mercoledì 11 giugno 2008

6 - L'OMBRA DELL'AQUILA

Cristina mi fissa enigmatica dopo la fine del racconto della mia avventura nel cuore dell’Africa. Chiaramente ha ancora molta difficoltà a credermi. Sono però sicuro che la cronaca di ciò che avvenne nella mia seguente tappa sulla strada della Storia le darà qualche certezza in più.
-Dunque fuggisti nel cuore della notte. Dove andasti?- mi domanda lei dopo aver cambiato la scheda di memoria del registratore digitale e averlo riattivato.
-A nord-, rispondo guardando fuori dalla finestra, guardando il mare.

Mi diressi a nord ma non era stata una mia scelta. Mettevo un passo dietro l’altro sempre nella stesa direzione presa a caso. Quando scappi da gente che vuole ucciderti non stai a pensare dove potresti andare. Camminai per giorni, riposando poco e razionando l’acqua, il bene più prezioso da quelle parti. Avevo trovato alcune oasi ma erano molto distanti tra loro ed ero costretto a risparmiare il prezioso liquido. Giunto al limitare del grande deserto ne seguii il limitare verso oriente fino ad arrivare ai confini dell’Egitto. Non mi sarei mai arrischiato ad attraversare il mare di sabbia in quelle condizioni e, comunque, come al solito non avevo fretta. Trovai presto un insediamento e pagando una moneta d’oro ottenni ospitalità e cibo presso una famiglia di minatori. Avevano trovato un piccolo filone di rame nei pressi della loro casa, scavando alla ricerca di acqua, e si erano messi in affari con i mercanti delle grandi città, sempre in cerca di prodotti minerari.
-Quali notizie dal mondo?- domandai mentre attendevo il cibo. Per due anni ero rimasto isolato dal mondo e volevo conoscere le novità.
-In verità non è successo nulla di nuovo-, mi disse il capofamiglia portandomi una brocca d’acqua fresca e della frutta. Ci trovavamo nella sala comune della sua casa, un luogo semibuio e fresco che serviva da rifugio alla famiglia nelle ore più calde del giorno. –I persiani continuano a spopolare in tutto il medioriente.-
-C’è qualche città libera dalla loro influenza? Cerco un posto dove stabilirmi ma non mi va di piegarmi alle regole dei persiani.-
-Cartagine. Tutta la forza commerciale dei fenici si sta spostando li, nella loro colonia africana.-
-Come mai? Due anni fa Tiro era ancora una città florida.-
-Lo è ancora mai i persiani hanno bisogno sempre di nuove ricchezze per finanziare le loro operazioni militari e nell’ultimo anno hanno calcato il piede su Tiro, la loro piccola miniera d’oro.-
-Ai fenici la cosa non è piaciuta, immagino-, commentai. Conoscevo i miei vecchi amici che mi avevano portato in giro per mezzo mondo.
-Esatto. Senza che i persiani se ne accorgessero hanno svuotato Tiro spostando il centro dei loro affari a Cartagine. Ora la vecchia Tiro è solo una grande città con un porto e dei magazzini. Oro e gemme ne girano poche.-
Mi venne da sorridere. I fenici erano un popolo davvero pieno di risorse. Avevano sempre una soluzione ad ogni problema. Sarà per questo che, in un modo o nell’altro, il loro impero commerciale è durato ben più a lungo di quello che nominalmente si crede.
-Avete qualche contatto laggiù? Vorrei trovare un lavoro ma non so nulla della città-, chiesi al minatore, un uomo corpulento dalla testa rasata e con la pelle bruciata dal sole.
-Nessuno direttamente ma uno dei mercanti a cui vendo il rame lo porta sempre a nord, da quelle parti. Quando sarai al mercato di Cartagine, cerca Asuaf e digli che ti manda Nerak. Saprà sicuramente aiutarti.-
-Ti ringrazio. Ti sono debitore.-
-Con quello che mi hai pagato non mi devi nulla. Riposati ora. Il viaggio fino a Cartagine è lungo per una persona appiedata e non puoi viaggiare per molte ore al giorno.-
Salutai Nerak e la sua famiglia il mattino seguente quando ancora regnava il buio e tornai a dirigermi verso nord, verso il delta del Nilo. Avevo una buona scorta di cibo e di acqua ma il minatore mi aveva comunque indicato degli altri insediamenti dove potermi fermare a riposare e ristorare. In uno di questi mi fu offerta persino la birra della fabbrica che avevo fondato a Tiro. La qualità era ancora eccellente. Evitai ancora una volta le grandi città dell’Egitto. La dominazione persiana non aveva schiavizzato gli egiziani, anzi, li aveva integrati nell’impero in modo molto morbido rispetto ad altri popoli. Tuttavia, dopo la battaglia delle Termopili, temevo che appena avessi visto un persiano gli sarei saltato addosso per ucciderlo.

-Se ti stabilisti a Cartagine pochi anni dopo la battaglia delle Termopili, non ci rimanesti per troppo tempo immagino-, commenta Cristina e so a cosa si riferisce.
-Effettivamente ci rimasi “appena” centosettant’anni, fino al 330 a.c., ma ora sto correndo troppo-, rispondo.

