venerdì 16 maggio 2008

3 - IL SENTIERO DEGLI DEI

Scelsi di lasciare Cassandra e di seguire quella via oscura che lei vedeva sempre nei miei occhi. Se devo essere sincero, già da tempo meditavo su quello che sarebbe stato il nostro futuro. Un futuro senza figli in cui l’avrei vista invecchiare e morire, come già successo a molte persone a cui avevo voluto bene.
Mi diressi quindi verso sud, verso le terre che mi avevano visto nascere e oltre. Non avevo fretta quindi non mi affrettai. Ero veramente stanco di guerre, battaglie e duelli. Volevo un po’ di pace e speravo di trovarla proprio in Egitto. Ettore non era stato il primo a parlarmi di quella terra, anche se le mie informazioni riguardavano argomenti differenti dalla metallurgia. Si diceva di quel popolo che le loro vite erano scandite dalla religione, dal loro esercito di Dei. Veneravano la morte come la vita e avevano un complesso sistema di valori morali. Avevo conosciuto molti egiziani durante i miei viaggi e con uno di loro, un marinaio, passai abbastanza tempo da imparare i rudimenti della lingua di quella terra.

-Se dici che la datazione della guerra di Troia è sbagliata, allora devo per forza chiederti quando vi arrivasti-, mi domanda Cristina versando in piccoli bicchieri di cristallo l’amaro a base d’erbe che ero solito bere dopo il pasto, per digerire.
-Giunsi in Egitto, a bordo di una nave fenicia, circa quattro anni dopo la distruzione di Troia da parte dei greci, durante il periodo che gli storici chiamano medio regno. Al potere c’era la XII dinastia con il faraone Sesostri I.-
-Viaggiavi spesso con i fenici.-
-Era un popolo intraprendente e dal grande senso pratico. Formidabili navigatori, erano un po’ i traghettatori del Mediterraneo. Quella volta, tuttavia, sarebbe stato meglio fossi andato a piedi-, ironizzo ripensando a quell’evento lontano.

Quando dico che viaggiai con calma intendo letteralmente. Ci misi ben quattro anni ad arrivare nel cuore della terra dei faraoni. Un viaggio segnato da molte soste e pause di riflessione. Quella più lunga la feci a Uruk, nella mia città natale che ormai non riconoscevo più, tanto era cambiata. Dopo un anno, mi decisi a procedere nel mio viaggio e mi imbarcai su di una nave fenicia diretta proprio alla capitale d’Egitto di allora, Tebe. Non fummo fortunati perché una tempesta fuori stagione fece naufragare il legno a poca distanza dal delta del Nilo, il fiume più grande del mondo. Non so quale mano invisibile mi trasportò a riva ma quando mi svegliai dopo il disastro in mare, con il sole che mi scaldava il volto, mi accorsi che le onde mi avevano adagiato in un canneto. Un rumore alle mie spalle mi fece riprendere in fretta. Sapevo dalle storie che avevo sentito dai mercanti che la foce del grande fiume era infestata dai coccodrilli. Fortunatamente erano solo degli ibis ma cercai comunque di togliermi in fretta da li. Controllai i miei pochi averi. La spada che portavo a tracolla e una sacca di tela in cui tenevo i ricordi della mia vita, recuperati a Uruk, assicurata alla cintura. Quando vivevo a Troia possedevo molte più ricchezze ma fui costretto ad abbandonare tutto per fuggire più velocemente. Avevo tenuto solo un po’ d’oro per i casi d’emergenza.
Il sole picchiava forte e presto i suoi effetti iniziarono a farsi sentire. Il caldo e l’umidità dell’aria erano soffocanti. Camminai tutto il giorno e la sera crollai esausto sotto un albero. Mi assicurai che non ci fossero tracce del passaggio di animali e mi distesi a riposare.

-Ti trovavi ancora nel delta del Nilo, immagino.-
-Si, nei pressi di un canale occidentale della diramazione del Nilo. O almeno è quello che mi dissero i sacerdoti che mi salvarono.-
-Chi ti salvò?! E da cosa?!-

