giovedì 8 maggio 2008

2 - LE MURA DI TROIA

Iniziò così la mia nuova vita di guardia di carovane. Il giorno prima della partenza, di buon mattino, ero tornato nel luogo dell’incidente e avevo recuperato il pezzo di metallo che non era andato distrutto dal fulmine assieme a Sunàt.

-O non si trattava di metallo oppure il fulmine era davvero potente per distruggere quel minerale-, mi fa notare Cristina.
-Ti assicuro che era metallo ma scoprii che fine aveva fatto l’altro pezzo solo molti secoli dopo-, affermo tentando di cambiare argomento. Non voglio rivelarle troppe cose insieme, per non distrarla dal corso della narrazione.

Avevo deciso di portarlo con me e cercare un fabbro abbastanza abile da fonderlo e farne una spada. Pensavo così di onorare la memoria del mio amico, realizzando l’ultimo desiderio che le sue labbra avevano proferito. Nella solitudine di quel luogo di dolore avevo anche cercato di capire cosa era successo a me. Non avevo parlato a nessuno delle mie ferite che si erano rimarginate. Poteva essere stata un’allucinazione e l’ultima cosa che mi serviva era di essere preso per pazzo. Assicuratomi che nessuno fosse nei paraggi, estrassi il mio coltello personale e mi ferii di proposito il palmo di una mano. Il sangue iniziò a sgorgare lentamente e quasi con sollievo cominciai a pensare di essere ancora un uomo normale. Dopo pochi istanti però, la carne prese a richiudersi e il sangue smise di uscire. Non era rimasta neppure una cicatrice. Caddi in ginocchio continuando a guardarmi la mano, oramai soltanto sporca di sangue. Che cosa mi era successo? Che fosse stato il fulmine a fare ciò? Oppure la forza celeste che lo aveva scagliato.

-Non pensasti mai che fosse grandioso essere invulnerabile? Per un soldato, intendo-, mi domanda mia nipote.
-Ci ho pensato molte volte negli anni a seguire e magari lo avrei trovato fantastico… se Sunàt non fosse morto proprio a causa di quel fulmine.-

Dunque non ero pazzo. Le mie ferite si rimarginavano per davvero. Avevo ricevuto un dono dal cielo anche se non me ne rendevo ancora conto e non ne comprendevo il significato. Ritornai in città con il pezzo di metallo scuro e lo riposi tra le poche cose che intendevo portare con me.
La vita del carovaniere è dura e quella degli uomini che lo proteggono lo è ancora di più. Non mi ci volle molto ad imparare il mestiere e soprattutto la regola principale del gioco: uccidi prima che ti uccidano o che si prendano il carico. Potevamo viaggiare tranquilli per giorni e poi venire assaltati più volte in poche ore. Un giorno dovemmo respingere ben tre assalti da gruppi di predoni del nord e noi eravamo appena in cinque a difendere la carovana. Grazie anche al mio addestramento, passati pochi mesi ero già considerato una guardia esperta e la prima volta che tornai a casa, dopo quasi un anno, potei lasciare a mio padre una parte sostanziosa del mio compenso. Come si sarà capito, il denaro come lo intendiamo oggi non era ancora stato inventato. Solo l’oro e le pietre preziose potevano fungere da moneta e in alternativa si utilizzavano le merci di prima necessità, come gli alimenti e i capi di vestiario. Venni anche a sapere che Assya si stava per sposare con il figlio di un amico di mio padre, un pastore che possedeva un gregge di considerevoli dimensioni. Con la carovana eravamo arrivati fino ai confini dell’Egitto e in un villaggio di frontiera, dove veniva allestito un piccolo mercato, acquistai per lei una spilla d’oro decorata con arcaici simboli di quella terra. Con l’occasione potei offrirgliela come dono di nozze, un dono che attirò l’attenzione e l’invidia di molte sue amiche. Non potei partecipare ai festeggiamenti perché dovevo ripartire ma le augurai ogni bene lo stesso.
Viaggiare con le carovane aveva anche un altro vantaggio. Seguendo il consiglio di una vecchia guardia, ormai sulla soglia della vecchiaia, approfittai dei nostri viaggi in paesi stranieri per imparare le lingue di quei posti. Ero molto portato per l’apprendimento e in pochi anni sapevo parlare abbastanza bene quasi tutti gli idiomi delle terre mediorientali.
Tornai a Uruk più o meno una volta l’anno. Stagione dopo stagione passarono gli anni quasi senza che me ne accorgessi. Non me ne accorgevo perché non invecchiavo. Il carovaniere che mi aveva assunto era morto e il figlio aveva ereditato il mestiere. Dopo trent’anni di quella vita avevo ancora l’aspetto di quando lasciai Uruk per la prima volta, alla soglia dei vent’anni.

-Ci mettesti così tanto ad accorgertene?- mi chiede Cristina perplessa.
-No, tesoro mio. Me ne accorsi molto prima e dovetti inventare una storia convincente per dare una spiegazione.-
-Ovvero?-
-A chi mi chiedeva come mai non invecchiassi raccontavo che gli Dei mi avevano benedetto con una vita che scorreva molto più lenta degli uomini normali e che quindi invecchiavo talmente piano che nessuno se ne accorgeva. Più avanti nei secoli dissi che un medico aveva riscontrato che il mio cuore batteva più lento e così via…-
-Se la bevevano?-
-Naturalmente. I popoli antichi erano molto superstiziosi e quando si tiravano in ballo gli Dei era dogma.-

Una vita lunga può avere certamente molti vantaggi ma mi accorsi, quando compii quarant’anni, che gli svantaggi possono essere davvero crudeli. Quell’anno morì mia madre a causa di una malattia e mio padre la seguì appena un paio di anni più tardi. Iniziai a capire ciò che mi aspettava, vedere le persone che amavo invecchiare e morire, mentre io continuavo a calcare la terra del mondo. Mi assaliva l’angoscia quando pensavo al momento in cui avrei dovuto dire addio ad Assya.
Con il tempo scoprii anche di non poter avere figli. Nonostante mi fossi unito a molte donne durante i miei viaggi, nessuna di loro mi riferì mai di avere concepito e questo fu un sollievo. Vedere morire un figlio è lo strazio più grande per un padre.

-Ma allora mio padre…- esclama Cristina confusa.
-Non preoccuparti. Quello stato delle cose cambiò quando la mia vita riprese a scorrere come quella di tutti gli esseri umani.- A questa risposta sembra rilassarsi.
-E la spada? Trovasti il fabbro che l’avrebbe fusa?-
-Lo trovai, anche se lui e i suoi figli ci misero tutti gli anni della mia carriera di guardia per realizzare qualcosa che assomigliasse ad una spada.-

Fu durante il secondo anno di viaggio con i carri che incontrai la persona che avrebbe potuto aiutarmi. Eravamo nell’entroterra della Mezzaluna Fertile, la terra dei fenici, e ci eravamo fermati nella città di Damashqa, quella che noi conosciamo oggi come la siriana Damasco. Mi era nota la fama degli artigiani metallurghi di quella terra e con l’occasione chiesi un paio di ore di permesso per visitare il mercato. Girovagando per il quartiere degli artigiani, tra i tanti maestri orafi trovai finalmente i fabbri armaioli. Uno in particolare attirò la mia attenzione. A differenza di quelle dei suoi colleghi, le armi che produceva erano essenziali, senza decorazioni o abbellimenti, ma solide e ben fatte. Provai alcune spade e ne apprezzai il perfetto bilanciamento e l’affilatura curata. Lui era l’uomo che cercavo. Era quasi il tramonto e avevo ancora un po’ di tempo. Attesi che chiudesse la sua bottega poi chiesi di parlargli in privato. La sua fucina era uno spazio angusto ma ben organizzato, attiguo alle stanze che fungevano da abitazione per la famiglia del fabbro che si chiamava Nesser. Due ragazzetti fecero capolino da una porta in fondo alla stanza, subito richiamati da una voce femminile.
Nesser era un uomo dalla corporatura imponente e dalle braccia grosse come tronchi, frutto degli anni di duro lavoro nella fucina. Aveva la testa rasata e l’unica peluria che gli cresceva sul volto era una corta barba nera come il carbone che gli nascondeva il mento e la linea delle labbra. Quando gli mostrai il pezzo di metallo scuro la sua espressione cambiò in sorpresa.
-Dove lo hai preso questo, signore?-
-L’ho trovato. Un amico, figlio di un fabbro come te, mi ha assicurato che è metallo e forse si tratta di ferro.-
-Forse, ma non del tipo che ho visto io. Questo è più scuro e senza le striature rossastre del minerale del ferro. Perché lo hai portato da me?-
-Voglio che provi a fonderlo e ne faccia una buona spada, di quelle che sai fare tu. Ti pagherò una parte in anticipo e il resto alla consegna del lavoro.-

-Riuscì a fonderlo?-
-Ci riuscirono i suoi figli, quasi cinquant’anni dopo. La spada che forgiarono era esteticamente imperfetta anche se ben equilibrata ed affilata.