Cartagine era una città fiorente dalla grande forza economica. Per la sua posizione, proprio al centro del Mediterraneo, il volume dei suoi affari era tre volte quello di Tiro e vi si potevano trovare merci provenienti persino dalle più remote terre del nord Europa. A differenza della capitale della madrepatria, i coloni cartaginesi avevano sviluppato molto anche la loro forza militare, in particolare marittima, e difendevano la loro città e le loro colonie con possenti battaglioni di uomini ben addestrati e navi da guerra agili e veloci nel manovrare.
Quando giunsi a Cartagine, circa un mese dopo ave lasciato la casa di Nerak, non mi fu difficile trovare il mercante Asuaf visto che era uno dei pochi ad avere il prezioso rame tra le sue merci. Dall’accento con cui parlava la lingua fenicia sembrava un siriano e si dimostrò subito diffidente quando gli chiesi se fosse lui l’uomo che cercavo. Al nome di Nerak però, la sua lingua si sciolse e mi offri persino da bere, lasciando i suoi inservienti a guardia del carico. Mi portò in una specie di taverna dove bevemmo un nero e forte vino siciliano e parlammo di affari. Gli spiegai la mia situazione e cosa cercassi. Quando gli dissi che avevo fatto per moltissimo tempo la guardia carovaniera…

-Scommetto che ti offrì di difendere la sua carovana-, ironizza mia nipote.
-Le sue merci-, rispondo annuendo, -Ma non sulla carovana. Asuaf aveva un grande magazzino a Cartagine dove stivava ogni sorta di merce, non solo minerali. Non riusciva a trovare un uomo d’esperienza da mettere a capo dei suoi sorveglianti, così mi propose una prova.-
-Che prova?-

Dopo avermi fatto l’offerta, tornammo all’area del mercato dove esponeva le sue merci e chiamò a se una delle guardie dei suoi carri. Era un colosso dalla pelle nera, vestito solo con una pelle di animale e portava a tracolla un’enorme spada ricurva ad un solo taglio, di fattura molto simile a quelle usate nella mia terra d’origine. Mi venne un tuffo al cuore quando lo vidi perché somigliava molto a Uluda, il capo del Popolo del Leone.
-Questo è Kutu, il migliore dei miei combattenti-, lo presentò il mercante siriano. –Ora andremo al magazzino e se saprai resistere almeno una clessidra di tempo contro di lui ti assumo.-
-Per me va bene-, risposi con una certa noncuranza, anche se il nero mi superava in altezza di almeno un metro.
Il magazzino cartaginese di Asuaf era una vasta costruzione di pietra e legno addossata al muro occidentale della città. C’era una sola grande porta per accedervi e poche strette finestre poste in alto, a ridosso del tetto, per il ricambio d’aria e per far entrare un po’ di luce. Il magazzino all’interno era diviso in due zone. Una parte, la più grande, era occupata da alti mucchi di minerali, ognuno di un colore diverso. Riconobbi il rame, lo stagno e il ferro ma vidi anche cumuli più piccoli che brillavano d’oro e d’argento. Nella parte opposta del magazzino erano invece accatastate le altre merci. Attrezzi, armi, anfore di vino e olio, vasi di alimenti conservati e soprattutto stoffe, moltissime stoffe. Due uomini di mezza età erano indaffarati a sistemare e catalogare le merci. Entrambi portavano dei lunghi coltelli ricurvi infilati alla cintura.
Appena oltrepassata la porta c’era uno spiazzo abbastanza grande perché un carro potesse stare al riparo dal sole e dalla pioggia, per essere caricato o scaricato. Era li che mi sarei battuto.
-Vediamo che sai fare… Khalàd-, disse il mercante indicando lo spiazzo, mentre il nero Kutu già estraeva la sua grande spada.
Senza dire una parola misi giù la mia sacca e sfoderai la spada. La feci roteare un paio di volte per sgranchire il polso mentre il mercante prendeva una piccola clessidra e si preparava a girarla al primo attacco di uno dei contendenti. Sembravo una pulce con uno spillo in confronto al colosso nero ma conservai la calma. Dagli spartani avevo imparato molto e soprattutto a non preoccuparmi finché non avessi valutato l’avversario a dovere. Mi attaccò all’improvviso, con una violenza inaudita. Feci appena in tempo a scansarmi e la spada del nero si abbatté al suolo lasciando un solco profondissimo. Gli girai intorno, facendo poi delle finte per istigarlo ad attaccare nuovamente. Schivai ancora i suoi attacchi. Non mi sognavo neppure di parare uno di quei colpi altrimenti non so che sarebbe successo al mio braccio. Kutu non era un principiante e calibrava bene i suoi assalti, in modo da rimanere in posizione sbilanciata il meno possibile. Provai ad attaccarlo anch’io, per saggiare la sua difesa, e lui bloccò con facilità tutti i miei colpi. In fondo dovevo far solo passare il tempo e la sabbia nella clessidra sulla mano di Asuaf era già caduta per metà. Il mio intento era però chiaro e, ad un cenno del mercante siriano, Kutu iniziò a fare sul serio… e anche io. Attaccò a piena potenza e dovetti ricorrere a tutta la mia velocità e agilità per schivare i suoi colpi. Pur possedendo una tale corporatura era molto veloce, ma avevo intravisto il momento buono in cui colpirlo, usando un trucco che avevo imparato dal mio antico maestro Mordan. Scansai l’ennesimo affondo del nero facendo un solo passo laterale e abbattei con tutta la mia forza la spada, girata di piatto, sul suo avambraccio, sull’unico punto in cui un nervo non è coperto dai muscoli. Mi allontanai rapidamente. Sapevo che un colpo solo non bastava ma vidi comunque la smorfia di dolore sul volto di Kutu. Il suo seguente attacco fu infatti più incerto ed ebbi l’occasione di colpirlo nuovamente sullo stesso punto, facendolo inesorabilmente arrabbiare.
-Che cerchi di fare, insetto?!- inveì contro di me stringendo i denti per non lasciare cadere la spada per il dolore.
-Cerco di non ucciderti-, risposi. –Sei un combattente molto abile e sarebbe un peccato toglierti la vita.-
Evidentemente non gradì quella mia cautela e attaccò in modo ancora più violento. Nonostante prestasse maggior attenzione durante il suo assalto, lo colpii nuovamente al braccio che sorreggeva la sua spada. Finalmente lasciò cadere l’arma e il freddo metallo toccò terra proprio nel momento in cui l’ultimo granello di sabbia cadeva nella clessidra.
-Superbo!- esclamò Asuaf battendo le mani. –Mai avrei pensato che Kutu potesse essere sconfitto! Sei ufficialmente il guardiano di questo magazzino, al prezzo che già abbiamo pattuito.-
-Ti ringrazio, Asuaf-, risposi rinfoderando la mia spada egizia. Raccolsi poi la grossa lama del nero Kutu e la porsi al suo proprietario, il quale si teneva ancora il braccio per il dolore.
-Sei davvero molto forte, guerriero. Ti rendo onore-, mi disse accettando la spada.
-L’onore è mio, Kutu. Sei stato un avversario formidabile.-