Caddi addormentato quasi subito e nonostante la notte portasse frescura, il mio corpo continuava a bruciare. Il sole, le zanzare e i miasmi degli acquitrini che avevo attraversato quel giorno, probabilmente mi avevano fatto salire la febbre e rimasi svenuto per molto tempo. Quando mi svegliai mi trovavo in una stanza semibuia dalle pareti di pietra. L’ambiente era fresco ed io ero adagiato su di un letto di legno. Accanto al letto vidi un piccolo tavolino sul quale era posata la mia spada e i miei averi. Mi sollevai a sedere, con la testa pesante come un macigno. Evidentemente feci rumore perché un uomo vestito di bianco e con la testa completamente rasata entrò nella stanza ed accese una delle lampade attaccate alle pareti. Al collo portava un medaglione d’oro raffigurante un ibis.
-Sono felice che ti sia ripreso. Iniziavamo a temere che ti stessi avviando verso la nuova vita-, disse l’uomo in egiziano. Ricordavo ancora un po’ di quella lingua e cercai di capire cosa mi era successo.
-Dove mi trovo? E quanto sono stato svenuto?-
L’uomo, probabilmente un sacerdote, rimase sorpreso di sentirmi parlare la sua lingua e fu estremamente gentile ed esauriente. -Sei a Hermopolis, la città sacra di Thot, custode del sapere e scriba degli Dei. Ti trovi all’interno del suo grande tempio e sei stato svenuto per quasi cinque giorni da quando ti abbiamo trovato alla foce del fiume, durante il nostro pellegrinaggio annuale. Io sono Hempter e sono un sacerdote del tempio.-
-Vi ringrazio di avermi soccorso e curato, e di aver recuperato anche i miei pochi averi.-
-Il nostro Dio in persona ci ha condotti a te ma questo è meglio che te lo spieghi il nostro Sommo Sacerdote, Anarray.-
Stavo per alzarmi in piedi quando mi accorsi di essere nudo. Hempter provvide a procurarmi un cingilombi, uno di quei gonnellini che erano in uso tra gli abitanti di quella terra, e del cibo. Ero affamato e divorai in un attimo la zuppa di cereali che il sacerdote mi offrì, assieme a pane e vino un po’ aspro. Finito di mangiare iniziai ad osservare meglio la stanza. Era piccola, dal soffitto basso e con pochi arredi. Un paio di letti, compreso quello su cui avevo dormito io, dei tavolini e molte casse di legno. In alcuni punti delle pareti erano scolpite serie verticali di figure stilizzate che doveva essere la scrittura degli egizi, i geroglifici. Camminai un po’ per la camera, per riattivare le gambe bloccata da cinque giorni di inattività. Il sacerdote, che non avrà avuto più di trent’anni, mi portò anche un bacile d’acqua calda e un rasoio. Mentre ero svenuto il mio copro era stato lavato dalla sporcizia accumulata nel delta del fiume, ma la barba era stata lasciata crescere.
Quando fui finalmente pronto presi con me la spada e la sacca e mi preparai a seguire Hempter, il quale mi guardò perplesso.
-Quella non ti servirà dal Sommo Anarray, e nemmeno il resto…-, affermò indicando la mia arma.
-Non preoccuparti, Hempter-, lo rassicurai. –Non intendo fare del male a nessuno. Questa spada è il motivo per cui sono venuto in Egitto e la voglio mostrare al tuo Sommo Sacerdote.-
-In questo caso, andiamo.-
L’alloggio che mi aveva ospitato era situato in una costruzione separata dal tempio principale, una specie di depandance. Uscito all’aperto mi ritrovai in un cortile lastricato di pietra posto di lato al tempio principale, un’alta e grande costruzione circondata da enormi colonne, decorate da interminabili serie di geroglifici. Camminando di buon passo giungemmo nel grande spiazzo anteriore alla casa del Dio Thot. La via per l’entrata del tempio vero e proprio era segnalata da due file di blocchi di pietra su cui poggiavano statue di babbuini seduti. Scimmie della stessa specie, in carne e ossa stavolta, correvano un po’ dappertutto nel perimetro dell’area del tempio.
-E’ una scimmia l’animale che impersona il vostro Dio?- domandai incuriosito da quella ripetitiva presenza.
-E’ l’animale che rappresenta l’azione terrestre di Thot e lo veneriamo al pari di quello che rappresenta la forma spirituale del Dio, l’ibis.-
Entrati nell’ombra del tempio e superata la prima serie di alte colonne, due grandi statue, alte almeno come tre uomini, erano poste a guardia della porta principale. Statue dal corpo umano e dalla testa di ibis. Ero già stato in altri templi, a Troia e anche nella mia terra natale ma non ricordavo fossero uguali a quello di Thot. Nell’aria si sentiva il classico odore di spezie che bruciavano nei bracieri e il salmodiare lento e un po’ monotono dei celebranti, ma dove in altri luoghi regnava il vuoto che dava l’idea della grandezza del tempio, le sale di quella costruzione erano piene di scaffali di legno nero colmi di rotoli di papiro, il supporto da scrittura degli egiziani. Era un’immensa biblioteca.
-Il tempio di Thot, essendo lui lo scriba degli Dei e il custode dei segreti, è il luogo dove viene conservato tutto il sapere dell’Egitto. Persino il faraone, quando un dubbio assilla la sua mente, fa visita a queste sale per consultare i rotoli qui conservati.-
-Non ho mai visto nulla di simile, tranne forse a Babilonia-, commentai esterrefatto.
-Ho sentito parlare delle magnificenze della città dalle alte torri, anche se non l’ho mai veduta. Non sono mai uscito dai confini dell’Egitto.-
Attraverso molte sale piene di scaffali carichi di rotoli, fui condotto fino ad un corridoio che, come mi spiegò la mia guida, dava accesso al santuario vero e proprio, dove si trovava la statua d’oro di Thot. A metà del passaggio, interamente dipinto con scene che rappresentavano il servizio del Dio per le altre divinità, c’era la porta che introduceva alle stanze di Anarray, il Sommo Sacerdote.

-Che emozione poter vedere i dipinti egiziani nel loro originale splendore-, commenta Cristina estasiata.
-E’ vero. Anche se i disegni sembravano molto stilizzati, gli egizi erano artisti pittorici di una raffinatezza assolutamente unica.-
Anarray, Sommo Sacerdote di Thot, era un uomo non molto più vecchio di Hempter. Vestito alla stessa maniera, come lui aveva la testa rasata, fatta eccezione per un fascio di capelli neri, tenuto legato da un raffinato laccio dorato, che gli scendeva da un lato della nuca fin sulla spalla.
-Thot ha sicuramente vegliato su di te se ti sei svegliato in così splendida forma-, mi salutò nella sua lingua. Poi, ricordando che ero uno straniero, guardò Hempter perplesso.
-Non preoccuparti, Sommo Anarray-, iniziai nel mio stentato egiziano, -Conosco abbastanza la tua lingua da poterti comprendere. Ti ringrazio di avermi curato e accudito in questi giorni. Ti sono debitore.-
-Non mi sei debitore di nulla, straniero. Thot ci ha condotto a te mentre effettuavamo il nostro annuale pellegrinaggio alla foce del grande Nilo, per venerare i nobili animali che ospitano la sua anima immortale. Eri attorniato da uno stormo di ibis che ci hanno fatto da guida. Sicuramente il nostro Dio ti protegge.-
-Io sono straniero e, ammetto, non molto religioso. Stavo venendo nel vostro paese quando la nave su cui viaggiavo è naufragata. Il mio nome è Khalàd e vengo da Uruk, in Mesopotamia.-
-Cosa ti porta nel nostro paese, se posso chiederlo?-
Estrassi la mia spada e la porsi al sacerdote per esaminarla. –Questa spada è stata fatta con del metallo caduto dal cielo. I fabbri che l’hanno forgiata, per quanto abili artigiani, non sono riusciti a completarla. Mi è stato detto che i metallurghi d’Egitto hanno raggiunto vette eccelse in quest’arte e speravo di trovarne uno in grado di riforgiarla.-
Anarray rimase dapprima sorpreso nel vedere un’arma simile poi si fece pensieroso e iniziò a passeggiare per la stanza. Si sedette infine su una seggiola di legno e mi invitò a fare altrettanto. Hempter, intanto, prendeva da un altro ripiano delle coppe d’oro e una caraffa che si rivelò contenere una birra fresca e fragrante che scacciò ogni rimasuglio di torpore dal mio corpo.
-I nostri fabbri eccellono sicuramente nella loro arte, Khalàd di Uruk. Tuttavia, la spada che porti è un dono del cielo e credo che solo un uomo speciale possa darle il giusto splendore.-
-Parli di un fabbro, ovviamente.-
-Lo è, ma è anche un mistico. Ha scelto di seguire la via di Seth, signore del deserto, e vive isolato nelle aride pianure a ovest di qui. Il suo nome è Setharma.-
-C’è qualcosa che indugi a dirmi, Anarray…-
-Il Sommo Anarray sa che, sebbene il fabbro del deserto sia sicuramente il più abile di tutto l’Egitto-, intervenne Hempter, -La spada che da lui venisse forgiata sarebbe intrisa del potere distruttivo del suo terribile e potente padrone.-
Come mi avevano detto, gli egiziani erano un popolo molto religioso e la loro vita un rito continuo da celebrare con devozione. Tuttavia, io non ero così attaccato al soprannaturale come loro, nonostante più di altri avrei dovuto testimoniarne l’esistenza. Detestavo ciò che le potenze celesti mi avevano fatto e per questo avevo scelto inconsciamente di non credere a nessun Dio.
-Quindi cosa proponi di fare, nobile Anarray?- domandai dopo aver terminato le mie riflessioni.
-Ci sono altri abili artigiani nella terra dei faraoni. Potresti affidarti a qualcuno di loro. Ma questa scelta è solo tua. Qualsiasi essa sarà, noi ti sosterremo.-
-Perché siete così premurosi nei miei confronti?- domandai senza capire. –In fondo sono uno straniero in terra straniera, con poco o nulla da offrire…-
-Tu hai molto da offrire, Khalàd di Uruk. Thot ti ha inviato a noi, come il suo oracolo ci aveva predetto. Un uomo dal lungo passato e dal difficile futuro, che impugna una spada celeste e cerca la Via degli Dei. Così ti ha definito il sacerdote che ha interpretato il volere del nostro Dio.-

