ottuso ero. –Se lo avessi saputo prima del matrimonio ti avrei sposato lo stesso, Khalàd. Il mio amore per te era più forte di qualsiasi ostacolo.-
-E lo è ancora? Potrai mai perdonarmi?- le domandai disperato.
-Lo dirà il tempo-, sussurrò. Quella notte la sentii piangere sotto le coperte, avvertendo ancora più forte il peso della mia meschinità.

-Ti perdonò?- mi domanda Cristina.
-Lo fece, ma le cose non furono più le stesse. Ci amavamo sempre molto ma ogni volta che Caysia vedeva un bambino in fasce o una coppia che giocava con i propri figli, si rattristava e diventava irritabile.-
-Una donna può portare rancore per sempre-, cita mia nipote.
-E lo accettai senza obiettare. Me lo meritavo per quello che le avevo fatto, nonostante fosse grande il dolore che mi procurava.-

Dopo un altro anno giunse una triste notizia. Giuseppe di Arimatea era gravemente malato e aveva chiesto di me. Viveva al nord e non ho mai saputo come abbia fatto a scovarmi, anche se avrei dovuto immaginarlo visto che fu Kevin a portarmi la notizia. Non fu un incontro lungo perché arrivai appena in tempo per ricevere la ciotola dalle sua mani, oramai considerata una reliquia tra i nuovi seguaci della parola di Cristo. Il sangue di Gesù si era disseccato e ne rimaneva solo una traccia scura sulla terracotta. Giuseppe morì tra le mie braccia e, silenziosamente, pregai lo spirito del nostro comune amico di accoglierlo nel regno celeste di cui aveva parlato in vita. Molti erano i discepoli che aveva raccolto attorno a se e tutti mi trattarono come un santo quando mi videro uscire dalla casa dell’ebreo con la ciotola in mano. Qualcuno arrivò persino a chiedermi di prendere il posto di Giuseppe come predicatore. Feci presto ad andarmene perché avevo visto troppo bene dove lo zelo religioso poteva portare. Il quarto evento, il più triste, incombeva su di me e la Britannia e dovevo prepararmi ad affrontarlo.
Una mattina dell’anno 43 d.c., sotto il dominio dell’imperatore Claudio, due intere legioni romane sbarcarono sulle coste della nostra isola e non erano certo venute per ammirarne il panorama. Roma era arrivata. Fu indetto un raduno straordinario di tutti i druidi di Britannia che giunsero al bosco sacro in pochissimi giorni. Erano più di trecento. Fummo invitati anche io e Caysia e molti dei sacerdoti si meravigliarono nel vedere due estranei essere così altamente considerati dal Consiglio.
-Il popolo della Britannia ci chiede consiglio e aiuto-, iniziò Taliesin. –E’ spaventato dalla forza distruttiva delle legioni romane che avanzano verso nord. Molti villaggi sono già caduti e in molti luoghi sono state compiute stragi di innocenti, a quanto mi dicono.-
Rimasi piuttosto sorpreso da quella notizia. –La fonte è affidabile, capo-druido?- domandai facendomi avanti.
-Assolutamente. La fonte sono alcuni tra i fratelli che sono qui presenti, tra cui il nostro amico e cugino Twilir-, rispose il capo-druido serio.
Twilir, chiamato in causa, si fece avanti. –Ho visto personalmente la devastazione lasciata dai romani. In molti villaggi tra qui e il mare hanno fatto molti prigionieri e trucidato innocenti.-
Scossi la testa. –E’ strano, amico mio. I romani non hanno mai agito in questo modo. Non uccidono per il piacere di farlo. La loro strategia di conquista non lo prevede.-
-Che intendi dire, uomo del sud? Che non sono romani quelli che ci invadono? Oppure metti in dubbio le parole del nostro fratello?- domandò un altro druido. Bastò un mio sguardo felino per zittirlo.
-No. Sono sicuramente romani. Dev’essere un’unità di esploratori, non la legione al completo. Si muovono troppo rapidamente. Temo si tratti di un comandante che si sia fatto prendere la mano e che uccida e depredi per conto proprio.-
-Cosa proponi di fare, Khalàd?- mi chiese ad alta voce Kevin il bardo dopo aver zittito il vociare dei presenti con un accordo della sua arpa.