-Mi dispiace, signore-, mi disse il figlio maggiore del fabbro quando per l’ennesima volta passai a Damashqa per vedere come procedeva il lavoro. –Questo è il meglio che siamo riusciti ad ottenere. Siamo finalmente stati capaci di fondere il vostro metallo ma il martello sembrava non fargli niente, neppure quando la barra era incandescente. Con tanta pazienza e duro lavoro, io e mio fratello siamo riusciti a dare alla lama una forma approssimativa, poi ci siamo concentrati sulla maneggevolezza, l’equilibratura e l’affilatura.-
Presi in mano la spada che il fabbro mi porgeva e la soppesai in mano. La feci volteggiare e ne ammirai la maneggevolezza. La lama era dritta, lunga poco meno del mio braccio e affilata solo da un lato. La superficie era irregolare e piena di sfaccettature ma pareva robusta.-
-L’avete provata?- domandai.
-Non ancora. Abbiamo appena terminato di affilarla. Se la volete provare calatela su questo ceppo di legno-, mi disse il fabbro indicandomi la sezione di un tronco d’albero poco lontano dai miei piedi.
Menai un fendente verticale proprio al centro del ceppo e incredibilmente lo tagliai a metà come fosse fatto di burro. Persino il fabbro rimase stupefatto.
-Un eccellente lavoro-, mi complimentai soddisfatto. Sunàt aveva avuto ragione. Anche se non bella a vedere, la spada era davvero un’arma straordinaria. –Forse un giorno le tecniche di metallurgia progrediranno e allora sarà possibile migliorarla-, aggiunsi consegnandogli il resto del compenso pattuito con il padre quasi cinquant’anni prima, più un lauto extra.
-Voi mi lusingate, signore-, rispose l’uomo accettando il pagamento. Assomigliava molto a suo padre mentre io avevo lo stesso aspetto di quando ero entrato per la prima volta in quella fucina.

-Hai parlato di Troia, nonno-, mi fa notare Cristina. –Quella guerra viene collocata tra il XIII e il XII secolo a.c. Che hai fatto nel frattempo, diciamo per circa mille anni?-
-Viaggiai molto. Continuavo a fare la guardia di carovane ma mi spinsi anche per mare con i fenici e visitai molti luoghi, persino nell’Europa occidentale. Per quanto riguarda Troia, o Ilio come si chiamava in realtà quella città, la datazione della guerra è sbagliata di parecchio. Avvenne circa settecento anni prima di quel che si crede.-
-Non è possibile! Come puoi confutare centinaia di datazioni di reperti, di documenti e…-, si infervora ad ogni secondo che passa per poi riprendere il controllo. –Come puoi?-
-Io c’ero. Dei fatti di quel periodo sono giunte fino ad oggi testimonianze confuse e spesso analizzate in modo superficiale. Non si è minimamente seguita la “via del ferro”.-
-Che intendi dire?-
-La guerra di Troia fu combattuta con armi di bronzo. Quando finì la tarda Età del Bronzo?-
-Verso la fine del II millennio a.c.-, risponde Cristina cercando di seguire il mio ragionamento.
-Anche questa datazione è sbagliata. Finì molto prima e questo perché alla metà del II millennio, grazie proprio ai navigatori del mediterraneo, il ferro e le sue tecniche di fusione erano già note in gran parte dell’Europa e del nord Africa.-
-Ma la discrepanza di cui parli è enorme! Come minimo settecento anni!-
-La Storia è come la mia vita passata, cara. Scorre molto più lenta di quel che si crede.-

Mi ero fatto un nome come guardia e c’erano molti mercanti disposti ad assumermi e a pagarmi molto bene. Tuttavia, dopo oltre sessant’anni di quella vita, e dopo che gran parte dei miei familiari erano morti, decisi di prendermi una pausa. Avevo guadagnato abbastanza oro da poter vivere bene per molto tempo e con la nuova spada mi imbarcai su una nave mercantile fenicia. Quando il capitano conobbe le mie credenziali accettò di imbarcarmi gratuitamente a patto che difendessi le merci durante le operazioni di carico e scarico, il momento più favorevole per gli attacchi dei briganti. Ebbi così modo di visitare quasi tutti i paesi che si affacciavano sul mediterraneo e altri ancora che raggiungemmo per via fluviale. Ci spingemmo persino al di fuori del mediterraneo e toccammo le coste della Galizia, dove incontrai i primi celti appena giunti dalle rive del Danubio orientale. Considerai quei viaggi come una vacanza ma non mi sentivo ancora pronto a radicarmi in un posto diverso dalla Mesopotamia. Tornai a fare la guardia di carovane ma stavolta in famiglia. I figli e i nipoti di mio fratello maggiore avevano continuato l’attività di mercanti e, una volta chiarita la solita questione del fatto che non invecchiavo di un giorno, furono ben lieti di ingaggiarmi. Per la verità, essendo di famiglia, ero praticamente il capo aggiunto del convoglio e se loro dovevano assentarsi per qualche motivo, ero io a dare gli ordini. Un’altra cosa mi allietava. Un figlio di Assya aveva rilevato l’attività di vasaio di mio padre da uno dei miei altri fratelli e l’aveva fatta rifiorire e prosperare come non mai. Ero molto felice per loro e quando tornavo a Uruk il dispiacere di non avere una mia progenie si faceva sentire.
Feci da balia ai miei nipoti e pronipoti per quasi quattrocento anni finché in me iniziò a destarsi un senso di inquietudine. Sentivo che qualcosa mi chiamava, mi incitava a mettermi in cammino. Fu così che all’alba del II millennio a.c. mi trovai in viaggio verso Ilio, o Troia. Si diceva che quella città dalle immense mura stesse diventando il cuore pulsante dell’Asia Minore, dove si concentravano abilità, ricchezze e soprattutto forza. L’esercito troiano non aveva eguali su quelle rive del mare e colui che lo comandava, Ettore, figlio del re Priamo, era ritenuto il guerriero più forte del mondo… fatta eccezione per Achille, principe di Ftia, patria dei mirmidoni.

-Conoscesti gli eroi cantati da Omero?- mi chiede mia nipote in estasi.
-Li ho conosciuti-, rispondo, -ma non come eroi o semidei. Solo come uomini.-