-Avresti potuto ucciderlo?-
-Facilmente, bambina mia-, rispondo con una certa noncuranza. –Ma non era quello il mio scopo.-
-Che ci trovavi di tanto affascinante nel lavorare per i mercanti? Proprio non riesco a capirlo.-
-Tu leggi i giornali?- le domando di contro.
-Naturalmente. Ma non capisco questo cosa centri con…-
-Nel mondo antico non esistevano i giornali. Al massimo qualche rara affissione per comunicazioni da parte dei governanti, ma nessun mezzo di informazione scritto.-
-Ancora non ci arrivo, nonno-, insiste Cristina.
-A quei tempi le informazioni viaggiavano sulle lingue dei mercanti. Erano loro che, con i loro viaggi, portavano in giro le notizie e io avevo un gran bisognio di quelle notizie. Non potendo morire dovevo preoccuparmi di cambiare luogo in cui vivere, di tanto in tanto, e finire nel bel mezzo di una guerra perché non sapevo nulla sulla mia destinazione non mi è mai piaciuto.-
-Capisco. E che si diceva in quel periodo?-
-Ora lo saprai.-

Presi servizio nel magazzino come capo delle guardie, ovvero i due inservienti che avevo visto più un ragazzetto che era solito fare commissioni per Asuaf. Era un lavoro davvero monotono visto che non capitava mai nulla. Certo, non amavo gli scontri, ma stare giorni e giorni a guardare mucchi di pietre e rotoli di tessuto era proprio noioso. Avevo voglia di un po’ di attività e un giorno, quasi due anni dopo che ero stato assunto, guardando dei ragazzini che giocavano con spade di legno poco lontano dallo stabile, mi venne un’idea a cui non avevo mai pensato. Ne parlai con Asuaf al suo ritorno a Cartagine.
-Una scuola per guardie? Non si è mai sentita una cosa del genere-, esclamò il siriano accigliandosi e lisciandosi la barba che stava lentamente ingrigendo. –Tutte le guardie che lavorano per noi mercanti sono state addestrate nell’esercito.-
-E quante sanno fare questo mestiere appena lasciano l’esercito? Nessuna. Sono solo smaniosi di combattere, non di proteggere le merci.-
-Questo è vero. Cosa mi proponi di fare, allora?-
-Troviamo giovani che sappiano tenere in mano una spada o una lancia e io li addestrerò. Poi li faremo fare pratica qui al magazzino e con te e Kutu con la carovana. Infine ci faremo pagare dagli altri mercanti per averli al loro servizio. Con tutti quelli che ci sono qui a Cartagine faremo soldi a palate.-
-L’idea è buona. Facciamolo-, acconsentì Asuaf. –Proprio ieri parlavo con degli amici mercanti che si lamentavano del fatto che non si trovano buone guardie per le loro carovane.-
Detto fatto, mi trovai un’occupazione per diverse decine d’anni. Guadagnai abbastanza da riscattare quell’attività dal mercante siriano e, assieme al nero Kutu, mi misi in proprio. Usai la solita storiella della benedizione divina per spiegare il mio aspetto sempre giovane e, come spesso accadeva, sia Asuaf che Kutu considerarono la mia vicinanza una vera fortuna, visto come andavano gli affari. Infine però, vidi anche loro invecchiare e morire. Seppellire degli amici è sempre stato triste per me e anche se dicevo a me stesso che oramai ci ero abituato, in realtà non era vero. Non ci si abitua mai a veder morire le persone che hanno fatto parte della tua vita per molti anni.
Dopo quasi due secoli passati li, iniziai a prendere in considerazione l’idea di andarmene da Cartagine. Girando per il porto avevo sentito dire che la città si stava facendo un’antagonista di tutto rispetto nel controllo del Mediterraneo, un nemico di nome Roma, una città al di la del mare che stava conquistando terre e sottomettendo popoli in tutto il continente. Una forza combattente che non si fermava davanti a nulla e ciò che calpestava assoggettava. Rimuginando su quelle voci, un senso di inquietudine si impadronì di me. Sembrava quasi che sentissi la fine di Cartagine e della civiltà fenicia avvicinarsi. A oriente la situazione non sembrava migliore. Un condottiero macedone di nome Alessandro stava conquistando uno dopo l’altro gli stati del medioriente e si preparava a dare il colpo finale all’impero persiano. Qualcuno diceva che il giovane Alessandro era un grandissimo stratega e condottiero, altri vociferavano che il merito fosse di un generale, un uomo misterioso che affiancava sempre il macedone e che portava sempre l’elmo calato sulla testa perché orrendamente sfigurato in volto a causa di un incendio.
Merito o non merito, quell’uomo stava adottando la stessa politica di conquista attuata dai persiani. Sottometteva i popoli senza renderli schiavi, governandoli ma lasciando loro una certa libertà, inglobandoli nel suo nascente impero in modo morbido, senza continui conflitti interni.