-La mia opinione sull’invasione romana l’ho già espressa, amico bardo. Questi esploratori impazzito sono però un problema diverso. Dobbiamo tenerli d’occhio, radunare dei guerrieri e, se il numero lo permette, distruggerli prima che facciano altre vittime-, sentenziai.
-Ma così facendo non provocheremmo ancora di più i romani?- mi chiede Taliesin perplesso.
-I romani non hanno bisogno di provocazioni per conquistarci-, gli spiegai sconsolato. –Se però questi uomini sono dei cani sciolti, Roma non piangerà troppo al lungo la loro perdita.-
D’improvviso, Caysia si fece avanti e si portò al centro della radura, accanto alla pietra del fuoco sacro. Il suo sguardo era vacuo e gli occhi sbarrati. Stava avendo una visione. I druidi tacquero all’istante.
-Vedo il fuoco e il ferro di Roma che avanzano verso di noi, verso questo bosco, verso il villaggio dei druidi. I druidi fuggono, il villaggio brucia. Un uomo solo resta a combattere. Il suo cuore è carico d’odio e rabbia. La sua spada chiede sangue…- Non riuscì a dire altro perché cadde a terra svenuta.
-Caysia…-, le sussurrai quando accorsi per prestarle aiuto. Lei riaprì gli occhi. –Che è successo?- mi chiese.
-Una visione. Una brutta visione.-
-Ricordo solo… il fuoco-, disse lei.
-Avete udito la veggente!- iniziarono ad urlare i druidi come impazziti. –La Britannia è finita! Roma ci distruggerà!-
Il raduno fu sciolto ma alcuni di noi rimasero nel bosco sacro per decidere il da farsi. C’eravamo io, Taliesin, Twilir, Kevin e alcuni altri druidi anziani del Consiglio.
-Mandiamo messaggeri ai villaggi vicini per avvisarli del pericolo. Devono radunare i guerrieri e prepararsi a combattere-, propose Taliesin.
-Quanto pensi impiegheranno a giungere qui?- domandai a Twilir.
-Non più di tre giorni. So che le due legioni sono ancora molto a sud ma questo gruppo di massacratori si muove molto in fretta-, rispose l’anziano giudice.
-Dobbiamo distruggerli prima che distruggano noi. Se farai radunare i guerrieri, Taliesin, di loro di concentrarsi sugli esploratori e di non andare ad attaccare briga con il grosso dell’esercito.-
-Sono molti. Saranno pronti ad affrontare anche le legioni.-
Scossi la testa. –Te l’ho già detto, Taliesin. Neppure foste migliaia potreste confrontarvi con la tattica, l’armamento e la forza delle legioni. La mia speranza è di poter parlamentare con i consoli che le comandano per trattare una pacifica convivenza.-
-Non possiamo arrenderci, uomo del sud!- esclamò indignato uno dei druidi anziani. –La Britannia è una terra libera e tale deve restare!-
-Ho espresso il mio pensiero ma la decisione non spetta a me-, dissi per chiudere la questione.
-Pensiamo prima agli esploratori, Khalàd. Il tuo consiglio è saggio e se li fermiamo avremo il tempo di organizzare la guerra… o la resa.-
-Bisogna avvertire le tribù a nord-, intervenne Kevin. –Se saranno preparate, in caso di guerra potremo contare su un fronte unito.
-Ben detto, Kevin-, concordò il capo-druido. –Ma bisogna farlo in fretta e noi druidi non siamo veloci nel viaggiare.-
-Ci andrò io-, proposi. –Se da questo dipende l’esito dello scontro con i romani, andrò io ad avvertire il nord del loro arrivo. Posso correre più veloce di qualsiasi britanno e tornerò in tempo per affrontare gli esploratori se sarà necessario.- Caysia, che si era ripresa del tutto, mi si strinse addosso. In quel momento di paura ogni tensione tra noi era sparita e dopo tanto tempo ritrovai quel calore che tanto disperatamente avevo cercato in lei.

-Riuscisti nell’impresa?-
-Naturalmente. Non c’erano molti cavalli veloci nel nostro villaggio e io, comunque, sapevo stare a malapena in sella. Tuttavia era difficile starmi dietro quando evocavo lo spirito della zebra e quello della gazzella-, rispondo serio. Cristina intravede un’ombra sul mio volto.