Giunsi a Troia alla metà del XIX secolo a.c., circa tre anni prima dello scoppio della guerra con gli achei, il gruppo etnico che dominava la Grecia delle nascenti città-stato. Era buffo come nella città più fortificata e armata del mondo, sperassi di condurre una nuova vita, lontana dalle armi. Il destino è davvero beffardo perché l’unico lavoro che tutti erano pronti a offrirmi era quello del fabbro armaiolo. Con i miei valori avrei potuto avviare un’attività mia ma chissà perché l’idea non mi esaltava. Trovai impiego e alloggio presso un tessitore che, neanche a dirlo, tesseva e cuciva tuniche da soldato. La paga era buona e l’idea di un nuovo mestiere mi piaceva.
Le leggende dicevano che le mura di Troia erano state erette dagli Dei su richiesta del re Laomedonte, il padre di Priamo, e che nessuno sarebbe mai riuscito a varcarle in armi. All’interno della grande città fortezza il dinamismo della gente si poteva tagliare con la spada, tanto era intenso il fervore con cui si gestivano commerci e si lavoravano le merci nelle botteghe artigiane. Il nome di Troia era però supportato dal suo potentissimo esercito, guidato dal principe Ettore.
Un giorno, mentre il mastro tessitore non c’era, entrò nella bottega una giovane donna molto attraente. Si vedeva chiaramente che non era una serva ma nel suo portamento c’era qualcosa di più, qualcosa di… regale.
-In cosa posso servirla, signora?- domandai con cortesia avvicinandomi alla sconosciuta.
-Nulla di particolare. Sono entrata a curiosare. Mi dicono che qui producete dei tessuti di ottima qualità e volevo appurarlo di persona-, rispose lei voltandosi verso di me, facendo oscillare la sua cascata di riccioli neri luccicanti d’olio profumato.
-Io sono solo l’aiutante. Il mastro tessitore sarà qui a breve. Se nell’attesa posso offrirle…-
-La signora viene con noi-, disse una voce proveniente dalla porta della bottega. –Ci deve fare compagnia mentre beviamo… e magari anche dopo.- Erano un paio di giovinastri mezzi ubriachi che evidentemente avevano seguito la donna fin nella bottega.-
-Non credo proprio-, dissi io minaccioso. –Finché la signora rimane entro queste mura è sotto la mia protezione.-
-La protezione di un fabbricante di stracci!- strombazzò uno dei due, il più grosso e trasandato.
-Andatevene prima che faccia intervenire le guardie-, li minacciai ulteriormente, piazzandomi tra loro e la donna.
Le mie parole sembrarono un affronto per i due che divennero più seri e mi si fecero incontro. Entrambi avevano già estratto delle corte spade di bronzo. Peccato per loro che io tenessi sempre la mia brutta ma efficace spada a portata di mano. L’afferrai dal suo nascondiglio e con un solo fendente orizzontale tagliai di netto le loro armi. Gli misi una tale paura addosso che scapparono a gambe levate, sicuramente più sobri di quando erano entrati. Con un elegante movimento del braccio rimisi la spada al suo posto e mi voltai verso la sconosciuta. Mi stava fissando con sguardo indagatore. Evidentemente non si era affatto spaventata dall’accaduto.
-Siete un soldato, non è vero?- mi chiese.
-Lo sono stato, signora. E per molti anni ho lavorato come guardia carovaniera.-
-Per molti anni?! Sembrate persino più giovane di me e…-
-Le apparenze ingannano, signora-, risposi sorridendole.
-Mi fido. Vi ringrazio di avermi difeso. Farò in modo che mio marito vi ricompensi a dovere.-
-Non è necessario, signora. Ho fatto solo ciò che ci si aspetta da un aiutante di bottega.-
Mi sorrise in modo ironico, segno che secondo lei ero tutto fuorché un garzone. La guardai uscire con disinvoltura e, dopo un attimo di trance dovuta alla misteriosa bellezza della donna, tornai alle mie faccende.
Passò un mese prima che la rivedessi, in occasione dei giochi di Troia, una serie di gare sportive che mettevano in premio manufatti di raro pregio. Vagavo per i campi di gara assieme a mille altre persone quando una voce femminile mi chiamò.
-Aiutante del tessitore!- Mi voltai e vidi la donna misteriosa al fianco di un uomo prestante, dai capelli ricci e neri e un accenno di barba sul viso. Entrambi erano vestiti con tuniche di rara bellezza, ricamate a fili d’argento e d’oro. –Gli Dei ci fanno reincontrare perché io possa saldare il mio debito.-
-Sono io che lo devo ringraziare, Andromaca-, parlò l’uomo avvicinandosi e tendendomi il braccio. Poi, di fronte alla mia esitazione si mise quasi a ridere. –Immagino che non siate originario di Troia, altrimenti mi conoscereste.-
-Mi chiamo Khalàd, e provengo dalla Sum.. dalla bassa Mesopotamia.-
-Ti sono debitore per aver protetto mia moglie, Khalàd. Io sono Ettore, principe di Troia, e questa è mia moglie Andromaca.- Sorpreso, mi inchinai come era usanza davanti ad un nobile signore ma lui mi fermò afferrandomi per le spalle. -Non t’inchinare, Khalàd. Siamo entrambi uomini.-
-Tra poco inizieranno i combattimenti a coppie, Ettore-, intervenne Andromaca. –Perché non partecipate assieme? Khalàd è stato una guardia carovaniera e sa certamente battersi molto bene.-
-E’ un’ottima idea, sempre che tu sia d’accordo, Khalàd-, rispose Ettore.
-Ne sarò onorato, principe. Solo non conosco le regole.-
-Sono semplici-, iniziò il troiano avviandosi verso un recinto attorno al quale già si erano radunate molte persone. –Ci battiamo a coppie con spade di legno duro e senza scudi o altre protezioni. La coppia che abbatte tutte le altre vince.-
In verità non avevo molta voglia di gareggiare ma preferii non contraddire un principe che si stava dimostrando così gentile nei miei confronti.
-Chi sono gli avversari più forti?- chiese Andromaca osservando le altre coppie che già entravano nel perimetro di gara. Conoscendola meglio non era molto dissimile dal marito. Internamente era una guerriera che apprezzava la forza.
-Enea, naturalmente. Gareggerà con Camone e sono entrambi combattenti temibili.-
-Potrei farti fare una pessima figura contro avversari simili e davanti al tuo popolo per giunta-, dissi per tentare di evitare quella prova.
-Non preoccuparti. E’ solo un gioco-, minimizzò il principe Troiano porgendomi una corta spada di legno. –Sei pronto?-
-Pronto. Spalla a spalla contro un lato del recinto. Non facciamoci prendere alle spalle-, dissi senza quasi rendermene conto, poi capii la mia impertinenza. –Scusami, principe. Non volevo…-
-Ottima strategia-, tagliò corto Ettore con un sorriso soddisfatto. –Da campo di battaglia. Avanti!-

-Vinceste?- mi domanda Cristina completamente conquistata dal mio racconto.
-Naturalmente, anche se l’ultimo scontro fu davvero duro. Enea era un combattente formidabile, sicuramente non inferiore a Ettore. Solo la mia maggiore esperienza militare ha rotto l’equilibrio dello scontro.-
-Quale fu il premio?-
-Un arco con una faretra piena di frecce e una lancia. Ettore me le offrì entrambe come ringraziamento per aver protetto Andromaca e mi invitò ai festeggiamenti a palazzo della sera.-

Lavorando per un tessitore non fu difficile trovare una tunica adeguata da mettermi. Nulla di esagerato, niente ricami dorati o altri abbellimenti, tuttavia non sfigurai nella mia candida semplicità. I principi e i nobili troiani, sapendo che ero amico di Ettore, mi trattarono come loro pari, intrattenendomi nei modi più svariati. Alcune fanciulle arrivarono persino ad offrirsi velatamente a me. Anche il re Priamo e la regina Ecuba mi vollero conoscere. Consideravano Andromaca al pari di una figlia e io l’avevo salvaguardata. Ciò nonostante, notando il fisico perfetto della donna, l’eleganza con cui si muoveva e la giusta dose di forza che metteva in ogni movimento, mi ero convinto che se avesse avuto una spada in mano avrebbe sistemato quegli aggressori da sola, senza nessuno sforzo. Tra gli ultimi conobbi Paride, il fratello donnaiolo di Ettore. Omero si riferirà a lui chiamandolo “bello come un Dio ma timoroso come una pecora”. La descrizione non poteva essere più veritiera. Sembrava una statua di marmo tanto era perfetto il suo corpo e i lineamenti del suo volto. A differenza di Ettore, del cugino Enea e di altri suoi fratelli, nessuna cicatrice gli segnava la pelle.
-Ha un destino da compiere impostogli dagli Dei-, disse una voce di donna alle mie spalle mentre guardavo il giovane principe troiano allontanarsi per andare ad intrattenere delle fanciulle.
-Cosa dite, mia signora?- chiesi voltandomi. Mi trovai di fronte una ragazza molto giovane, forse di sedici anni, con lunghi e mossi capelli neri, occhi scuri come la notte e la pelle candida come la veste che indossava. Ne oro ne argento decoravano il tessuto che avviluppava quel corpo flessuoso e delicato. Non possedeva il fascino misterioso di Andromaca ma una bellezza infantile che mi fece innamorare all’istante.
-Paride segue un destino tutto suo, tracciato per lui dagli Dei-, spiegò la giovinetta avvicinandosi.
-Tu lo conosci meglio di me che sono straniero. Il mio nome è…-
-Khalàd. A questa festa non si parla che di te ed ero curiosa di incontrarti. Di solito non partecipo a questi eventi ma il tuo nome risuonava nella mia testa come il rombo di un tuono.-
-Tu mi onori-, risposi con il cuore che mi batteva a mille. –Posso conoscere anche io il tuo nome, mia signora?-
-Sono Cassandra, figlia di Priamo, la folle veggente a cui nessuno crede ma che tutti evitano per timore che riveli cose spiacevoli.-
-Io non fuggo di fronte alla tua bellezza e non temo le tue predizioni-, risposi calmo offrendole una coppa di vino che feci riempire da un coppiere appositamente per lei. Sembrò sorpresa e spiazzata da quelle parole e mi fissò intensamente negli occhi per alcuni istanti.
-E’ vero. Tu non temi il destino o la morte. Non riesco a leggere in te come negli altri. Tu non temi nulla… o forse si?-
-Temo la vita-, dissi con amarezza. –Una vita triste e sola fatta di vagabondaggi e di violenza.-
-In questo caso non siamo dissimili, Khalàd-, mi rispose. Con il primo sorriso che le vidi fare da quando avevamo iniziato a parlare, si congedò da me e se ne andò.

-Era davvero Cassandra, la benedetta dal Dio Apollo con il dono della preveggenza?- mi chiede Cristina perplessa.
-Il suo potere era tutto fuorché una benedizione-, rispondo tristemente ripensando a lei.
-E te ne eri innamorato?-
-Follemente.-

-Sei il primo a non temere Cassandra-, disse Ettore venendomi incontro. –Sei davvero la persona giusta per ciò che ti devo proporre.-
-E sarebbe?-
-Appartiamoci sulla terrazza. L’aria è fresca e porterà via i vapori del vino, amico mio.-
Appoggiati al parapetto di una delle grandi terrazze del palazzo, Ettore mi rivelò i suoi piani futuri, ciò che inconsapevolmente avrebbe dato origine ad una delle più grandi guerre del mondo antico.
-Io partirò presto, Khalàd. Assieme a mio fratello Paride e a una delegazione di mio padre mi metterò in viaggio per far visita ai re greci, per rinsaldare con loro patti ed alleanze.-
-Perché mi dici questo, Ettore?-
-Perché voglio che tu diventi la guardia personale di mia moglie e… di mio figlio-, disse l’uomo con il viso che si allargava per il compiacimento.
-Tuo figlio?-
-Andromaca me lo ha rivelato questo pomeriggio. Purtroppo non sarò qui per vederlo nascere perché la mia missione mi terrà lontano parecchi mesi. Ti chiedo di trasferirti a palazzo e di vegliare su di loro.-
-Perché ti fidi tanto di me? Mi conosci appena-, gli feci notare.
-Ho molti bravi soldati nel mio esercito a cui potrei affidare questo compito, è vero. Ma proprio perché li conosco so che non sarebbero adatti. Senza che ti fosse chiesto tu ti sei parato a difesa di una sconosciuta solo perché era giusto farlo e non hai chiesto nulla in cambio, cosa che chiunque altro avrebbe fatto conoscendo il mio rango. Ora io ti domando, Khalàd. Veglierai sulla mia famiglia?-
Feci finta di rifletterci per qualche istante poi teatralmente sospirai e annuii.