-Molti storici sospettano effettivamente che Alessandro Magno fosse un incapace e un sodomita e che il merito delle sue vittorie fosse dei suoi generali-, mi fa notare Cristina.
-E hanno pienamente ragione. Tuttavia, ad Alessandro va riconosciuto il merito di aver sempre sostenuto lo sviluppo e la conservazione culturale dei popoli sottomessi, rendendoli più docili e meno inclini a rivoltarsi. In questo modo le loro culture sono giunte fino a noi. Lui stesso era stato istruito da filosofi e letterati e conosceva bene le conseguenze a cui poteva portare l’umiliazione dei perdenti.-
-Sembra che tu ne apprezzi le imprese. Sei forse stato al suo seguito dopo aver lasciato Cartagine?-
-No, per fortuna-, rispondo con un certo nervosismo.

Mentre l’ombra di Roma si allungava sul continente europeo, Alessandro il macedone era all’apice del suo potere ed espandeva il suo impero verso oriente, verso il mare arabico e la valle dell’Indo. Aveva disseminato i suoi uomini più capaci lungo il suo cammino, in modo da mantenere un controllo diretto sui territori occupati. A quanto sentivo però, teneva sempre al suo fianco quel misterioso generale mascherato, che si diceva fosse un guerriero fortissimo e spietato. Il giovane conquistatore aveva fondato anche diverse città, dando loro il suo nome. Fu in quel periodo che decisi di lasciare Cartagine e di fare parte della nascita di qualcosa di nuovo, di una città che avrebbe rappresentato un punto di riferimento per la cultura di tutto il mondo antico, la prima Alessandria fondata dal figlio di Filippo, quella in Egitto, che ormai consideravo quasi una seconda patria.
Giunsi ad Alessandria d’Egitto nel 330 a.c., due anni dopo che Alessandro aveva dato il via allo sviluppo dell’originario insediamento. Conoscendo a fondo la cultura egizia, non mi fu difficile farmi notare in fretta dal comando militare che presiedeva la costruzione degli edifici e delle strade. In pochi anni ero già quello che poteva definirsi un “visir”, un governatore o un sovrintendente della città. Un ruolo che cambiò alla morte del giovane conquistatore, a soli trentatre anni. Qualcuno dice di peste, altri avvelenato. La verità è che fu assassinato da quello stesso generale sfregiato, quello che si era portato appresso durante le sue conquiste, e che poi si era dileguato per sfuggire alla vendetta di coloro che erano rimasti fedeli al giovane sovrano.

-Come lo scopristi?- mi chiede Cristina.
-Me lo rivelò uno dei più fedeli generali di Alessandro, Tolomeo il greco, quando giunse ad Alessandria per prenderne possesso e diventare il primo faraone dell’ultima dinastia d’Egitto.-

Tolomeo I detto “Sotere”, il salvatore, era un uomo che, pur essendo rimasto fedele ad Alessandro fino all’ultimo, non condivise mai la sua ossessione e la sua ambizione di conquista. Al pari del conquistatore macedone era stato istruito da uomini di conoscenza che avevano condizionato grandemente la sua personalità e le sue aspirazioni.
In qualità di sovrintendente della città feci parte del comitato di benvenuto che lo accolse al suo arrivo. Mi parve subito un uomo carismatico, abituato a comandare con l’intelligenza più che con la spada. Non era un ingenuo però e dopo pochi giorni dal suo insediamento, quando capì che una buona parte del comando militare non condivideva il suo progetto di un regno d’Egitto pacifico e poco incline alle conquiste, fece prima rimuovere gli oppositori dai loro incarichi ed infine li fece giustiziare.
Per i primi tempi fui io la sua guida della città e in quel periodo nacque tra noi un sodalizio e un’amicizia davvero profonda in quanto eravamo molto simili. Entrambi non amavamo le guerre inutili e credevamo nella conservazione della conoscenza. Una sera, alcuni mesi dopo la sua presa del potere, mentre sedevamo allo stesso tavolo per la cena, mi espose i suoi progetti.
-Ti sei rivelato molto prezioso per questa città, amico mio, ma ora credo che il tuo compito come sovrintendente sia finito.-
Drizzai le orecchie come un segugio. –Ti ho forse deluso, faraone? Se ho mancato in qualcosa sono pronto a pagarne il prezzo-, dissi in modo formale anche se non mi sarei mai sacrificato per nessun re che non fosse stato come Leonida di Sparta.
-Assolutamente no, Khalàd-, disse l’ex generale scoppiando a ridere. –Penso solo che sei sprecato come capocostruttore, tutto qui. I tuoi sottoposti possono cavarsela da soli oramai. Ne promuoveremo uno a sovrintendente e la faccenda sarà sistemata.-
-Che hai in mente per me, maestà?-
-Tu sai che ho in progetto di costruire un’opera grandiosa che darà lustro alla nostra città per i secoli a venire. Hai visto i progetti.-
-La grande colonna che segnalerà la via ai naviganti del nostro mare.-
-Proprio quella. Entro breve tempo inizierà la costruzione e vorrei che ti assicurassi che i lavori procedano senza intoppi, vista la tua esperienza di comando.-
-Potrei farlo anche continuando ad essere il sovrintendente della città-, obiettai riempiendo le coppe di vino per l’ennesima volta.
-La sovrintendenza della costruzione della colonna sarà solo il minore dei tuoi incarichi. Sono rimasto affascinato dal tuo racconto su Hermopolis, la città sacra del Dio Thot.-
-Dove ho appreso i segreti della cultura egiziana.-
-Appunto. Ma l’Egitto non è più il regno potente di un tempo e si dovrebbe trovare un altro mezzo per riportare il nome di questa terra alla gloria del passato.-
-La colonna lo farà di certo, mio signore.-
-E se espandessimo l’idea della biblioteca di Hermopolis? Se creassimo una grande biblioteca, qui, ad Alessandria, e vi raccogliessimo tutto il sapere del mondo conosciuto, non solo quello dell’Egitto?-
-Sarebbe un’impresa colossale… e magnifica-, commentai a voce bassa con l’idea che già mi accarezzava la mente. Tolomeo se ne accorse immediatamente e sorrise.
-Sapevo che la cosa ti avrebbe affascinato-, disse il sovrano continuando a fissarmi.
-E come non potrebbe? Un’occasione unica per l’umanità di riunire tutto il sapere del mondo e poterlo utilizzare al bisogno.-
-Esatto! Solo di te mi posso fidare per l’aiuto che mi è necessario. In nessun altro dei miei sudditi scorre la stessa brama di apprendimento che c’è in te. Facciamola, Khalàd! Creiamo la più grande biblioteca del mondo, superiore a quella di Hermopolis e persino a quella di Babilonia! Tu ne sarai a capo e nessun altro!-
-Tu mi offri un’opportunità unica, mio faraone. Ti aiuterò con tutto me stesso a compiere questa impresa ma perché le fondamenta di una tale istituzione siano solide, tu dovrai aiutarmi a mantenere un segreto che mi riguarda.- Il mio ammonimento lo prese alla sprovvista.
-Di quale segreto parli, amico mio?- mi chiese il sovrano scrutandomi attentamente.
-Io sono un benedetto dagli Dei. Non ne conosco il motivo ma la mia vita scorre in maniera più lenta degli altri uomini e sono molto più vecchio dei vent’anni che mi si attribuiscono.-
-Mi prendi in giro forse?!-
-Non mi permetterei mai. Inoltre, le mie ferite guariscono più in fretta di qualsiasi altro uomo-, gli rivelai ancora. Per dimostrargli ciò, presi dal tavolo un coltello per la carne e mi ferii la mano, mostrandogli poi il taglio che si rimarginava all’istante.-
-Ma questo… è un miracolo!-
-Non è un miracolo e in passato ho spesso pensato che si trattasse di una maledizione. Io sono per davvero la persona più adatta ad aiutarti a creare la grande biblioteca dei tuoi sogni, poiché la dirigerò per un tempo molto più lungo di quanto lo farebbe un uomo comune.-
-Da quanto tempo sei in vita, Khalàd?- mi domandò Tolomeo ancora sconvolto dalla mia rivelazione.
-Non è importante. Sarebbe un tempo incomprensibile per un uomo di questo tempo.-
-Cosa vuoi che faccia?-