-Che succede, nonno?-
-Non tornai in tempo.-

La valutazione di Twilir si era dimostrata errata. Gli esploratori romani, probabilmente venuti a conoscenza dell’esistenza del nostro villaggio, il centro di potere della Britannia, avevano puntato dritti verso l’obiettivo importante. Vidi le colonne di fumo alzarsi dietro gli alberi quando ancora mancavano ore al mio arrivo al villaggio. Avevo viaggiato tutta la notte e mancava poco all’alba. Spiccai la corsa come una furia, con il cuore pieno di timore, ma non feci molta strada prima di incontrare il gruppo dei superstiti. C’erano Taliesin e la sua famiglia, Kevin il bardo e una decina di altri druidi. Su di una barella, con il respiro irregolare e il volto cereo, c’era la mia Caysia. Aveva un’orribile ferita sul fianco e il sangue le imbrattava tutta la bianca tunica.
-Caysia!- urlai correndo al suo capezzale.
-Sono arrivati stanotte, Khalàd-, mi disse Taliesin sconsolato. -Hanno ucciso e bruciato, senza chiedere nessuna resa. Saranno almeno duecento uomini. I nostri guerrieri dei villaggi a sud non sono riusciti a fermarli. Troppo pochi se ne sono radunati. Twilir…- Il capo-druido aveva la tunica macchiata di sangue e un profondo taglio gli solcava la fronte.
-Dov’è Twilir?- chiesi inespressivo, senza neppure guardarlo in volto.
-E’ morto tentando di difendere Caysia.-
-Khalàd… amore mio…- sussurrò lei sentendo la mia voce.
-Sono qui, mia Cassandra-, le risposi con la voce rotta dall’emozione.
-Sento… freddo… molto… freddo…-. La stretta al cuore mi si fece più forte. La stavo perdendo. –Sai… mi dispiace… di averti… detto quelle… cose… anni fa…-
-Non parlare Caysia. Troveremo un guaritore e starai…- Non potei terminare la frase perché un fiotto di sangue le sgorgò dalla bocca e si accasciò. La sua testa ricadde tra le mie braccia.
-Caysia! Caysia! Non lasciarmi!- le urlai scuotendola e piangendo disperato come un bambino.
-Dobbiamo andare, Khalàd. I romani sono ancora al villaggio e ci raggiungeranno in fretta. Noi andiamo a nord, a riunirci con gli altri druidi superstiti…-
-Hai detto che sono circa duecento?- gli domandai con un sibilo di rabbia alzandomi in piedi, senza staccare gli occhi dal corpo inerme della mia amata.
-Si, ma che vuoi…-
-Due centurie. Troppo pochi per impensierirmi-, esclamai e nello stesso momento mi tornò in mente l’ultima visione di Caysia. Lei lo aveva previsto. Forse aveva visto anche la sua morte, ma non lo aveva rivelato per non farmi preoccupare. Ora avrei onorato l’ultimo atto di quella predizione.
-Sei uscito di senno?! Li vuoi affrontare da solo?! Ti massacreranno!-
Con un ruggito selvaggio mi strappai di dosso la tunica scoprendo il petto e la mia orribile cicatrice. Il torque d’oro faceva uno strano contrasto con la sottile pelle arrossata dell’antica ferita. Estrassi Uragano e mi preparai a donarle il primo tributo di sangue dopo la sua rinascita.
-Porta il suo corpo con te, Taliesin, e appronta un degno rito funebre. Io vi raggiungerò presto.-
-Khalàd! Tu stesso hai detto che non si può vincere contro le legioni!- esclamò Taliesin in un ultimo disperato tentativo di fermarmi.
Lo guardai con il mio sguardo più spietato. –Io sono una legione. Non l’hai ancora capito?-
-Tu non…- stava per dire il capo-druido ma Kevin lo zittì con la sua arpa.
-Torna presto tra noi, guerriero. La tua donna riceverà tutti gli onori.-
Con quella promessa spiccai la corsa nel folto della vicina foresta, sul sentiero per il villaggio. Volevo essere li prima dell’alba, in modo da affrontare quegli assassini al massimo della mia potenza, come avevo fatto altre volte in passato, in situazioni simili. Quando arrivai al villaggio il cielo stava schiarendo dietro le cime degli alberi. Le due centurie romane erano accampate appena fuori dell’insediamento, dove avevano eretto le loro tende. Non vidi cavalli ma la cosa non mi sorprese. I comandanti romani utilizzavano la cavalleria leggera solo in operazioni di disturbo e mai su terreni accidentati come quelli della Britannia.