-Per quale motivo esitasti? Volevi tenerti lontano dalla vita del soldato come ti eri prefissato?-
-Avrei avuto mille altri momenti per tirarmi fuori da quel gioco, Cristina, ma quella volta ero deciso ad accettare senza indugi, anche se non volevo far trasparire il mio entusiasmo.-
-Per quale motivo?-
-Per stare più vicino a Cassandra.-

-Sono un po’ arrugginito-, ripresi. –So che al mattino ti alleni sul campo di addestramento. Mi permetteresti di partecipare?-
-Sei il benvenuto. E poi sono curioso di vedere all’opera quella strana spada di cui mia moglie mi ha parlato.-
Fu così che scoprii un’altra mia capacità. Il mattino seguente mi ritrovai con Ettore sul campo di addestramento. Eravamo a torso nudo, avvolti dalla vita in giù solo con dei drappi di lino. Entrambi sfoggiavamo le nostre cicatrici. Lui quelle della battaglia, io quella del fulmine. Iniziammo a batterci con le armi da addestramento dando sfoggio ognuno della propria tecnica. Fu subito chiaro che la mia era piuttosto antiquata e spesso inefficace. Lo stile di Ettore era più essenziale ma la perfezione dei suoi movimenti e l’efficacia delle sue tecniche mi mettevano sempre in difficoltà. L’essenza del più grande guerriero dell’Asia Minore non era il talento ma la perfezione. Tuttavia, man mano che il tempo passava, mi accorsi che stavo acquisendo familiarità con quel nuovo modo di combattere e che facevo rapidamente mio lo stile di movimento dell’avversario. Dopo un’ora di quell’esercizio ero in grado di battermi alla pari con il principe troiano. Anche lui lo notò.
-E’ strabiliante! Dopo i primi assalti della mia lancia stavo pensando di essermi sbagliato sul tuo conto, invece, in così breve tempo, hai imparato alla perfezione il mio stile di combattimento!-
-Apprendo in fretta se ho un buon maestro-, mi limitai a rispondere asciugandomi il sudore con un braccio. –Passiamo alla spada?-
In ancora meno tempo acquisii anche l’abilità di Ettore nel maneggiare la spada. A onor del vero dovevo dirozzarmi un po’ in alcuni movimenti. Nel complesso però, potevo considerarmi forte come il principe di Troia e il suo amico e cugino Enea. La dimostrazione del potere della mia brutta spada lo lasciò a bocca aperta e mi confermò che in tutta l’Asia Minore e l’Egeo non si era mai vista un’arma simile. Quando gli spiegai il motivo dell’aspetto tanto sgraziato della mia arma si fece pensieroso.
-A Troia sicuramente non troverai nessuno in grado di riforgiare un simile metallo. Tuttavia ho sentito dire che i metallurghi dell’Egitto, dove gli uomini si dipingono gli occhi e venerano Dei dalla testa di animale, hanno raggiunto livelli di conoscenza di quest’arte che non ha eguali in tutto il mondo.-
-Un giorno, forse, visiterò quel paese-, dissi sinceramente grato per quell’informazione. Ero già stato in Egitto durante i miei viaggi ma non mi ci ero mai inoltrato e non conoscevo molto quel popolo. –Tengo molto a questa spada e desidero vederla un giorno completata.-
Fu così che divenni la guardia personale di Andromaca e mi trasferii nel palazzo reale di Troia. Alloggiavo in una piccola stanza attigua a quella della mia protetta e fin dal primo giorno mi premurai di conoscere le abitudini e i movimenti della moglie di Ettore. Il figlio maggiore di Priamo era partito per la Grecia assieme al fratello Paride su di una nave carica di doni per i re achei. Il mio amico mi aveva parlato di quella missione e del suo vero scopo. Si trattava solo di una manovra di imbonimento, un modo per tenere i pensieri dei re greci, di Agamennone in particolare, lontani da Troia. Non era la città o le sue ricchezze ad ingolosire il re di Micene ma il controllo che essa aveva sull’Ellesponto, il canale per il Mar Nero che era la chiave per il controllo dell’Asia Minore. Ettore però avrebbe fatto visita per primo al re di Itaca, Ulisse chiamato Odisseo. Il principe Troiano sapeva di poter contare su di lui in molti modi. Neppure il re della piccola isola voleva una guerra con Troia perché sarebbe stata un disastro per entrambe le parti. Ultimo a essere visitato sarebbe stato Menelao di Sparta, fratello di Agamennone e marito di Elena, la donna considerata la più bella del mondo.

-La donna che causò la guerra-, commenta Cristina. Scuoto la testa.
-Il rapimento di Elena da parte di Paride fu solo il pretesto. In verità, quando Ettore fece visita ad Agamennone, era già troppo tardi. Il re di Micene, che si era assicurato con le buone e le cattive l’alleanza di tutti i re-eroi dei greci, stava già organizzando un pretesto per muovere guerra a Troia.-

Vivere a palazzo aveva i suoi vantaggi. Quando sapevo Andromaca al sicuro nelle sue stanze o in qualche luogo dove non corresse pericoli mi dedicavo al mio passatempo preferito, la ricerca di Cassandra. In verità non c’era nessuno da cui difendere la moglie di Ettore e credo che mi avesse messo al suo fianco per proteggerla da se stessa, dalla sua irruenza e avventatezza.
Incontravo spesso Cassandra sola nei giardini, intenta a suonare la cetra o a ricamare. Quando entravo nel giardino vedevo il suo viso illuminarsi. Anche per lei la solitudine era un peso enorme. Il giorno in cui le rivelai la mia vera età non fece una piega e mi disse solo che avevo un destino tutto mio da percorrere. Lo vedeva chiaramente anche se non riusciva a decifrarlo. Vedeva anche che tentavo di rifiutarlo e questo, mi spiegò, era inutile. Il nostro rapporto divenne sempre più intimo finché una sera, dopo aver messo a letto i miei protetti, la trovai in piedi accanto alla porta della mia stanza. Il candore della sua veste la rendeva un figura quasi luminosa nell’oscurità e, in quel momento, neppure la famosa Elena sarebbe stata più bella. Mi tese la mano e mi trascinò dentro. Richiusa la porta mi aiutò a liberarmi delle armi e delle vesti e lo stesso feci con lei. Passammo una notte d’amore intensa come non mai e non ebbi più alcun dubbio sul fatto che l’amavo alla follia.

-Non occorre scendere nei dettagli, nonno.-
-Non è necessario. Quello che successe quella notte, e molte altre in seguito, sono un dolce ricordo che porto nel mio cuore.-

Rammento ancora l’ira di Ettore quando la sua nave si arenò sulla spiaggia-porto di Troia, un anno dopo la sua partenza. Solo la vista del suo figlio primogenito poté placarlo un poco. Non degnò di uno sguardo ne suo fratello ne la donna che esso stava aiutando a scendere dalla nave, Elena di Sparta.
-Che è successo, marito mio?- domandò Andromaca dopo che Ettore ebbe ammirato suo figlio Astianatte.
Il principe troiano riconsegnò il bimbo all’abbraccio materno e il suo viso tornò scuro. Guardò prima Enea e poi me che avevamo accompagnato sua moglie alla spiaggia.
-Preparatevi alla guerra, amici miei-, disse soltanto.

-Tu allora l’hai combattuta?- mi domanda mia nipote entusiasta.
-L’ho vissuta. E’ differente. Non ero arruolato nell’esercito ma tra le guardie di palazzo. E comunque la vicenda della guerra di Troia non è fatta di cronache di battaglie e assalti ma di episodi. Alcuni noti, altri meno.