-Piuttosto preciso, non trovi, nonno?-
-La definizione calzava a pennello ma la mia strada attraverso l’Egitto mi era ancora nascosta.-
-Cosa facesti?-

-Non sono un messia, Anarray. Sono solo un uomo che cerca delle risposte.- Non parlai della mia innaturale lunga vita. Non volevo che la profezia dell’uomo dal lungo passato li convincesse definitivamente che ero una specie di divinità.
-Sei giunto comunque nel luogo giusto, Khalàd. Tu cerchi risposte e le risposte stanno nella conoscenza e nella comprensione di essa. Seguimi-, disse il Sommo Sacerdote del tempio alzandosi in piedi. Mi condusse nuovamente nella sala principale, dove c’era la maggior parte dei papiri. –Dove puoi trovare una conoscenza più vasta? Ed essa che cos’è?-
-E’ Thot-, risposi senza neppure accorgermene. Quel luogo iniziava a condizionare i miei pensieri… oppure no?
-Esatto. Cerchi Thot e nonostante tu ritenga te stesso poco religioso, brami il Sentiero degli Dei.-
Iniziò da quel giorno la mia lunga vita egiziana. Scelsi di rimanere a Hermopolis, ospite del tempio del Dio-ibis. Cercavo risposte, è vero, ma cercavo anche un po’ di pace e quello mi sembrò fin da subito il luogo adatto per averla. Ebbero inizio i miei anni di studio e devozione al sapere e, devo ammettere, che il sapere dell’Egitto era enorme.

-E la spada?- mi domanda Cristina, evidentemente interessata alla mia scelta di riforgiarla.
-Concordai con Anarray di inviarla a Setharma, il fabbro di Seth, ma mi avvertì che il giorno in cui fosse stata pronta, soltanto io potevo andarla a riprendere. Fu enigmatico in proposito e piuttosto serio.-

Con il tempo, naturalmente, tutti i sacerdoti si accorsero che non invecchiavo neppure di un giorno e, prima che potessi dare qualsiasi spiegazione, attribuirono quel miracolo a Thot e iniziarono a chiamarmi Merenthot, il prediletto di Thot. Il primo passo era stato perfezionare la mia conoscenza della lingua egizia, scritta e parlata, e in breve tempo divenni uno scriba. Non mi ci volle molto per leggere gran parte dei papiri conservati nel tempio e di assimilarne il sapere. Il Sommo Sacerdote rimase stupito dalla mia facilità di apprendimento e un giorno si fece scappare la frase in fondo è il tuo destino. Quando il mio egiziano fu assolutamente perfetto, in tutte le sue forme e semplificazioni, Anarray mi concesse di proseguire il mio cammino nella conoscenza dandomi accesso ai testi più esclusivi, quelli riguardanti i sovrani dell’Egitto, di cui erano riportate la storia, le gesta e il loro stile di vita nel rispetto degli Dei. Con rammarico e cruccio del Sommo Sacerdote, non mi convertii mai del tutto alla religione dei miei ospiti, tuttavia avevo imparato a rispettare la figura di Thot. Nel mio immaginario però, non lo impersonificavo in un animale, come il babbuino o l’ibis, me nella conoscenza stessa racchiusa nel suo tempio. In quel periodo, Thot era stato la divinità più reale che avessi mai conosciuto e, a modo mio, lo veneravo.
Dopo sei anni di studio, infine, con la qualifica di scriba reale e alla vigilia del mio accesso ai misteri, i fondamenti segreti della religione egizia, giunse il tanto atteso messaggio di Setharma. La spada era pronta. Fu lo stesso Anarray a comunicarmelo un sera, mentre rilassavamo le menti davanti ad una buona coppa di vino tebano. Avevo assimilato fin da subito gli usi e i costumi di quel popolo. Mi abbigliavo come loro, ne apprezzavo il cibo e soprattutto iniziavo a pensare come uno di loro. Più volte avevo immaginato la vita oltre la morte, una vita a me negata. Non come l’aldilà degli egiziani, ma semplicemente come un posto dove pene e patimenti infine svanivano e tutto il mio essere trovava l’agognata pace.

-Vestivi con il gonnellino e portavi il copricapo tipico degli egiziani?- mi chiede Cristina quasi ridendo.
-In verità il copricapo lo indossavo di rado. Per il resto è vero. Indossavo sandali e cingilombi, talvolta una tunica bianca, simile a quelle greche.-
-E il loro cibo? Era davvero così buono?-
-Erano cibi semplici. Carni arrostite o stufate e bevande fermentate. Una cosa però rimarrà per sempre nella mia mente come un dolce peccato di gola-, le confido, perso nei ricordi.
-Che cosa, nonno?-
-Le focacce al miele. Tu sai che lo zucchero non sarebbe stato conosciuto ancora per molti secoli e che l’unico dolcificante era il miele. Gli egiziani sapevano fare delle focacce dolci che deliziavano il palato anche dopo che il boccone era andato.-
-Torniamo alla spada, nonno-, mi dice divertita da quella confessione quasi infantile.