-Chi è il vostro comandante?!- urlai in latino ai legionari avanzando minacciosamente verso di loro. Mi fermai a non più di cento passi di distanza dal primo gruppo.
Quando mi videro iniziarono a sghignazzare e a deridermi. Per precauzione, però, si armarono. –Hai voglia di morire come tutti quelli che hanno osato sfidarci, celta? Parlare come noi non ti farà guadagnare un trattamento di favore-, mi gridarono di rimando.
-Non è un celta!- disse un altro legionario. -Sembra un giudeo o un altro di quei topi di deserto!-
-Chi mi sta cercando?- esclamò una voce rauca da dietro il mucchio dei soldati. I ranghi si aprirono e comparve il comandante degli esploratori. Portava il classico equipaggiamento romano composto da corazza, protezioni per braccia e gambe, manto purpureo ed elmo crestato che pareva identificarlo come un tribuno. Accanto a lui si fece avanti un uomo che conoscevo bene e che in passato avevo chiamato amico. Sextus Galbo.
-Khalàd?!- esclamò il centurione riconoscendomi nonostante il mio aspetto così diverso. –Sei davvero tu?!- Era persino più sorpreso di me.
-Conosci quest’uomo, centurione?- domandò il tribuno guardandolo di traverso.
-Si, tribuno. L’ho conosciuto molti anni fa, in Giudea, dove faceva il taverniere per i soldati del presidio.-
-Sono il tribuno Aulo Sentio, comandante degli esploratori della decima legione. Sei lontano da casa, giudeo. Che vuoi da me?-
-Non sono ne un giudeo ne un celta ma per te non fa differenza. Tra poco sarai cibo per i vermi-, gli risposi sprezzante, facendolo sicuramente irritare. –Sextus! Che ci fai al seguito di questo assassini? Ti conoscevo come un soldato onorevole!-
-Io…- tentò di dire il centurione ma il suo comandante lo precedette. –Il centurione è il mio uomo più fedele-, esclamò il tribuno sorridendo. Dalle loro espressioni capii che non era vero. – E ora eseguirà il mio ordine e verrà ad ucciderti.- Sextus si drizzò di colpo e guardò a bocca aperta il suo comandante. –Uccidi quell’uomo, centurione!- ordinò Aulo Sentio.
Mentre io rimanevo impassibile e in attesa degli eventi, vidi Sextus Galbo esitare prima e avanzare poi timidamente verso di me. Estrasse il gladio ma si fermò a metà strada tra me e i suoi compagni. Pensavo che volesse davvero attaccarmi quando gettò l’arma a terra.
-Io sono Sextus Galbo, centurione delle legioni di Roma!- urlò senza voltarsi mentre il tribuno e i suoi uomini ammutolirono per quella disobbedienza. –Sotto il tuo comando, Aulo Sentio, sono stato costretto a compiere atti orribili e per questo renderò conto agli dei. Ma ora non ti obbedirò più! Mi riprendo il mio onore di romano e…- Prima che potessi avvertirlo o intervenire, con un movimento fulmineo del braccio, il tribuno romano prese una lancia e la scagliò addosso al mio amico, trafiggendolo.
-Sextus!- gridai correndo a sorreggerlo.
-Mi aveva stancato con i suoi discorsi sull’onore e sulla morale. Questa è stata l’ultima volta che mi disobbediva-, commentò il crudele tribuno, ma io non ci badai.
-Sextus, amico, resisti! Ti porterò dai druidi e loro ti cureranno!-
-No… Khalàd… Questo è ciò che mi merito per… quello che ho… fatto-, disse con un filo di voce mentre un rivolo di sangue gli colava dalla bocca. –Ora potrò… incontrare i miei padri… senza vergognarmi…-. Morì con il volto sereno.
In poche ore, per colpa di Aulo Sentio e dei suoi tagliagole, avevo perso una moglie e un caro amico. Era troppo.
-Gesù-, invocai poggiando a terra il corpo del centurione. –Perdonami se non potrò mantenere la promessa che ti ho fatto, ma le vite di questi uomini non valgono la pietà di nessuno.- Mi alzai in piedi e guardai il chiarore imminente che stava per inondare il villaggio occupato. –Fai mettere le tue pecore in formazione, cane!- urlai al tribuno.