Poche settimane dopo il ritorno di Ettore e Paride, giunse una delegazione greca da Sparta. Menelao in persona era venuto a Troia per riavere indietro sua moglie e con lui era venuto Ulisse, re di Itaca. Priamo sapeva che trattenere Elena a Troia era un pericolo enorme, tuttavia amava troppo Paride per screditarlo di fronte a tutta la corte. Il piano dei greci era che fosse Ulisse a parlare. Notai subito l’impercettibile segno di assenso che lui ed Ettore si scambiarono prima che il re isolano iniziasse il suo discorso. Le parole del sovrano risuonarono forti nella grande sala del trono e in breve tempo catturarono l’attenzione di tutti. Pareva dai volti dei principi e dei dignitari che in breve avrebbero acconsentito a rendere Elena a suo marito. All’improvviso, Menelao si fece avanti e interruppe il compagno.
-Ridatemi mia moglie, ladri di donne!- urlò incollerito. –Ridatemi mia moglie e quella pecora che l’ha rapita! Fatelo o l’intera Grecia si leverà contro di voi!-
In definitiva fu una vera e propria dichiarazione di guerra, con buona pace di Ulisse ed Ettore che avevano tentato fino all’ultimo di scongiurarla. Non so dire se quell’insulto rivolto da Menelao ai troiani fosse programmato per far scatenare la guerra. So solo che sortì esattamente quell’effetto.

-Durò davvero dieci anni?-
-Meno di due-, rispondo sereno. –La forza di Troia erano le sue altre e indistruttibili mura. Solo un idiota avrebbe scagliato migliaia di uomini per dieci anni contro quella muraglia. Neppure l’assedio era plausibile perché le vie a est erano libere e protette e la città continuava a ricevere regolarmente i suoi rifornimenti. Senza contare che Ulisse poteva dirsi tardo di mente se ci avesse messo dieci anni a ideare l’inganno del cavallo di legno.-

Migliaia di uomini imbarcati su centinaia di navi calarono su Troia poco tempo dopo, per la più grande guerra di quell’epoca. I re greci, guidati da Agamennone, diedero assalto alla città e la guerra ebbe inizio. Naturalmente, ogni loro attacco fu respinto. Un po’ per le mura, un po’ per l’abilità di Ettore, si creò presto una posizione di stallo favorevole ai troiani. Fu durante quella fase che una notte Ettore venne a svegliarmi.
-Vieni con me, Khalàd. Devo mostrarti qualcosa.- Enea ci stava già aspettando fuori del palazzo. Indossavamo tutti e tre dei manti neri per confonderci nella notte. Il principe Troiano ci condusse ad un passaggio segreto che passava sotto il muro meridionale della città.
-Ascoltate bene entrambi. Se per un qualsiasi motivo la città dovesse cadere, portate quanta più gente possibile fuori di qui. Se i greci entrano a Troia faranno un massacro, non la saccheggeranno soltanto.-
-Troia non cadrà, amico mio-, sentenziò sicuro Enea.
–Ce ne sono troppi la fuori per non prendere in considerazione una disfatta, seppur remota. Il numero è l’unica forza di Agamennone.-
-E Achille di Ftia, il capo dei mirmidoni. Lo considera la sua arma più potente-, aggiunsi.
Ettore sputò per terra in segno di disprezzo. –Agamennone crede che sia Achille la sua arma più letale. Ad ogni modo, Khalàd, il tuo compito non viene meno. Prendi la mia famiglia e portala in salvo. Salva chi altro vuoi ma porta via di qui Andromaca e Astianatte.-
-Lo farò, amico mio. Stanne certo-, risposi. Ovviamente includevo anche Cassandra tra le prime persone da salvare.
-Ora andiamo. Dobbiamo incontrare una persona e non abbiamo molto tempo.-
Ci avventurammo a piedi nell’oscurità per un sentiero poco battuto e appena visibile. Raggiungemmo un boschetto riparato alla vista della città e vi entrammo. Sembrava che all’interno vi fossero degli uomini e per precauzione misi mano alla spada. Ettore mi fermò.
-Rilassati, Khalàd. Sebbene sia incredibile in una situazione come questa, sono amici.-
All’interno del boschetto, in una piccola radura, era stato acceso un minuscolo fuoco, appena sufficiente per illuminare i nostri volti e quelli di coloro che ci aspettarono. Un uomo anziano ma prestante, dalla barba e i capelli completamente bianchi, stava ravvivando le fiamme con un bastoncino. In piedi accanto a lui stava un secondo uomo, più giovane, dal viso severo incorniciato da capelli e barba completamente neri. Entrambi erano ammantati di nero come noi. Ad Enea, che evidentemente li conosceva, venne un colpo.
-Voi?!- esclamò indietreggiando. –Che sorta di tradimento è questo, Ettore?-
-Nessun tradimento, cugino. Ora lascia che saluti i nostri amici-, rispose il principe troiano inchinandosi prima all’uomo più anziano che si era alzato in piedi. –Salute a te, Nestore, re di Pilo. La tua saggezza sarà una grande ricchezza stanotte.-
-Anche per me è un piacere rivederti, Ettore, sebbene in tali tristi circostanze-, rispose il re stringendo il braccio che il troiano gli porgeva.

-L’altro chi era?-
-Non lo immagini?- domando divertito a mia nipote.

-Salute anche a te, Ulisse, re di Itaca…-
-Bando alle adulazioni, Ettore. Ti trovo bene. E anche tu, Enea. Il vostro compagno non credo di conoscerlo-, esclamò il più astuto tra i greci puntando i suoi occhi indagatori su di me.
-Mi chiamo Khalàd, mio signore. Vengo dalla Mesopotamia e sono guardia e amico di Ettore.-
-Immagino tu lo sia, Khalàd, altrimenti non saresti qui stanotte.-
-Non abbiamo molto tempo, Ulisse. Secondo te c’è qualche modo di fermare questa pazzia?-
-Chi può dirlo?- rispose stancamente il re isolano. –Per Agamennone ora è una questione di orgoglio, al pari di Menelao che si è fatto portare via la moglie da sotto il naso.-
-Paride è stato davvero uno stupido ma mio padre lo ama troppo per dargli contro-, convenne Ettore.
-Quanto pensi possa resistere Troia ai nostri assalti?- domandò schiettamente l’anziano Nestore.
-In eterno se le sue mura reggono e quelle mura sono indistruttibili-, rispose Ulisse pensieroso al posto dei troiani.
-Puoi girare questo fatto a vantaggio dei nostri propositi?- domandò Ettore speranzoso.
-Forse. Le vostre difese stanno effettivamente scoraggiando il nostro esercito e tra alcuni dei re serpeggia il dissenso. Qualche giorno fa Agamennone ha avuto una lite furiosa con Achille, per delle schiave credo, e il mirmidone non vuole più combattere.-
-Che fa il principe di Ftia? Si prepara a tornarsene a casa?-
Come era stato per Ettore, ora anche sul volto di Ulisse vidi montare il disprezzo. –No. Se ne sta nel suo accampamento a oziare e ad addestrare quel suo effeminato cugino, Patroclo.-
-Un avversario in meno a cui pensare-, commentai ad alta voce.
-Forse-, convenne il re di Itaca, -E forse no. Achille ha addestrato un altro uomo, un suo capitano, che ha dimostrato una ferocia in battaglia paragonabile solo a quella del suo maestro. Un uomo letale che potrebbe trascinare gli uomini in guerra, se solo Achille gli desse il permesso.-
Ettore sospirò. –Come finirà, Ulisse? Possibile che la follia di un solo stolto uomo causi tanto patimento?-
-Finirà con il ritiro delle nostre armate… o con la distruzione di Troia. Temo che questo incontro sia stato solo un modo per dirci addio da amici quali siamo.-
-Allora vi lasciamo, re della Grecia. Se ci incontreremo sul campo, purtroppo, sarà per batterci.- Ce ne andammo senza nessuna altra parola.
Tornando verso la città, immerso nell’oscurità e nei miei pensieri, compresi finalmente le parole di Ettore riguardo l’arma più temibile di Agamennone. Non la forza di Achille, ma l’astuzia del re di Itaca, il talento di Ulisse.

-Fu davvero Achille ad uccidere Ettore?- mi chiede Cristina e come per ogni amico che ho perso nella mia vita, il mio cuore ha un lampo di dolore e tristezza.-
-Si, fu lui. Ma facendo ciò firmò anche la sua condanna a morte perché durante quel tragico duello io scoprii il suo segreto. Ma questo accadde dopo. Prima ci fu la sfida tra Paride e Menelao.-

Su suggerimento di Ulisse, vista la situazione di stallo che si era creata dopo un intero anno di inutile guerra, Menelao propose di risolvere la questione con un singolo duello tra lui e Paride. Vincolato dall’onore, il giovane principe troiano dovette accettare, nonostante fosse più abile con l’arco che con lancia, spada e scudo. La lotta era impari perché Paride era di corporatura piuttosto esile mentre Menelao di Sparta un vero colosso. La posta in palio erano la restituzione di Elena e la fine della guerra, con tutte le conseguenze del caso. Ad Agamennone l’idea non piaceva perché lui voleva Troia, non la donna, ma doveva mantenere la copertura del pretesto del rapimento, altrimenti avrebbe perso credito nei confronti degli altri re. L’astuto Ulisse aveva incastrato il re di Micene incatenandolo alla sua stessa parola.
Inizialmente trovai strano che Ettore o Priamo non si opponessero, poi Enea, il giorno prima del duello, mi svelò il vero stato d’animo del nostro amico.
-Lui è quasi certo che Paride perderà e il cuore gli duole molto. Come Agamennone, è legato all’onore del suo rango e, seppure duro da accettare, sa che il piano di Ulisse, se si realizzerà, salverà la vita a migliaia di uomini, sacrificandone uno solo.-
-E’ davvero triste-, riuscii soltanto a dire prima di andare a controllare dove fossero Andromaca e il piccolo Astianatte.