Anarray mi parlò del messaggio di Setharma.
-Il discepolo di Seth comunica che la tua spada è pronta. Solo tu, però, potrai andare da lui a prenderla e per far questo dovrai dimostrarti degno di essa.-
Fui seccato da quella richiesta. –La spada è mia e non devo dimostrare nulla a nessuno. Gli pagherò il lavoro e saremo pari.-
-Non è così semplice, Merenthot. Se ricordi bene, ero perplesso sul fatto di inviare un oggetto tanto importante ad un uomo simile, senza mettere in dubbio la sua maestria, sia chiaro.-
-Ricordo. Va avanti-, lo incitai. Aveva stuzzicato la mia curiosità.
-Setharma, come discepolo di Seth, Dio-sciacallo dei deserti e delle tempeste, invoca il suo padrone ogni qual volta deve operare sul metallo, infondendo vita alle sue creazioni. La tua spada ora è sicuramente molto più potente di prima, tuttavia è carica di un’energia negativa che dovrai essere in grado di dominare.-
-Un incantesimo?- domandai perplesso. Quel discorso mi sembrava un’altra delle sue discussioni teologiche sul Sentiero degli Dei.
-Non proprio. Diciamo che l’arma è stata benedetta da Seth e ora ne possiede le peculiarità. Per raggiungere la dimora del fabbro, nel cuore del deserto, dovrai sfidare il potere tempestoso del Dio-sciacallo e per fare questo ti servirà aiuto divino.-
-Sono sicuro che Thot mi proteggerà-, tentai di rassicurare il sacerdote, il quale però sospirò scuotendo la testa.
-Il nostro benevolo Thot sicuramente ti ama, ma in questi anni mi sono reso conto che, nonostante tu sia il miglior studente che abbia mai varcato la soglia di questo tempio, non è lui il tuo nume protettore.
-Se non lui, chi allora? Osiride? Ra? Oppure Amon?-
-Questa risposta è celata dentro di te. Nel momento del bisogno, sarà il tuo intimo ad invocare l’aiuto del Dio ed egli accorrerà. Stanne certo. Questo è un passo fondamentale sul Sentiero. Scoprire a quale divinità dobbiamo la nostra vita.-
Rimasi in silenzio per un po’, tentando, o meglio, sperando che nel profondo io condividessi davvero le credenze del mio amico Anarray. –E’ molto lontana la dimora di Setharma?- domandai pensieroso.
-Un giorno e una notte di viaggio con poco riposo-, sentenziò il discepolo di Thot altrettanto serio.
-Partirò domattina presto, prima dell’alba-, dissi soltanto. Lo salutai e mi congedai da lui. Prima di tornare al mio letto, girai per i magazzini del tempio e presi alcune cose che pensavo mi sarebbero servite, tra cui un buon coltello e una corda, oltre naturalmente a cibo e acqua in abbondanza.
Quando lasciai il tempio, il mattino seguente, cosa che facevo di rado in verità, il sole non era ancora sorto e un forte vento freddo soffiava da occidente, la direzione che dovevo prendere. Ritenevo le parole di Anarray frutto della sua superstizione o, più precisamente, della sua fede. Tuttavia, fin dalle prime ore di viaggio, fu chiaro che non solo la natura era all’opera. Con il passare del tempo il vento freddo non dava segno di volersi placare nonostante il sole fosse già alto alle mie spalle. Mi flagellò per quasi tutto il giorno toccando il suo massimo al tramonto, quando fui investito da una violenta tempesta di sabbia. Era talmente forte da riuscire a sollevare ghiaia e piccole pietre che, come proiettili, mi ferivano di continuo. Trovai un riparo ai piedi di una bassa collina argillosa dove alcune rocce mi fecero da scudo. Forse per la prima volta ringraziai il cielo per la mia capacità rigenerativa, altrimenti sarei stato un ben più misero spettacolo a vedersi. Per il momento, solo le mie vesti si erano lacerate in qualche punto. Mi rifocillai e decisi di riposare un po’, sperando che quello strano vento placasse la sua furia. Questo avvenne circa un’ora dopo ma fu sostituito dal guaito degli sciacalli. Mi venne in mente che era strano trovare quelle bestie in un deserto tanto arido dove non c’era ne cibo ne acqua. Iniziavo a pensare che forse le parole di Anarray non fossero così campate per aria. Mi sollevai in piedi e ripresi ad avanzare al suono di quegli ululati. Vedevo occhi rossi tutto intorno a me ma continuavo a ripetermi che era solo frutto della mia immaginazione. Mi ero fatto suggestionare, pensai…. Fino a quando un sciacallo in carne e ossa non mi attaccò per davvero. Fu un miracolo se riuscii a scansarlo in tempo perché era molto veloce, oltre che grosso. I suoi occhi erano rossi come il fuoco. Quella visione malefica fece cadere il muro di razionalità che avviluppava la mia mente e accettai finalmente che Seth, un Dio, era all’opera. Nel momento stesso in cui ciò avvenne, lo sciacallo svanì e il cielo si infiammò dei colori del tramonto. Una prima prova del Signore delle tempeste era probabilmente superata.

-Il sole del deserto ti aveva cotto il cervello?- insinua mia nipote con un po’ di impertinenza.
-Forse. Ma per esperienza personale è nei momenti in cui siamo più deboli e vulnerabili che gli Dei amano manifestarsi-, ribatto un po’ stizzito.