-Perché gli rivelasti il tuo segreto? In parte almeno-, mi domanda mia nipote senza comprendere.
-Perché mi si stava offrendo un’occasione unica. Essere a capo di un’istituzione culturale, fuori dal campo militare, che, in aggiunta, sarebbe stata la più grande del mondo. Mi fidavo di Tolomeo e volevo che mi aiutasse a gestire la mia presunta lunga vita in modo che nessuno si chiedesse perché non invecchiavo.-
-Funzionò?-
-A meraviglia-, commento compiaciuto di me stesso

-La carica di Custode della Biblioteca sarà ereditaria. Io la cederò a mio figlio quando questi compirà vent’anni…-, spiegai al sovrano greco.
-Ma in realtà sarai sempre tu. Davvero ingegnoso.-
-E’ l’unico per non far sorgere sospetti.-
-E sia. Non ho comunque altra scelta se voglio che sia tu a rendere questo sogno una realtà-, acconsentì il faraone. –Ci sarà molto da fare.-
-Ne ho tutto il tempo-, dissi con un mezzo sorriso che lo mise un po’ a disagio.
Negli anni a seguire ebbi davvero molto da fare. Progettammo l’edificio che avrebbe ospitato la grande biblioteca, un vasto palazzo costruito nel solido stile egizio e abbellito dalla raffinatezza del marmo bianco di Grecia. Riunii attorno a me molti uomini e le donne amanti della cultura e li spedii in tutto il mondo a raccogliere testi e informazioni per il nuovo archivio. Molti rischiarono la vita ma nessuno si tirò mai indietro. Veri guerrieri del sapere. Fu grazie a loro che la Grande Biblioteca di Alessandria iniziò a vivere di forza propria. La fama di quell’istituzione crebbe a dismisura e tutti i dotti del mondo iniziarono ad inviare le copie dei loro scritti e progetti nella nostra città perché non andassero mai perduti. Non so dire a che ritmo riempimmo i grandi saloni ma ricordo soltanto che, al momento del suo apice, nella biblioteca erano conservati oltre settecentomila pergamene, papiri e tavolette a cui si aggiungevano pezzi d’arte di unica bellezza.
Poco dopo che la biblioteca entrò in funzione, iniziarono anche i lavori di costruzione del faro che sarebbe poi stato considerato una delle sette meraviglie del mondo antico. Sarebbe stato un’altra fonte d’orgoglio per la città, anche se il mio amico Tolomeo non ne avrebbe visto l’ultimazione. Morì prima che i lavori fossero ultimati, fatto che avvenne sotto il regno di suo figlio, Tolomeo II.