-Nell’Iliade si parla dell’intervento divino che salvò Paride. Come è andata realmente?-
-Quel duello fu davvero patetico e non ebbe nulla di divino. Paride si salvò soltanto perché fuggì.-
-Questo dava la vittoria ai greci e la guerra sarebbe dovuta finire con la restituzione di Elena. Cosa andò storto?-
-Il fatto che Menelao fosse un bue senza cervello… per fortuna di Agamennone. Non contento della vittoria, si scagliò contro Paride per ucciderlo. Ettore si pose in mezzo e gli piantò la sue spada sotto il mento, trapassandogli il cranio.-
-Se Ettore avesse lasciato trucidare Paride… Fu un grave errore da parte sua-, commenta severa Cristina.
-Era pur sempre suo fratello, Cristina. Gli era stata risparmiata la vita, seppure macchiata dalla vergogna, e non avrebbe permesso che venisse assassinato solo per il divertimento di Menelao.-

La caduta di Menelao, oltre a fare arrabbiare a morte il re di Micene, gli dava il pretesto di continuare la guerra e si tornò alla situazione precedente. I greci non avevano idea di come abbattere le alte e grandi mura della città e i troiani vi si riparavano tranquillamente dentro, scegliendo quando e come scendere in campo. Quando Ettore schierava l’esercito davanti alla città per affrontare i greci in campo aperto, gli asiatici si dimostravano nettamente superiori. A differenza degli achei, erano una forza coesa e perfettamente organizzata.
Durante uno di questi scontri in campo aperto avvenne il fatto che segnò le sorti della guerra. Scesero in campo i mirmidoni, guidati da un guerriero che si muoveva come il vento e uccideva troiani come fossero agnelli. Ettore, intuendo che si trattasse di Achille, gli andò incontro per battersi con lui. La tecnica del greco era strabiliante tuttavia il principe troiano aveva l’impressione che qualcosa non andasse. Faceva fatica a parare i suoi imprevedibili colpi ma riusciva comunque a controllare l’avversario con il volto celato dall’elmo. Per un secondo, il principe troiano incrociò lo sguardo di Ulisse che combatteva poco lontano e anche sul volto del re di Itaca c’era sgomento. Che fosse in realtà uno degli allievi del principe di Ftia? Ettore non se ne preoccupò più. In un momento a lui favole penetrò nella difesa dell’avversario e gli tagliò la gola. Ogni scontro si fermò mentre il corpo del presunto Achille cadeva nella polvere senza vita. Ulisse si fece avanti e si chinò sul cadavere del mirmidone. Gli sfilò l’elmo rivelando una cascata di capelli biondi che però non erano quelli del re di Ftia. Era il suo giovane e amato cugino Patroclo.
-Ora si che lo hai scatenato-, disse soltanto il re di Itaca all’amico-avversario troiano.
Lo scontro, per quel giorno, finì li perché un uragano si stava per abbattere su quella guerra, un uragano di nome Achille.

-Era davvero così forte?- mi domanda mia nipote guardandomi perplessa. Si avvicina il mezzogiorno e un raggio di sole le illumina parte del viso rendendola simile ad un angelo.
-Lo era davvero, bambina. Il più forte combattente di quell’epoca. Innamorato di se stesso e bramoso di gloria fino al midollo.-

Il fumo della pira funebre di Patroclo fu visibile per giorni e nel frattempo Ettore rimuginava sull’accaduto. Sapeva che avrebbe dovuto affrontare Achille in duello e questo faceva crescere in lui una grande preoccupazione.
-Avere paura è normale se si deve affrontare un avversario del genere-, gli dissi una sera che camminavamo sopra le mura della città scrutando il mare. –Solo gli sciocchi non ne hanno.-
-Non ho paura per me stesso, Khalàd, ma per Troia. Se io cadrò temo che il nostro esercito si demoralizzerà e scivolerà lentamente nella disfatta. I comandanti anziani a cui spesso mio padre chiede consiglio sono troppo sicuri di loro e considerano la ritirata dentro le mura un segno di debolezza.-
-Allora non soccombere a quella iena, amico mio. Sei più grande di lui e puoi batterlo.-
Ettore sorrise amaramente. –E’ il più grande guerriero del mondo, Khalad. Te ne sei dimenticato?-
-No, Ettore. Lui è solo il più forte combattente del mondo. Standoti vicino ho imparato molte cose sull’essere un guerriero. Tu ami la tua patria e sei disposto a morire per uno scopo. Achille non è disposto a morire per nulla e per nessuno se non per la sua stessa gloria. Sono sicuro che egli teme la morte in battaglia perché non la può controllare. E’ lui stesso che vuole scegliere il momento in cui trapassare, nel modo più glorioso possibile, perché il suo nome rimanga immortale. Credimi, amico mio. Sei tu il più grande guerriero del mondo.-
Ettore mi fissava sbalordito, poi mi abbracciò. –Il giorno in cui questa guerra finirà spero festeggeremo tutti assieme, fianco a fianco. Ricorderemo questi momenti difficili e magari ci sarà anche il tempo di celebrare le nozze.-
-Quali nozze?- domandai io ingenuamente.
-Credo che mio padre non avrebbe nulla in contrario se qualcuno di mio gradimento chiedesse la mano di mia sorella Cassandra.- Fu una delle poche volte che arrossii come un bambino.
Il mattino seguente, Achille si presentò da solo davanti alle porte di Troia. Scese dal suo carro e chiamò a gran voce il nome di Ettore. Il principe troiano aveva già dato il suo tacito addio a tutte le persone che gli erano care. Io ed Enea lo incontrammo davanti alla grande porta della città, mentre si apprestava ad uscire per andare ad affrontare il principe mirmidone.
-Torna vincitore, cugino-, gli augurò Enea abbracciandolo. Si scostò in fretta per nascondere le lacrime.
Mi feci avanti e gli porsi la mia spada. –Prendi questa spada, Ettore. Sai bene che nessuna arma può tenerle testa. In centinaia di anni non mi è mai venuta meno e non lo farà certo ora che ne hai bisogno tu.- Gli avevo inconsapevolmente rivelato il mio segreto. Che ci credesse o meno, Ettore respinse garbatamente l’offerta.
-Affronterò Achille con lo stesso bronzo di cui lui dispone, amico mio. Come hai detto tu ieri sera, non temo di morire per mano sua. Ma una cosa ti assicuro. Se vuole ottenere la sua dannata gloria sulla mia pelle, dovrà pagarla a caro prezzo.-

-E’ stato un addio molto triste.-
-Lo è stato davvero e non solo per noi che gli eravamo amici ma per l’intera città. Fu l’inizio della caduta.-
-Hai detto che scopristi il segreto di Achille.-

Lo scontro volgeva ormai al termine. Entrambi i combattenti erano esausti e feriti. Io ed Enea lo avevamo seguito dall’alto delle mura, temendo ad ogni colpo di lancia o di spada del mirmidone. Avevo osservato attentamente il suo stile di combattimento, basato più sul talento e sull’improvvisazione. La perfezione tecnica di Ettore contro l’estro guerriero di Achille. Fu durante uno degli ultimi assalti che notai un particolare importante nel modo di combattere del principe di Ftia. Quando attaccava o difendeva, portava sempre in avanti il tronco, come se non volesse rischiare di essere colpito alle gambe. Rielaborai rapidamente tutto ciò che avevo visto fino a quel momento e finalmente compresi. Fu troppo tardi perché nell’istante in cui ricevetti quell’illuminazione, Achille afferrò la lancia che gli era caduta e la scagliò dritta sul corpo di Ettore, trapassandolo. L’urlo di disperazione dei troiani per la perdita del loro campione fu sovrastato solo dall’animalesco grido di vittoria di Achille.
Enea si era lasciato cadere a terra con il volto rigato di lacrime. Io ero rimasto in piedi e fissavo il mirmidone come un leone inferocito, colmo di dolore per l’amico appena perduto. Un uomo prima che un principe.
-Gioisci pure per la tua vittoria di oggi, mirmidone, perché è stata l’ultima! Ora conosco il tuo segreto e per te è finita! Morirai nella polvere come il cane che sei!- ruggii stringendo i pugni.
Non contento della vittoria, il vile Achille trascinò il corpo del principe troiano verso il suo carro e ve lo legò per i piedi. Iniziò poi una folle corsa davanti alle mura della città in modo che tutti noi che ci trovavamo sulle mura, re Priamo e Andromaca compresi, potessero vedere l’umiliazione finale dell’eroe.