Ero stanco ma avevo deciso di proseguire ancora per un po’. Tenevo il coltello in mano, per evitare altri spiacevoli imprevisti. Seth mi considerava un uomo. Gli avrei dimostrato che ero molto di più con un’arma in pugno. Calò la notte e il cielo stellato divenne la mia guida. Faceva freddo e questo sembra incredibile in un deserto tanto ardente di giorno. Durante le ore notturne attraversai una vasta pietraia disseminata di grandi massi di roccia gialla e, mentre si avvicinava l’alba, pensavo di essere ormai riuscito nella mia impresa. Fu il momento in cui subii l’attacco più deciso di Seth. Il cielo si oscurò avvolgendomi nelle complete tenebre e i rumori del pericolo tornarono ad assillarmi. Non solo l’ululato degli sciacalli stavolta ma anche il sibilo dei serpenti e il ticchettio delle zampe di ragni e scorpioni sulla roccia. Si avvicinavano inesorabili e in me iniziò a montare la frustrazione. Doveva finire in quel modo? Anche se ero immortale e quelle creature non mi avessero ucciso, da quella situazione ne sarei sicuramente uscito pazzo. Seth era più reale di quanto immaginassi… Questo pensiero fece scattare in me la molla della comprensione. Un barlume di speranza si riaccese e divenne presto fiamma mentre vedevo i primi occhi rossi avanzare verso di me nell’oscurità. Se il Dio-sciacallo era reale, anche altre divinità lo erano. Anarray mi aveva detto che avrei dovuto trovare da solo il mio nume protettore. Io cercavo la comprensione, la luce che illuminasse il mio destino. Due divinità impersonificavano la luce nella schiera dei divini dell’Egitto, una tangibile e una spirituale. Quando queste due divinità si univano nella loro completezza divenivano uno, il Dio più potente della terra dei faraoni. Ripeto spesso di avere raramente invocato l’aiuto celeste. Questa è stata una delle poche occasioni in cui è capitato e quando vidi la testa del primo serpente materializzarsi nell’oscurità, mi inginocchiai e levai le mani al cielo.
-Grande Amon-Ra, aiuta il tuo servitore! Scaccia l’oscurità che mi avvolge e permettimi di compiere il mio destino!- urlai verso il cielo.

-Ti ha risposto?- chiede Cristina sollevando scetticamente il sopracciglio.
-Naturalmente. Ero il suo protetto.-

Appena terminata quella preghiera, il cielo si schiarì immediatamente rivelando le prima luci dell’alba, la comparsa di Ra. Le bestie che Seth mi aveva mandato contro si dissolsero in piccole fumate nere e il sole che spuntava a oriente, alle mie spalle, mi inondò con la potenza vitale di Amon. Amon-Ra, il Dio solare che elargisce vita e forza era arrivato in mio soccorso e ora mi mostrava la mia meta. Di fronte a me, verso la fine della pianura rocciosa, una colonna di fumo si innalzava da una bassa collina, la dimora e fucina di Setharma, il fabbro del Dio-sciacallo che mi attendeva sulla porta di casa.
Setharma era un uomo alto e magro, con i capelli completamente bianchi e gli occhi neri come il carbone. A vederlo nessuno avrebbe pensato che lavorasse in una fucina. La pelle scura del torso nudo era tatuata con innumerevoli simboli mistici tra cui riconobbi quello che indicava il suo padrone, all’altezza del cuore.
-Ti aspettavo, Merenthot… o dovrei dire Khalàd di Uruk-, mi salutò l’uomo storcendo la bocca in un accenno di sorriso.
-E’ Khalàd a reclamare la spada, fabbro-, risposi freddamente avvicinandomi a lui. Non avevo gradito molto di essere messo alla prova per ottenere qualcosa che era già mio.
-E’ pronta, naturalmente, come già comunicai al tuo maestro di Hermopolis. Hai superato le prove a cui il mio Signore ti ha sottoposto e quindi posso dire con certezza che la meriti, prediletto di Thot e protetto di Amon-Ra il Luminoso. Entriamo in casa.-
Mi ero sbagliato sulla dimora di Setharma. Non c’erano la casa e la fucina. C’era solo la fucina che fungeva anche da abitazione. Un letto con un pagliericcio era posto in un angolo della stanza scavata nella collina e assieme ad un tavolo era tutto ciò che assomigliava ad un arredamento domestico. Sopra un piano da lavoro era poggiata la spada. Riconobbi subito il metallo della mia arma anche se la forma era totalmente cambiata. La lama era pressappoco ancora della stessa lunghezza ma ora aveva il doppio taglio. Più larga in punta, si inseriva in un’elsa di forma trapezoidale arrotondata che la divideva dall’impugnatura, rivestita con sottili strisce di cuoio chiaro. Il pomolo di bilanciamento aveva la forma di una testa di sciacallo, la rappresentazione di Seth.
-La superficie della lama è ancora imperfetta-, feci notare al fabbro dopo avere esaminato la spada da vicino.
-Mio giovane amico… anche se giovane non sei….-. Come faceva a saperlo? Era stato forse Anarray? –Il metallo che mi hai portato è un dono degli Dei e pertanto destinato a resistere a forze soprannaturali inimmaginabili. Credi forse che gli uomini possano plasmarlo tanto facilmente? Questo è il meglio che ho potuto fare e ti assicuro che la mia arte non ha eguali in tutto l’Egitto. Volevo incidere sulla lama i simboli del potere ma neppure quello mi è stato possibile.-
Provai la spada facendola volteggiare. Era davvero migliorata molto. Perfettamente equilibrata e maneggevole come nessuna arma che avessi mai provato. Cercai infine un ceppo di legno per saggiarne il taglio ma Setharma mi consigliò di uscire all’aperto. Il sole del mattino illuminava parecchi massi sparsi appena fuori della fucina.
-Provala su uno di quelli-, mi disse il fabbro indicando uno dei massi.
-Rovinerò irrimediabilmente il filo-, replicai dubbioso.
-Fallo. Resterai sorpreso.-
Senza molta convinzione mi avvicinai al masso e calai un fendente verticale su di esso. Lo tagliai in due quasi senza sforzo.
-E’ incredibile!- esclamai stupefatto.
-Un’arma speciale per un uomo con un destino speciale.-
-Che ne sai tu del mio destino?!- gli domandai irritato. Non so il perché non mi piacesse quell’uomo. Forse per la sua arroganza. Ad ogni modo lui non ci badava.
-So molto su di te, Khalàd. Il mio Dio, Seth, mi è apparso molte volte in sogno parlandomi di te. Ho alcune cose da dirti ma ci sarà tempo dopo che avremo mangiato qualcosa.
Il pasto fu semplice ma gustoso. Pane, carne arrosto, frutta e un prelibato vino rosso della terra di Caanan.
-Hai creato una spada formidabile-, mi complimentai con lui dopo esserci rifocillati. –Una spada per uccidere velocemente.- Mi vergogno ora a dirlo ma mi ero convinto che più era veloce la morte che elargivo con quella spada, meno la mia coscienza ne avrebbe risentito. Detestavo togliere la vita ma se proprio dovevo farlo non volevo che le mie vittime soffrissero. Che ipocrita ero.
-E’ una spada nata per distruggere-, precisò Setharma. –La testa di sciacallo che vi ho modellato non è un semplice pomolo. E’ uno strumento per collegare la spada alla potenza distruttrice di Seth. Quando ti servirà, se avrai fede in lui, il mio signore inonderà la spada con la sua forza.
-A quale scopo hai fatto ciò? Io volevo solo che riforgiassi la spada. Anarray non te lo ha comunicato quando te l’ha inviata?-
-Naturalmente. Ma questo è avvenuto prima che Seth mi parlasse di te e di quale importanza tu rivesta per il futuro dell’Egitto.-
-Di cosa stai parlando? Sono solo uno straniero, venuto in questo paese in cerca di….-
-In cerca di risposte-, mi interruppe il discepolo del Dio-sciacallo. –Io non posso dartele, Khalàd. Non tutte, almeno. Il mio Signore mi ha però mostrato quello che sarai chiamato a fare con questa spada.-
-Ovvero?-
-Salvare un’anima. L’anima di un ragazzo che sarà di fondamentale importanza per l’Egitto.-
-Come può un tale strumento di morte salvare l’anima di qualcuno?- commentai con un filo di tristezza. –Sai almeno quando dovrà accadere?-
-Tra molto, molto tempo. Tu avrai la pazienza di aspettare, vero?-
-Credo che ne avrò molta. Secoli di pazienza, temo.-