-La dinastia tolemaica perdurò a lungo, se non sbaglio.-
-Quasi trecento anni, durante i quali io fui a capo della Grande Biblioteca di Alessandria.-
-Fu un periodo tranquillo per l’Egitto?- mi domanda Cristina.
-Relativamente. Ci furono alcune scaramucce con i siriani per tenerli lontani dall’Egitto ma il regno dei Tolomeo fu piuttosto tranquillo. Troppo tranquillo.-
-Che intendi dire, nonno?-
-Che fu la calma prima della tempesta. L’Egitto e le altre terre libere del medioriente avrebbero presto conosciuto la forza della più micidiale macchina da guerra del mondo, presa a modello ancora oggi per l’organizzazione degli eserciti moderni. La legione romana.-
-Come prendeste la notizia della distruzione di Cartagine?-
-Con preoccupazione, almeno da parte mia. Il generale Cornelio Scipione, dopo la vittoria di Zama, aveva inviato un messaggio al senato romano per informarlo della schiacciante vittoria e della caduta della città fenicia.-
-E’ Storia-, asserisce Cristina alzando le spalle.
-Quello che non sai è che il grande comandante inviò lo stesso messaggio anche a tutti i sovrani del bacino mediterraneo, come ad avvisarli che non sarebbe finita li. Fui io a tradurre la missiva per il faraone Tolomeo V, da poco salito al trono, che, come tutti gli altri sovrani, considerò quell’avvertimento come una spacconeria.-
-Se ben ricordo, distruggere Cartagine era diventata una necessità per Roma. Voleva essere l’unica padrona del Mediterraneo.-
-La necessità veniva dopo l’ossessione-, le spiego. –Catone, filosofo e politico romano, soprannominato “il Censore” a causa della sua ferrea moralità, era solito affermare, sia oralmente che in forma scritta, “Cartago Delenda Est”, Cartagine dev'essere distrutta.-

Come accade per ogni dinastia, anche quella tolemaica finì per indebolirsi mentre un nuovo potere divampava nel mondo, un potere chiamato Roma, guidata da un altro grande conquistatore, Caio Giulio Cesare. Oltre che con i miei inservienti, che viaggiavano in lungo e in largo per reperire scritti da archiviare, avevo sempre mantenuto i contatti con il mondo dei mercanti e da essi ottenevo informazioni fresche in continuazione. A nord, Giulio Cesare, dopo una difficile campagna militare, aveva infine conquistato la Gallia e le regioni attigue. Il tutto con una sola grande legione, la tredicesima, il cui comandante militare era un giovane ufficiale di nome Marco Antonio. Il vessillo di Cesare era invece un’aquila, che i nostri oracoli vedevano come un pessimo auspicio.
Il trono di Alessandria era a quel tempo condiviso dai due giovani figli di Tolomeo XII Aulete, ovvero Cleopatra e il piccolo Tolomeo XIII. Da tempo i faraoni della dinastia non erano più i veri padroni dell’Egitto. Il palazzo, inteso come i nobili di corte, avevano il potere e manovravano i sovrani come marionette. Ciò non fu possibile con Cleopatra che dimostrò subito un’intelligenza e un’abilità politica fuori dal comune. Il palazzo reagì e con una congiura tentò di eliminarla per lasciare tutto il potere nelle mani, si fa per dire, del fratello bambino, molto più malleabile della sorella.

-Non ci riuscirono, naturalmente-, mi fa notare mia nipote.
-No, perché intervenni io-, risposi.

Per decenni ero rimasto al mio posto, senza impicciarmi degli affari di corte. Presenziavo soltanto all’arrivo delle ambascerie straniere, quando mi univo al saluto agli ospiti che, puntualmente, lodavano la nostra biblioteca la cui fama aveva oltrepassato molti confini. Negli ultimi tempi, Roma, con cui eravamo in buoni rapporti, inviò diverse ambascerie distinte e questo mi diede da intendere che c’era dissenso all’interno del governo di quella potenza.
-Hai pienamente ragione, mio signore-, mi disse un mio amico mercante un giorno che lo interpellai a proposito. Era appena tornato proprio da quella città. -Cesare diventa ogni giorno più potente e questo non piace all’altro governatore di Roma, Pompeo. Si vocifera che, già prima del ritorno dalle Gallie, Cesare abbia avuto un’aspra disputa con il suo rivale il quale è dovuto andare via da Roma, poiché la maggioranza del senato e dei generali si è schierata con il primo.-
-Dove sta andando Pompeo?- domandai pensieroso anche se temevo di conoscere la risposta.
-Ha preso tre legioni ed è disceso lungo la Dalmazia fino in Grecia, ma intende proseguire. Sembra si diriga da questa parte.-
Il generale Gneo Pompeo Magno aveva intessuto un fitto rapporto con i dignitari della corte di Alessandria e questi prepararono la venuta dell’illustre romano e dell’esercito che si portava appresso. Cleopatra era ovviamente un ostacolo perché, come me, aveva capito che accogliere il rivale di Cesare in Egitto non avrebbe fatto altro che far allungare l’ombra dell’aquila su di noi, con il rischio di iniziare una guerra con Roma che avremmo sicuramente perso. Per questo fu deciso di eliminarla.
Avevo le mie spie a palazzo perché da tempo non mi fidavo più dei discendenti di Tolomeo. Tuttavia, avevo in simpatia la giovane regina poco più che adolescente, nonostante i vizi che le si attribuivano. Venni a sapere per tempo della congiura e mi misi in azione. Non disponevo di soldati miei ma io bastavo. Armato solo della mia fedele spada, entrai di notte nel palazzo reale. Stordii gli uomini messi segretamente a spiare Cleopatra e mi intruffolai furtivamente nella sua stanza. C’era sempre un forte odore d’incenso nella camera della regina… e di qualcos’altro. Fortunatamente, quella notte, quando la svegliai, si rivelò lucida.
-Khalàd! Cosa ci fai qui?!- esclamò appena mi riconobbe.
-Ti porto in salvo, mia regina-, le dissi a bassa voce indicandole di fare lo stesso. –C’è una congiura in atto per ucciderti e i traditori sono troppi per poterli smascherare ed eliminare.-
-Devo fuggire, allora!- sentenziò lei mettendosi immediatamente in piedi. Era bella e le sue nudità, perfettamente visibili al di sotto del sottile tessuto della veste da notte, la rendevano simile ad una dea primordiale dall’attrazione fatale. Distolsi lo sguardo mentre si vestiva e quando fu pronta la trascinai fuori dalla sua stanza, seguendo a ritroso il percorso che avevo fatto per arrivare da lei.
-Dove mi porti, Khalàd?-
-Prima alla biblioteca e poi in un posto sicuro fuori città, a sud-, le risposi senza guardarmi indietro, scrutando l’oscurità per rilevare qualsiasi movimento. Dopo anni avevo rimesso in attività i miei sensi animali e notai con piacere che non si erano per niente affievoliti. Riuscimmo a giungere al palazzo della biblioteca, il mio palazzo, senza essere visti da nessuno ed entrammo da una porticina di servizio che dava accesso alle cucine della grande costruzione.
-Ci avranno seguiti?- domandò la giovane regina scrutando l’oscurità prima di richiudere la porta alle nostre spalle.
-Nessuno ci ha visti o seguiti. Me ne sarei accorto subito-, affermai con sicurezza.
Chiamai gli inservienti che avevo già istruito sul da farsi e condussi Cleopatra alle stalle, sul retro della grande costruzione, dove un’anonima portantina senza fregi o insegne e quattro portatori dalla pelle nera erano in attesa. –Sali, mia regina. Non indugiare. I portatori sanno già dove andare. Domani anche la tua serva personale ti raggiungerà e per il momento sarai al sicuro.-
-Non so come ringraziarti, Khalàd. O forse si?- mi disse strizzando l’occhio mentre saliva sulla portantina. –Sei giovane e bello e forte… Questo paese potrebbe avere bisogno un giorno di un vero faraone.-
Ricambiai il sorriso. Forse alcune delle storie che giravano su di lei erano vere. –Il potere non mi attrae, mia signora. Ti assicuro che sono la persona meno adatta a detenerlo. Ora vai. Ti farò sapere quando le acque si saranno calmate.-