-Ma chi credi di essere? Uno contro duecento? Sei solo un folle!- mi rispose sprezzante ma subito tacque e mise mano al gladio quando mi vide scattare in avanti urlando.
Da quel momento fu Uragano a suonare la sua canzone di morte. La luce del sole mi inondò quando già una trentina di legionari erano a terra, molti dei quali decapitati. Sfruttando l’insegnamento di Taliesin, assorbii in pieno i raggi luminosi e mi scatenai, come un leone di luce che assale solitario i lupi delle tenebre. Trafiggevo e squartavo, decapitavo e mozzavo arti. Non sentivo la fatica. L’odio e la rabbia mi davano energia a sufficienza tanto che non sarebbe servito neppure l’aiuto dell’alba. Uragano era divenuta un’arma spaventosamente potente e, a quanto aveva detto Calhorn, non era neppure paragonabile ad Excalibur. I pesanti scudi di bronzo dei legionari non mi fermavano, come pure i loro ridicoli gladi e le loro lance. Venni ferito molte volte, trafitto in ogni parte del corpo, ma dopo pochi istanti il sangue smetteva di sgorgare e i miei avversari si spaventavano ancora di più. Ogni volta che incrociavo la spada con Aulo Sentio lo scansavo e lo gettavo da un lato. Il leone voleva tenere il boccone più saporito per ultimo e in quel momento ero una fiera davvero affamata. Solo il massacro che compii alle Termopili poteva essere paragonabile a quello che feci in quel luogo perché non mi fermai finché non rimase solo il tribuno… tremante di paura.
-Dunque, Sentio-, ringhiai a bassa voce. –E’ il tuo turno ora.-
-No! Ti prego! Risparmiami!-
-In quanti ti hanno chiesto pietà?! A quanti l’hai negata?!- La sua totale mancanza di onore mi disgustò a tal punto che lo uccisi con un colpo solo, tagliandolo in due di traverso con la mia spada e abbandonando tutti i miei propositi di farlo soffrire il più a lungo possibile.
Caddi in ginocchio e lasciai che le forze mi abbandonassero del tutto. Rimasi li, coperto di sangue e totalmente svuotato per quasi un’ora, in mezzo a tutti quei cadaveri, poi tornai alla realtà. M’incamminai senza più voltarmi indietro.

-La tua rappresaglia non fece arrabbiare i romani?- mi domanda perplessa Cristina, per nulla inorridita dal mio racconto. Evidentemente considera la mia vendetta lecita ed è una cosa insolita per lei.
-Per nulla, ma lo avevo previsto. Qualche anno dopo, chiedendo informazioni su quell’evento, scoprii che avevo fatto un grosso favore al console che comandava la legione perché Aulo Sentio era una continua fonte di guai per Roma.-
-Fu Taliesin a celebrare il funerale di Caysia?-
-No. Caysia ricevette un elogio funebre riservato solo ai grandi condottieri. Kevin il bardo compose un poema in suo onore e lo recitò di fronte a tutti i superstiti del villaggio, la sera in cui posai l’ultima pietra sul suo “cairn”, il suo tumulo funebre.

I druidi non ricostruirono il loro villaggio ma decisero di disperdersi per la Britannia, in modo da essere più vicini al loro popolo, mentre Roma conquistava tutta la parte meridionale dell’isola.
-Ho un compito per te, Khalàd-, mi disse Taliesin il giorno in cui lasciò il nostro improvvisato accampamento. –Un favore, in verità.-
-Non hai che da chiedere, amico mio-, gli dissi senza nessuna vitalità, il mio stato abituale da quando avevo perso Caysia.
-Voglio affidarti questa-, mi disse il capo-druido porgendomi l’involucro di pelle che sapevo contenere Excalibur.