-Chi era il ragazzo da salvare?- domanda Cristina incuriosita.
-Tutto a suo tempo, cara. Accadde molto tempo dopo.-
-Quanto tempo dopo?-
-Seicento anni. Anno più, anno meno.-
-Sei rimasto in Egitto tutto quel tempo?!-

-Seth gli ha mostrato questo?!- disse Anarray sorpreso quando gli parlai del mio incontro con Setharma. Era quasi balzato dalla sedia.
-Sai di cosa stava parlando?- domandai servendo della birra in due coppe e offrendone una al Sommo Sacerdote di Thot.
-Riguarda il Papiro di Isis veggente. Isis, sorella e moglie di Osiris e madre di molti Dei, impersona anche il mistero. Il papiro di cui ti parlo è la trascrizione della profezia di un oracolo della Dea. Parla di un momento di crisi dell’Egitto in cui l’Unico tenterà di sostituire i Molti. Si pensa sia riferito alle divinità. Il testo continua dicendo che solo i Due che sono Uno rimarranno a combattere e tramite il loro protetto restituiranno all’Egitto l’ordine e l’armonia. E’ scritto che perché l’impresa abbia successo, il protetto deve salvare l’anima di un ragazzo il cui cuore è avvelenato dall’influenza dell’Unico. Questo giovinetto è di vitale importanza per il regno perché spianerà la strada all’avvento del Figlio della Luce.

-Non ci ho capito molto neppure io in quel momento-, ammetto. –Col senno di poi tutto mi fu chiaro e ancora oggi mi sorprendo di quanto fosse veritiera quella profezia.-
-Immagino tu fossi il protetto-, ipotizza Cristina.
-Si e il Figlio della Luce era Ramses II, il più grande faraone della storia d’Egitto.-
-E che significato aveva l’anima del ragazzo per quel re?-
-Ora capirai.-

Convenni con Anarray che la mia permanenza al tempio di Thot era ormai inutile e potevo partire per Tebe, l’allora capitale, per entrare nei ranghi degli scribi reali. Per rendere ancora più forte la mia posizione mi fu donato un medaglione d’oro raffigurante l’ibis, un grande onore per chi non era un sacerdote a tutti gli effetti. Giunsi a Tebe come un dignitario e fui accolto immediatamente tra gli scribi reali. Scelsi io di intraprendere quella strada. Se le risposte che cercavo erano nel mio destino e il mio destino era legato al trono della terra del Nilo, come scriba reale avrei potuto tenere meglio sotto controllo la situazione. Tebe era anche la sede del tempio di Amon e mi presentai per prima cosa al Sommo Sacerdote del Dio-ariete. Quando il religioso lesse la missiva di presentazione datami da Anarray, per poco non gli prese un colpo. Chiaramente non metteva in dubbio le mie credenziali ma si rivelò scettico sul fatto che potessi essere l’uomo della profezia. Non mi importava visto che neppure io ci credevo molto.
Iniziò in questo modo un lunghissimo periodo di pace interiore che mi vide, per quasi seicento anni, come uno spettatore delle vicissitudini del trono d’Egitto. Tutti sapevano della mia immortalità e ormai mi consideravano parte dell’arredamento stesso. Come Merenthot ho fatto da mentore a moltissimi futuri faraoni, alcuni dalla mente brillante, altri molto meno.

-Ti rendi conto, nonno, che potresti gettare luce sulle dinastie perdute? Quelle di cui non si sa nulla?-
-Meglio lasciarle perdute, Cristina. Se non ve ne è traccia è perché non fecero nulla di importante per essere ricordate, oppure recarono tali danni al paese che gli scribi, io per primo, fecero in modo che i loro sovrani fossero menzionati il meno possibile.