-Dove la mandasti?- mi domanda Cristina quasi divertita.
-Dove non potessero trovarla e dove, speravo, non si mettesse nei guai. L’esuberanza di quella ragazza era pari alla sua intelligenza.-
-Non hai risposto, nonno.-
-La mandai a Menfi, in una delle antiche capitali d’Egitto. Usando le parole segrete del comando, conosciute solo agli scribi reali e ai discepoli di Thot, convinsi, con un messaggio breve ma significativo, il sacerdote che reggeva il locale tempio del Dio-ibis a nascondere la regina nel più totale anonimato.-
-Obbedì?-
-Certo. Nel messaggio avevo incluso anche una bella maledizione che avrebbe colpito chi avesse osato sfidare il volere di un discepolo di Thot.-

Dopo la scomparsa di Cleopatra la corte di Alessandria calò nel caos più totale per qualche giorno, poi, vedendo che la regina non si trovava, fu dichiarata morta e il trono venne associato esclusivamente al piccolo Tolomeo XIII, un ragazzino capriccioso dalla scarsa intelligenza che altri non era che la facciata dei dignitari che reggevano realmente l’Egitto.
Oramai ero coinvolto quindi decisi di fare la mia parte. Intensificai i miei colloqui con i mercanti e, con la scusa di onorare il nuovo faraone, divenni una figura più presente a palazzo. Volevo tenere d’occhio entrambi i fronti d’azione. Quello interno della corte, per scoprire chi tra i nobili di palazzo stava a capo dei dissidenti, e quello esterno, ovvero la guerra tra Giulio Cesare e Pompeo. Era il 48 a.c.
Pochi mesi dopo la mia sortita a palazzo per far scomparire Cleopatra, un mercante di spezie mi portò la notizia che Pompeo era stato sconfitto da Cesare a Farsalo, in Grecia, e che il generale caduto veniva con la sua famiglia e il suo seguito a chiedere asilo in Egitto.
-Cosa fa Cesare dopo la vittoria, amico mio?- domandai al mercante mentre gli riempivo la coppa.
-Per ora nulla. E’ ancora in Grecia e sta sistemando la questione “traditori”. Non si muoverà da li per un bel pezzo, credo.-
-Tu sei diretto proprio in Grecia, vero?-
-Parto fra poche ore-, confermò il mercante che era un persiano.
-Puoi fare una cosa per me? Porteresti un mio messaggio a Cesare, in gran segreto?-
L’uomo si accigliò. –Cosa trami, Maestro della Biblioteca?-
-Nulla, amico mio. Cerco solo di evitare che Cesare piombi sull’Egitto e lo dilani con i suoi artigli. Se deve venire, è meglio che lo faccia da amico-, spiegai.
-In questo caso, acconsento. Passerò da te poco prima di partire. Tu prepara il messaggio.-

-Cosa scrivesti nel messaggio a Cesare?-
-Descrissi la situazione a palazzo e gli parlai di Cleopatra.-
-Ti credette?-
-La missiva non fece a tempo ad arrivargli. Il mercante persiano si era sbagliato perché il “Conquistatore delle Gallie” si mosse prima del tempo.