-Fu davvero Priamo ad andare a pregare Achille per riavere il corpo di Ettore?- mi domanda Cristina evidentemente scossa dal mio racconto.
-No. Achille non sarebbe mai stato capace di un gesto tanto misericordioso. Voleva il cadavere di Ettore come trofeo da mostrare a tutto l’accampamento. Quella sera, tuttavia, il corpo del mio amico venne fatto trovare su un carretto davanti le porte della città. In una mano stringeva un pezzo di tela con su disegnato un simbolo arcaico proveniente dall’isola di Itaca.-
-Ulisse.-

Fu tregua per una decina di giorni. Gli achei si dovevano riorganizzare viste le perdite subite e i troiani dovevano commemorare il loro principe morto. Andromaca era distrutta.
-Il fuoco si avvicina-, mi disse Cassandra la sera in cui Priamo fece ardere la pira funebre del figlio.
-Ma non è ancora stato acceso, amore mio.-
-Parlo del fuoco che distruggerà Troia e ridurrà tutti noi schiavi.-
-Una visione?- le chiesi preoccupato.
-Odisseo ha già intessuto il fatale inganno. Entro una luna la città cadrà.-
-Allora faremo adeguati preparativi-, la rassicurai stringendola tra le braccia.
Parlai della visione di Cassandra ad Enea, che nel frattempo aveva letteralmente spodestato i consiglieri del re e preso le redini dell’esercito.
-Tu le credi, Khalàd? Le credi senza farti influenzare da ciò che provi per lei?-
-Non ha ragione di mentire, Enea. Credimi. Il suo potere è autentico.-
-Agamennone vuole chiudere la partita, dunque.-
-Forse le cose non stanno proprio così-, commentai pensieroso.
-Che intendi dire?-, mi chiese il troiano perplesso.
-Chi comanda i greci? Per davvero intendo. Non di sicuro Agamennone. Lui prende solo gli onori.-
-Ulisse.-
-Appunto. E’ lui che vuole chiudere la partita. Non perché desideri la distruzione di Troia ma per tornarsene a casa. Non ricordi ciò che aveva detto la notte che lo incontrammo fuori delle mura? Visto che Troia non è ancora riuscita a sbaragliare i greci, saranno i greci a distruggere Troia.-
-Devastare una città solo per tornarsene a casa?! Perché non prende il mare e se ne torna a Itaca?-
-Posi la stessa domanda a Ettore poco dopo quel furtivo incontro. Mi fece notare che se Ulisse avesse tradito Agamennone, il re di Micene avrebbe raso al suolo la sua isola, una volta finito qui.-
-Non ha via di scampo, allora. Come noi-, sentenziò Enea con un sospiro.
-Forse ti sbagli-, aggiunsi. –Da quello che Ettore mi ha detto di lui, è un uomo che non si fa manovrare da nessuno, uomo, re o Dio che sia. Ulisse si ritiene padrone del suo destino e se devo essere sincero, credo che abbia uno scopo nascosto che a noi ancora sfugge.-
Mi accordai con Enea per fare in segreto i preparativi per la fuga. Poiché combattevano in bande, finché i greci stavano fuori dalle mura i troiani, meglio disciplinati e organizzati, li potevano tenere a bada. Ma se entravano in città, negli spazi chiusi, i soldati di Priamo sarebbero stati massacrati come animali. Se davvero la fine era vicina, dovevamo organizzarci per portare al passaggio segreto più persone che fosse possibile. Capimmo che il momento era arrivato quando, un mattino, un esploratore tornò con la notizia che i greci se ne erano andati, lasciando sulla spiaggia un dono per ingraziarsi il Dio del mare, Poseidone, per un tranquillo ritorno a casa. Era un enorme statua di legno raffigurante un cavallo. Appena lo vide, il sacerdote del tempio di Poseidone invocò il Dio degli abissi perché scagliasse ogni sorta di sciagura sui greci in fuga. Subito dopo propose di portare il cavallo in città, davanti al grande tempio di cui era custode. Enea si fece subito avanti.
-Questo cavallo rimarrà dov’è. Questa faccenda puzza d’inganno.-
-Il popolo di Troia è devoto agli dei, nipote-, proferì il re Priamo giungendo sulla spiaggia accompagnato da Paride e Cassandra. –Faremo come dice il sacerdote e volgeremo il dono degli invasori a nostro favore.-
Anche Paride guardava con sospetto il cavallo di legno ma fu Cassandra ad avere la reazione peggiore. Iniziò a tremare come una foglia, sostenuta dal fratello.
-Il cavallo è vivo. Il cavallo è vivo! Non portatelo dentro la città! Seminerà solo morte!-
-Paride. Accompagna tua sorella a palazzo. E tu, Enea, fai portare dentro il Cavallo. Domani mattina, al sorgere del sole, celebreremo una grande festa in onore di Poseidone.-
Io ed Enea ci scambiammo un cenno di assenso. Sarebbe stato per quella notte. Fin dal tramonto, entrambi cercammo di radunare più gente possibile in prossimità del muro meridionale della città. Non molti credettero alla nostra storia e fummo costretti ad abbandonarli al loro destino. Credevano fermamente che il cavallo ci avrebbe portato il favore di Poseidone. L’assalto scattò quando la luna fu alta nel cielo e quasi subito urla e colonne di fumo si alzarono dalla zona della grande porta, nei pressi del tempio del Dio del mare.
-Andromaca. Dobbiamo andare-, le dissi scuotendola senza troppi preamboli per svegliarla. –Prendi Astianatte e fuggiamo.-
-Cassandra aveva ragione…- disse lei con il terrore stampato sul viso.
-Si. Nel cavallo ci dovevano essere nascosti degli uomini che nella notte sono usciti e hanno aperto dall’interno le porte. Le navi greche saranno state nascoste in un baia poco lontana. Ora andiamo.-
-Dov’è Cassandra?- disse la vedova di Ettore prendendo in braccio il figlioletto addormentato.
-Non riesco a trovarla-, dissi con il cuore colmo di paura. –Doveva rifugiarsi nella mia stanza ma non si è vista. Sono in pena per lei ma non posso indugiare oltre. Spero solo stia bene.- Un fumo nero e oleoso iniziò a filtrare dalla finestre e seppi che forse era già tardi. –Sono già arrivati a palazzo. Dobbiamo sbrigarci!-
Attraversammo di corsa molte sale della reggia finché trovammo la via sbarrata dal fuoco. Le urla della gente erano assordanti e si avvicinavano sempre di più a noi.
-Khalàd! Ho paura! Stavolta non ci salveremo!- disse Andromaca in preda al terrore. Era la prima volta che la vedevo realmente impaurita.
-Solo lui e il figlio di Ettore moriranno. Tu servirai in Grecia come schiava-, disse una voce arrogante alle nostre spalle. Un guerriero seminudo dai lunghi capelli biondi sbarrava anche la via dalla quale eravamo giunti. La spada che teneva in mano grondava sangue.
-Il prode Achille-, dissi senza scompormi, spingendo Andromaca e suo figlio verso una finestra, in modo che non rischiasse di soffocare per il fumo. Mi liberai del piccolo bagaglio che tenevo al collo ed estrassi la mia spada. –Non speravo più di avere l’occasione di incontrarti. Pensavo di doverti venire a cercare fino in Grecia.-
-Stolto arrogante! Non sai chi hai di fronte?! Farai la fine del tuo padrone ma non sperare che qualcuno venga a trafugare il tuo corpo come è capitato a lui!-
-Vediamo se hai ragione-, lo provocai ancora. Volevo che attaccasse per primo.
Il suo primo assalto fu facile da neutralizzare. Utilizzando la tecnica che avevo imparato da Ettore riuscivo a parare e schivare quasi tutti i suoi affondi e fendenti. Riuscì a ferirmi al petto ma subito dopo la punta della mia spada gli lacerò la pelle del braccio. Restò esterrefatto quando vide la mia ferita rimarginarsi ma non particolarmente impressionato.
-Non sembri spaventato dalla mia guarigione-, gli dissi avanzando verso di lui.
-Non sei unico, se è quello che vuoi dire-, rispose enigmaticamente, poi tornò all’assalto.
Continuammo a scambiarci colpi finché non rimanemmo entrambi senza fiato. La differenza era che la sua spada, per quanto robusta, aveva il filo a pezzi, la mia neppure una graffio. Il suo corpo era coperto di ferite mentre io non avevo neppure un graffio. Decisi di finirlo e vendicare finalmente il mio amico Ettore.
-Ora morirai, Achille, ed Ettore sarà vendicato-, gli annuncia mettendomi in posizione di guardia.
-Io sono invincibile!- mi urlò contro preparandosi all’ultimo assalto.
-Solo finché non esponi le caviglie. La tua tecnica straordinaria si basa sul movimento delle gambe, per questo tendi sempre a tenerle indietro rispetto al resto del corpo.-
Quando si rese conto che avevo scoperto il segreto della sua tecnica, la paura lo fece scendere dal piedistallo su cui era sempre vissuto e tornò uomo. Schivai il suo rabbioso affondo con una giravolta e con un fendente gli recisi il tendine della gambe destra. Il prode Achille urlò di dolore e andò a sbattere contro una colonna. Solo l’orgoglio gli permise di non cadere.
-Io sono invincibile!- ripeté gridando con il viso sfigurato dalla rabbia. Saltando ferocemente su un piede solo tornò incredibilmente ad attaccare.
Usando l’affondo rovesciato che Ettore mi aveva insegnato, gli piantai la mia spada dritta nel cuore, trapassandolo come burro. –Ettore era un vero guerriero. Conosceva il significato del sacrificio. Il suo spirito era invincibile, non tu.-
Mentre scivolava via dalla mia spada, verso il pavimento di marmo ormai sporco del suo sangue, mi prese per le spalle e con il suo ultimo respiro mi disse qualcosa che sembrava un presagio.
-Non sei… unico… sei come… lui!-
-Lui chi?!- gli chiesi urlando, ma era già morto.