Scegliendo la via della conoscenza, decisi di nascondere la spada in una piccola nicchia nella mia stanza e di celarla con un pannello di terracotta. Quasi per gioco vi incisi sopra anche una bella maledizione, per tenere lontani i curiosi. Diceva pressappoco L’ira funesta di Seth si abbatterà su coloro che violeranno questo segreto. Naturalmente in seicento anni nessuno tentò di forzare la nicchia.
Come detto, vidi nascere, salire al trono e morire molti faraoni, ma fu all’alba della XVIII dinastia che notai dei segni inequivocabili che le gerarchie celesti erano in subbuglio. Il paese usciva da un periodo difficile passato sotto la dominazione degli Hyksos, un popolo mediorientale che dopo aspre battaglie aveva conquistato gran parte dell’Egitto, usurpando persino il trono dei faraoni. Furono i principi tebani, poi faraoni, Taa II e Kamose a dare inizio alla riconquista, terminata con il faraone Ahmosi, fondatore della nuova dinastia. Celebrante di Amon era diventato un uomo più giovane del solito e piuttosto ambizioso. Il suo nome era Amonek. Si dimostrò fin da subito un capace amministratore del tempio e una mente brillante in fatto di religione. Nonostante fosse un sacerdote, infatti, era dotato di quel senso pratico che era spesso mancato ai suoi predecessori, resi ciechi dai dogmi del loro ruolo. Diventammo presto buoni amici.
-Sta succedendo qualcosa, Merenthot-, mi disse un giorno mentre passeggiavamo per le vie del tempio di Amon, a Karnak. –Il principe Amenothep, che tu hai istruito come ora fai con suo figlio, sta per salire al trono con il nome di Amenifis IV.-
-Non vedo nulla di strano in tutto questo-, dissi non capendo i timori del mio amico.
-Ho avuto modo di parlare con lui a riguardo dei riti per la sua ascesa al trono. Mi ha detto che decidessi io come svolgerli, che a lui non interessava. Non si è mai sentita una cosa del genere.-
-Amenothep ha una mente brillante e sicuramente porterà molte innovazioni all’Egitto. Probabilmente vorrà semplificare i riti e le procedure per l’incoronazione.-
-No, amico mio. Lui è chiaramente ostile ad Amon. Lo leggo nei suoi occhi.-
-Esageri, Amonek. Dagli tempo e vedrai che non ne resterai deluso. La nuova coppia reale sa il fatto suo e tutti ne gioveremo.-

-Ti sbagliavi, vero? Amenofis IV fu il faraone della riforma religiosa.-
-Non me lo ricordare-, rispondo un po’ seccato.

Appena incoronato faraone, Amenofis e sua moglie, la bellissima Nefertiti, attuarono un piano che sicuramente avevano in mente già da molti anni. Dichiararono illegale la religione politeistica dell’Egitto e proclamarono Aton, il disco solare, come unico e solo Dio. Secoli di tradizione venivano rinnegati in un solo giorno e il nuovo re impose questo cambiamento anche con la forza, dove fu necessario.

-Un vero folle-, commenta Cristina scuotendo la testa.
-Un genio della politica-, ribatto io. –Amenofis aveva capito che da troppo tempo il faraone era in pugno ai sacerdoti di Amon, rendendolo debole nelle decisioni più importanti. Con la rivoluzione monoteistica sperava di togliere potere dalle mani dei religiosi di Karnak ed Heliopolis, la città sacra di Ra, per concentrarlo in quelle del faraone.-
-Il popolo egiziano era troppo religioso. Era destinato a fallire in partenza.-
-Ciò nonostante il suo regno durò quasi diciassette anni. Anni difficili, è vero, ma devo ammettere di buon governo. Io credo che la sua idea di fondo fosse buona. E’ stato il metodo ad essere sbagliato. Cambiò persino il suo nome in Akhenaton e quello del figlio, mio pupillo, in Tuthankaton.-
-Era il padre di…-
-Si. Proprio lui.-