-Per quale motivo? E’ la spada che dovrà difendere la Britannia. Deve essere custodita dai druidi.-
-Io voglio che la custodisca un guerriero e che la difenda. Se il nemico mettesse le mani su questa spada, non oso pensare cosa potrebbe accadere.-
Presi la spada con mani tremanti, poi, dopo un attimo di riflessione, ritrovai un po’ del mio spirito. –Lo farò, Taliesin. La custodirò e la consegnerò al condottiero che ne sarà degno, che saprà unire la Britannia e renderla nuovamente una terra libera di uomini liberi. Ci volessero anche…dei secoli.-
-Addio, amico mio. E’ stato un onore per me conoscerti.-
-Lo è stato anche per me, Taliesin. Addio.-

-Tu dove andasti, nonno?-
-Mi rintanai a nord, seguendo Kevin in giro per la Caledonia e le altre terre dei celti gaeli, portando con me Excalibur. Vidi morire lentamente tutti i miei amici. Non mi preoccupavo più di giustificare la mia perenne giovinezza. Kevin conosceva il segreto e Taliesin, beh… lui non ci badava. Aveva altro per la testa.-
-Hai trovato il condottiero, immagino-, mi dice mia nipote. –Artù.-
-No. Artù ha solo ereditato Excalibur, da suo padre Uther.-
-Allora a chi l’hai data?!-
-L’incontro con quell’uomo, verso la fine del II secolo d.c., fu l’ultimo avvenimento che segnò la mia permanenza in Britannia.-
-Chi era?-
-Il suo nome era Lucius Artorius Castus, un comandante mezzo romano e mezzo britanno, che guidava una forza militare della quale non si era mai visto l’eguale nell’isola. Mentre il grande muro voluto dall’imperatore Adriano, per tenere lontane le bellicose tribù del nord dai domini romani, veniva ultimato, Castus portò in Britannia i cavalieri delle steppe dell’est, i sarmati, con i loro poderosi destrieri. Vestivano rudimentali armature di scaglie e il loro aspetto era brutale, ma sopra ad un cavallo erano combattenti quasi invincibili e il loro stesso comandante aveva imparato a guerreggiare in quel modo.-
-Gli antenati dei famosi cavalieri di Artù-, ipotizza Cristina. –Ma cosa ti fece decidere di affidare proprio a quell’uomo un’arma potente come Excalibur?-
-Vari motivi. Il primo era il rispetto che i suoi uomini gli portavano. I sarmati erano un popolo sconfitto da Roma, arruolati dalle legioni per la loro grande abilità come cavalieri. Mai avevo visto uomini di un popolo battuto essere tanto fedeli ad un condottiero del nemico che li aveva soggiogati. Per onorare il loro comandante, dopo ogni vittoria, si mettevano in cerchio con i loro cavalli e battevano le loro spade sulle corazze, in segno di saluto. Poi c’era il fatto che Artorius Castus era diverso da qualsiasi altro romano avessi mai conosciuto. Credeva fermamente nella legge di Roma e la faceva rispettare in egual misura da tutti, britanni e romani. Più volte l’ho visto scatenare i suoi cavalieri contro drappelli di legionari che saccheggiavano dei villaggi di gente inerme, all’insaputa dei loro superiori. Altre volte sovvertiva le sentenze dei giudici militari perché ingiuste e di parte. Nessuno osava sfidarlo e la sua fama di gran condottiero e di uomo giusto cresceva a dismisura. Ultimo motivo, ma non meno importante, perché sotto la corazza portava sempre un medaglione d’argento raffigurante un animale sacro dei celti. Un drago.-
-La visione di Caysia!- esclama Cristina spalancando gli occhi per la sorpresa.
-Esattamente. Affidai Excalibur a lui e ai suoi discendenti, con la promessa che sarebbe stata usata per difendere quella terra che era anche la sua. Nel momento stesso in cui gli consegnai la spada, sentii il consueto senso di disagio che mi suggeriva di partire, di andarmene. Il mio tempo in Britannia era finito.-
-Quando tornò in tuo possesso la spada?-
-La ripresi tre secoli dopo. Artù, morente sul campo di Camlann, dove aveva sconfitto il rivale Mordred, me la riconsegnò perché non cadesse nelle mani dei sassoni, alleati del suo nemico.-
-Una storia affascinante, nonno, ma…-
-Ho le prove.-
-Naturalmente-, esclama lei con un sospiro, immaginando già quale favoloso reperto io stia per mostrarle. Le porgo due scatole di legno scuro che lei apre e appoggia sul tavolo per ammirarne il contenuto. Dopo pochi istanti i suoi occhi si inumidiscono e inizia a piangere per l’emozione. Non la interrompo perché è stata per anni la mia stessa reazione ogni volta che ammiravo quegli oggetti, i due torques d’oro che avevano unito me e Caysia per pochi ma intensi anni d’amore.

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