-Allora c’erano altri come te-, esclama sorpresa Cristina.
-Credo solo uno, anche se nei secoli passati non ci siamo mai incontrati direttamente. Era come una presenza parallela alla mia vita, ma al contempo distante. Ma questa è un’altra faccenda.-
-Un’altra cosa, nonno. Io so che fu Paride ad uccidere Achille.-
-Paride trovò il corpo del mirmidone mentre fuggiva e si è limitato a piantare qualche freccia nel cadavere. Si spacciò poi per l’uccisore del grande Achille, per tentare di lavare l’onta del duello con Menelao. Povero stolto.-

Mi voltai per vedere se Andromaca stava bene. La trovai rannicchiata contro il muro che mi guardava spaventata.
-Sei un mostro! Stai lontano da me e da mio figlio!- mi disse con malcelato disprezzo. Alzai lo sguardo e vidi i greci nel cortile del palazzo che trascinavano via delle persone legate. Tra loro, oltre alla regina Ecuba, c’era la mia Cassandra. Avrei voluto aiutarla ma avevo fatto una promessa a Ettore e volevo mantenerla. Almeno era viva e in seguito avrei potuto liberarla. Riportai il mio sguardo sulla donna.
-Sono lo stesso Khalàd che ha vegliato per anni su di te e su tuo figlio. E’ vero, sono invulnerabile e forse immortale, ma questo non fa di me un mostro! Sono le azioni che fanno di noi ciò che siamo! E ora andiamo!-
La tirai su per un braccio, scavalcammo il cadavere di Achille e uscimmo dalla stanza cercando una nuova via d’uscita. Ci vollero ore per arrivare al passaggio segreto senza essere visti. Era ormai l’alba. Enea era sicuramente già passato, le tracce di molte persone erano evidenti. Andromaca non aveva più detto una parola e neppure il piccolo Astianatte aveva emesso più un solo lamento. Sbucammo all’esterno che iniziava ad albeggiare. Non avevo un’idea precisa di cosa fare. Volevo riunirmi ad Enea ma sicuramente era molto avanti a noi. Avevamo stabilito che se uno tardava, l’altro doveva proseguire con il suo gruppo. Ci dirigemmo con passo veloce verso il boschetto in cui mi aveva condotto Ettore la notte che incontrammo Ulisse e Nestore… e il re di Itaca era proprio li.
-Sapevo che Ettore avrebbe pensato a mettere in salvo la sua famiglia-, esclamò Ulisse togliendosi l’elmo mentre mi avvicinavo a lui con la spada pronta a colpire.
-Cosa sei venuto a fare, re di Itaca? A finire il lavoro?-
-Non ho nessun lavoro da finire, Khalàd, lo sai bene. Se fosse stato per me neppure mi troverei qui. Se proprio vuoi ringraziare qualcuno del massacro operato da Agamennone, ringrazia quella pecora di Paride.-
-Cosa vuoi da noi, re di Itaca-, domandò con voce stanca Andromaca. –Farci tuoi schiavi? Ucciderci? Fai ciò che vuoi, ma fallo in fretta. Sono stanca di questa guerra assurda.-
-No, Andromaca. Sono qui per aiutarvi. Nessuno sa che sono qui e tantomeno che ho una nave con un piccolo equipaggio di uomini fidati pronti a salpare per Itaca. Ho mandato un messaggio a mia moglie Penelope. Ti sta aspettando per dare rifugio a tutti voi. Nessuno lo saprà mai. Per Agamennone e Achille voi sarete morti.-
-Achille è morto. Gli ho trapassato il cuore qualche ora fa.- Ulisse trasalì per lo sgomento.
-Beh… tanto meglio. Il mondo sarà migliore senza un guerrafondaio del genere. Ora andate perché il tempo stringe.-
-Ti ringraziamo, nobile Ulisse. Non sapremo mai come sdebitarci-, disse Andromaca sinceramente grata per quell’aiuto.
-Mi associo al ringraziamento e ti chiedo perdono, re di Itaca. Ho però un ultimo favore da chiederti-, dissi prima di andare. –Tra le schiave catturate c’è Cassandra, sorella di Ettore e mia amata. Vorrei chiederti di reclamarla come tua, prima che lo faccia qualcun altro, o di comprarla se necessario. Ti ripagherò il debito in ogni modo vorrai ma ti prego di salvare anche lei.-
-Farò quello che posso, Khalàd. Ora andate.-

-Ulisse salvò Cassandra?- mi chiede Cristina visibilmente interessata a questa sfumatura della storia.
-Si e la fece portare ad Itaca con Andromaca e suo figlio.-
-Tu non c’eri?!-
-No. Nel momento in cui vedemmo la nave che ci avrebbe portato in Grecia, in me scattò qualcosa. Il mio destino non era di salire su quella nave. Non sapevo ne come ne il perché. Sapevo solo che era così. Mi assicurai che Andromaca si imbarcasse e attesi finché la nave non fu lontana. Troia era distrutta, i miei amici morti o fuggiti. Ero nuovamente solo con la mia strana spada e un nuovo insegnamento. Un guerriero affronta la morte, pronto a sacrificarsi in per ciò in cui crede.
-Quindi l’ambizione di Agamennone fu placata. Era padrone dell’Egeo.-
-Ambizione? Agamennone non avena neppure idea di quanto limitata fosse la sua idea di dominio. Nel momento in cui salutai Ulisse, compresi quali vette poteva raggiungere l’ambizione umana. L’uomo Agamennone aveva sfidato altri uomini e altri re. L’uomo Ulisse, detto Odisseo, il vero conquistatore di Troia, stava per sfidare gli Dei per riappropriarsi del suo destino.-
-Hai conservato qualcosa di quel tempo?- Mia nipote si fa impaziente quando mi vede infilare la mano nella cassa. Ne traggo un involucro di stoffa di lino che, una volta aperto, rivela un coppa di bronzo che consegno a lei.
-Questa è la coppa con cui offrii del vino a Cassandra, quella prima sera in cui fui invitato a palazzo. La conservo come uno dei miei ricordi più cari.-
-Questi simboli, queste lettere…. Sembra greco antico…-
-Lo stile è troiano. Credo sia l’unico oggetto intatto e ben conservato arrivato fino ad oggi da quella città che, fino a poco tempo fa, si pensava non esistesse nemmeno.
-Dove andasti dopo aver lasciato Andromaca?- mi chiede Cristina restituendomi con reverenza la coppa.
-Seguii il suggerimento che Ettore mi aveva dato. Avevo ancora una spada da riforgiare e mi diressi verso sud, verso l’Africa, verso l’Egitto.-

5 commenti:

Sk ha detto...

Ho iniziato a leggere per caso... Ma come puoi intuire la mia curiosita' e' stata attratta per via di Cassandra... E' una figura a cui sono abbastanza legata... Mi sorprende ed incuriosisce il fatto che tu abbia scelto proprio lei come donna amata dal tuo protagonista.
Comunque complimenti, si lascia leggere! :)

Luke Saints ha detto...

Grazie per i complimenti... Cassandra.
Ho scelto questo personaggio perchéil suo rapporto con il divino, come amata dal Dio Apollo, era simile a quello del mio personaggio. Andando avanti a leggere, se lo farai, noterai che anche la "mia" Cassandra avrà un che di immortalità ma non ti svelo null'altro.
Il romanzo finora piace, e molto visto l'alto numero di contatti in poco tempo. Come dico a tutti i miei lettori si tratta di un esperimento, limitato nellsa sua qualità dal poco tempo che ho per scrivere. Ho altri lavori da pubblicare, molto più curati, ma questa sarà una sorpresa per il futuro.

Sk ha detto...

Di sicuro lo faro', ormai mi ha preso... :D
E' una cosa che avevo iniziato anch'io, scrivere "a puntate", ma in una dimensione molto piu' privata (per mail alle mie amiche) e quasi per scherzo.
Ma ormai e' fermo da troppo tempo! Chissa' che questa cosa non mi faccia venir voglia di riprendere da dove avevo lasciato. :)

Luke Saints ha detto...

Puoi darmi il tuo indirizzo di e-mail? Vorrei ci tenessimo in contatto, magari per una futura collaborazione.

Anonimo ha detto...

Complimenti....
Anche io sto scrivendo una versione diversa della guerra di troia... mi piacerebbe scambiare qualche parere :)