Dal canto mio iniziai a pensare che il tempo della profezia si stesse per compiere. Notavo che neppure il figlio di Amenofis condivideva quella scelta. Si era convertito ad Aton, naturalmente, ma in cuor suo disapprovava suo padre e spesso lo trovavo a pulire una piccola statuetta d’oro raffigurante il Dio Amon.
-Temo che mio padre si sbagli, Merenthot-, mi confidò infatti un giorno in cui stavamo studiando nel giardino del palazzo. Aveva solo dieci anni. –Questa cosa di Aton… Non credo sia una buona cosa per l’Egitto.-
-Tuo padre sa quello che fa. Altrimenti non sarebbe il faraone-, risposi poco convinto. Poi ebbi un’illuminazione. Il ragazzo si era convertito ad Aton ma il suo cuore apparteneva ancora ad Amon. Era lui! L’anima da salvare era la sua!
Non ebbi molto tempo per pensare al come portare a termine quel compito perché nel giro di qualche mese scoppiò la rivolta che depose Amenofis. Era guidata dal mio vecchio amico Amonek che per anni si era tenuto nascosto e aveva organizzato con pazienza la caduta di Akhenaton e del suo falso Dio. Purtroppo ai suoi seguaci si erano uniti anche dei fanatici zeloti che durante l’assalto al palazzo compirono indicibili massacri…finché non li fermai.
Accadde di notte, la notte in cui morì Merenthot lo scriba e risorse Khalàd, il guerriero. Trascinandomi dietro Tuthankaton per metterlo in salvo, raggiunsi la nicchia nel muro e con un solo pugno spezzai il coccio che celava la spada.
-Dei dell’Egitto-, invocai sottovoce. –Se davvero sono il vostro prescelto, datemi la forza di compiere il mio destino.-
-Che cos’è quella, Merenthot?- mi chiese il ragazzino spaventato.
-E’ la mia spada, riforgiata da un discepolo di Seth e intrisa della sua potenza distruttrice-, gli spiegai. -Prima di essere uno scriba, ero un soldato.-
-Allora puoi salvare i miei genitori! Andiamo Merenthot! Ti prego!-
Mi inginocchiai per essere alla sua altezza e poterlo guardare negli occhi. Lo presi amorevolmente per le spalle. –Purtroppo per i tuoi genitori è troppo tardi, mio piccolo amico. In verità io sapevo già della rivolta.-
-Sei un traditore anche tu allora!-
-No, Tuthankaton. Non lo sono perché sono ancora fedele al faraone, anche se non è quello che è morto stanotte.-
-Che intendi dire?!-
-Sapevo della rivolta, è vero. Era destinata a deporre tuo padre e mettere te sul trono perché tu restauri la fede negli antichi Dei e scacci definitivamente Aton. Il popolo dell’Egitto si aspetta molto da te. Purtroppo la rivolta è sfuggita di mano a coloro che l’hanno organizzata e ora gruppi di assassini stanno cercando tutti i componenti della famiglia reale, te compreso.-
-Vogliono uccidermi…-, disse con voce tremante il ragazzo.
-Non accadrà. Ti proteggerò io da loro ma dobbiamo uscire dal palazzo il prima possibile e nasconderci nel tempio di Amon, dove sarai al sicuro.-
-Mi sono sempre fidato di te, Merenthot…-
-Khalàd. Il mio vero nome è Khalàd di Uruk.-
-Mi fiderò ancora di te, Khalàd-, asserì il giovane principe ricambiando il mio abbraccio.
Uscimmo nel vasto corridoio nel momento peggiore. Un centinaio di rivoltosi, tagliagole e ladri, stavano venendo verso di noi.
-Scriba!- chiamò il capo dei ladri che era un vero colosso. La sua spada era macchiata di sangue. –Dai a noi il ragazzo! Lo sacrificheremo ad Amon e agli altri Dei!-
-Ne Amon ne altri Dei chiedono sacrifici umani. Il ragazzo viene con me-, dissi loro ritrovando la mia antica freddezza.
-Allora morirai con lui! Non puoi nulla contro tutti noi!-
Avanzarono tutti insieme urlando e mi posi tra loro e il mio protetto. Impugnando stretta la spada, invocai il potere di Seth e menai un potente fendente orizzontale. La prima fila di aggressori cadde a terra con il ventre e le armi tagliate. Considerato il loro numero sarebbe stata una follia attenderli al varco. Dopo sei secoli liberai tutta la mia rabbia e mi feci possedere dalla forza distruttrice del Dio-sciacallo. Ero molto arrugginito ma, forte della nuova spada e della tecnica di Ettore, compii un vero massacro che fece inorridire persino Tuthankaton. Dopo alcuni minuti era rimasto in piedi solo il colosso che aveva guidato gli aggressori, terrorizzato nel vedere le mie ferite che si rimarginavano. Ero esausto e quell’avversario richiedeva ancora molto sforzo. Scelsi di sfruttare la mia ultima risorsa e invocai il potere del mio protettore, Amon-Ra.
-Amon-Ra, Signore della luce e della vita! Inondami della tua energia vitale! Per un’ultima volta!-
In risposta alla mia preghiera, un dolce calore mi permeò le membra e mi restituì tutto il mio vigore. Ancora una volta feci il primo passo e attaccai il mio avversario che, seppur fisicamente più forte, non poté fare nulla contro la terribile potenza degli Dei unita alla mia tecnica di combattimento. Mentre lo uccidevo decapitandolo, compresi finalmente ciò che mi disse Setharma, secoli prima, nel momento in cui lo salutai per tornare a Hermopolis. Un guerriero senza fede è un guerriero solo e viene presto sconfitto.
Pulii il sangue dalla spada su di una tenda e presi il piccolo principe per un braccio trascinandolo via, prima che quelle scene di morte divenissero per lui incubi.
Riuscimmo a raggiungere il locale tempio di Amon dove già Amonek ci attendeva.
-Sono felice di vedere che siete riusciti a fuggire da palazzo, Merenthot. Temevo che quei tagliagole vi avessero presi.-
Lo guardai con lo sguardo più feroce di cui ero capace. –Ne ho appena uccisi un centinaio di quei tagliagole. Quelli che si sono appropriati della tua rivolta, per intenderci.- Rimase allibito.
-So che le cose non sono andate come avevo immaginato ma l’importante è che il principe sia sano e salvo e che Amon e gli altri Dei possano presto tornare al posto che spetta loro di diritto.-
-Ripristina i tuoi Dei, Amonek. Riorganizza anche l’Egitto se vuoi ma il tuo primo dovere è salvaguardare il principe.-
-Naturalmente. Naturalmente. E’ stata mia premura trovare una persona di altissima fiducia da affiancare come tutore al principe.- Mi diceva velatamente di farmi da parte.
Un uomo sui trentacinque anni, calvo e vestito come un sacerdote, si fece avanti e si inchinò a me con reverenza. Aveva un volto affilato come il becco di un falco e due occhi da furetto che non mi piacquero per niente.
-Il mio nome è Ay e sono uno dei quattro Sacerdoti Maggiori che affiancano il Sommo Amonek nel suo compito. E’ un onore conoscere Merenthot, prediletto del Dio Thot e protetto del grande Amon-Ra.-
-Merenthot è morto nel momento in cui ho reimpugnato la spada. Il mio nome è Khalàd di Uruk.-
-Mi prenderò io cura del principe. La vostra fiducia non è mal riposta.-
-Lo spero bene per te, Ay. Non sono dell’umore di scherzare quindi proteggi il ragazzo come fosse tuo figlio, sia come principe che, in futuro, come faraone.-
-Lo farà… Khalàd. Mi fido di lui come di me stesso, ma tu…-
-Io partirò. Tornerò a Hermopolis per recuperare al tempio di Thot alcune mie proprietà, poi lascerò l’Egitto.-
-Per sempre?- mi domandò enigmaticamente Amonek, che non consideravo più l’amico di un tempo.
-Forse.-

-Che ne fu del ragazzo?- mi chiede Cristina anche se avrebbe già dovuto sapere la risposta.
-Gli fu cambiato il nome da Tuthankaton in Tuthankamon e, pochi mesi dopo la deposizione del padre, fu messo sul trono a soli undici anni, con Ay e Amonek come tutori.-
-Tornasti?-
-Tornai nove anni dopo, per uccidere entrambi. Ay era divenuto faraone dopo la misteriosa morte del mio pupillo-, rispondo duro. Quel fatto mi ha segnato profondamente.
-Per quale motivo lo facesti?-
-Avevo mantenuto dei contatti a corte ed ero venuto a sapere che Tuthankamon non era morto di malattia, come avevano detto i sacerdoti di Amon, ma era stato lentamente avvelenato proprio da Ay, a soli diciotto anni.-
-Ma è orribile!-
-Erano tempi in cui si uccideva per poco, credimi, e senza distinzioni di età, sesso o classe sociale. Mi consola solo il fatto che con la restaurazione della religione originale, vennero creati i presupposti per l’ascesa al trono della XIX dinastia del Nuovo regno, quella di Ramses.-
-Cosa puoi mostrarmi di quel tempo?-
-Questo-, le dico mostrandole l’oggetto che ho furtivamente preso dalla cassa dei reperti. E’ il medaglione d’oro raffigurante l’ibis del Dio Thot, il simbolo del mio rango di scriba reale.
Cristina prende con mani tremanti il monile e lo osserva da vicino.
-Come faccio a sapere che è autentico…- Si zittisce mentre le porgo il certificato di datazione eseguito dallo stesso laboratorio di fiducia della sua università.
-Altre domande?- le domando divertito gustandomi la sua espressione sorpresa.
-Lasciasti l’Egitto. Per andare dove?-
Ritorno serio rievocando la seguente tappa del mio viaggio nella Storia. -In un luogo dove ad essere riforgiato sarei stato io e non la mia spada.-

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