Giulio Cesare si mosse dalla Grecia prima del previsto. Venne ad Alessandria perché sapeva che era l’unico posto in cui il suo antico amico Pompeo poteva rifugiarsi. Con l’idea di ingraziarsi il vincitore però, i dignitari di corte avevano cambiato bandiera. Dopo aver catturato il generale caduto lo avevano decapitato. Pensando di fare un favore a Cesare, gli presentarono la testa di Gneo Pompeo Magno su di un piatto. Quale fu la loro sorpresa quando videro il grande Caio Giulio Cesare piangere su quella testa. Pompeo era stato un suo grande amico e se anche lo avesse catturato non lo avrebbe mai messo a morte. La sua reazione fu brutale. Ricordo ancora le parole che pronunciò Cesare nella sala del trono, mentre i nobili di corte iniziavano a tremare e il piccolo Tolomeo a frignare.
-Avete ucciso un generale di Roma! Ora ne pagherete le conseguenze!-
In un baleno la sua guardia fu addosso al gruppo dei dignitari, i quali furono arrestati e giustiziati. Le loro teste vennero appese alle mura della città. Anche il piccolo Tolomeo fu deposto ma Cesare si riservò del tempo per decidere la sua sorte. Egli sapeva, infatti, che l’Egitto aveva anche una regina.
Dopo che la sala del trono fu svuotata dai traditori, mi feci avanti e andai incontro a Cesare. I suoi soldati misero mano alle spade ma il conquistatore, vedendo che non avevo intenzioni ostili, fece loro cenno di fermarsi.
-Caio Giulio Cesare. Io sono Khalàd, Maestro della Grande Biblioteca di Alessandria.-
-Cosa vuoi? Tentare di salvare la pelle?-, mi rispose altezzoso il condottiero romano. Aveva appena passato i sessant’anni ma era forte e prestante come un uomo più giovane. L’emblema dell’aquila che si era scelto era davvero azzeccato. Potevo sentire lo spirito di quell’animale fuoriuscire dal suo corpo e penetrarmi come una spada.
-No. Voglio solo parlarti. Non qui, però. Alla Biblioteca. Vieni pure con la tua scorta.- Mi voltai e me ne andai, tanto per dimostrargli che non lo temevo.
Si presentò poche ore dopo, nel primo pomeriggio, accompagnato da un solo uomo. Fu la prima volta che vidi Marco Antonio, il suo braccio destro e comandante della legione. Di molto più giovane del suo signore, era di corporatura massiccia ma aveva lo stesso sguardo rapace di Cesare. Un uomo ambizioso, sicuramente, come il suo padrone.
-Spero tu abbia un buon motivo per avermi fatto venire qui. Avrei visitato comunque la famosa Biblioteca di Alessandria ma non amo essere convocato-, disse Cesare piuttosto seccato.
-Il mio era un invito, non una convocazione-, spiegai, invitando i miei ospiti a sedersi. Un inserviente portò delle coppe e una brocca di birra che io stesso avevo preparato. –Ti ho mandato una missiva poco tempo fa ma se non mi conosci ovviamente non ti è giunta in tempo.-
-Di cosa parlava?- Il suo atteggiamento si era fatto più morbido.
-Ti facevo la lista di tutti i traditori di palazzo e ti parlavo della giovane regina Cleopatra, che ho opportunamente messo in salvo prima che la assassinassero.-
-Mi chiedevo dove fosse sparita quella ragazza-, commentò il romano portandosi la coppa alle labbra.
-Che progetti hai per lei?- domandai senza mezzi termini.
-Non credo ti riguardi-, intervenne Marco Antonio.
-Finché solo io so dove si trova, la cosa mi riguarda, comandante.-
-Ho già annullato la vostra corte e il faraone è in mano mia. Potrei dichiarare già ora l’Egitto come provincia romana-, sclamò Cesare provocatorio.
-E perché non lo fai?- domandai con un mezzo sorriso. Conoscevo già la risposata.
-Uno stato libero e alleato mi è più utile che una regione sottomessa che potrebbe dare man forte alle altre popolazioni mediorientali contro di noi. Rimetterò la ragazza sul trono.-
-Pero ora, almeno-, precisai. Sapevo bene che, prima o poi, l’Egitto sarebbe diventato, in un modo o nell’altro, una provincia romana. Bisognava solo stabilire a che condizioni.
-Dov’è Cleopatra?- mi domandò Cesare facendosi impaziente.
-La farò scortare qui domani. Non tentare scherzi, romano-, lo ammonii. -Anche se sono un bibliotecario io non sono uno stolto come quei cortigiani che hai giustiziato.-
Fu Cesare a scoppiare a ridere stavolta. –Ragazzo. Avrai appena vent’anni ma se occupi un posto tanto prestigioso avrai della grandi qualità. Tuttavia ti manca l’esperienza del politico per giocare al mio gioco.-
-Attento, Cesare. Le apparenze ingannano.-

-Gli consegnasti Cleopatra?-
-Certo. Poi Cesare mandò i suoi soldati ad uccidermi-, aggiungo quasi divertito.
-Tu non avevi soldati alla biblioteca. Come te la cavasti?- mi chiede mia nipote un po’ agitata. Il mio racconto l’ha appassionata come sempre.
-Non mi servivano soldati per cavarmela. Quando i Romani combattevano in formazione contro più avversari erano praticamente invincibili. Presi singolarmente erano modesti combattenti. Li ferii superficialmente e li rimandai dal loro padrone nudi e legati come buoi.-
-Cesare come la prese?-
-Prima si arrabbiò, poi, dicono, si sia messo a ridere e con lui tutto lo stato maggiore romano. Da quel giorno non mi seccò più.-

Non avevo una grande opinione di Caio Giulio Cesare. In verità non avevo una grande opinione degli uomini ambiziosi. Spesso nella loro testa avevano solo quella, la loro ambizione. Non era il caso di Cesare ma quell’uomo non mi piaceva lo stesso e prima se ne andava meglio era. Cleopatra tornò sul trono e, come prevedibile, dimenticò in fretta la sua proposta di fare di me un faraone. Il suo obiettivo era diventato Cesare stesso, anche se avevo visto sguardi piuttosto languidi tra lei e il prestante Marco Antonio. Ben presto l’unione con il conquistatore romano diede il suo frutto, un figlio che fu chiamato Cesarione. Così facendo Cleopatra si era garantita l’amicizia di Roma e l’indipendenza dell’Egitto. Era un vero genio politico quella ragazza.
La regina seguì Cesare a Roma, lasciando un governatore a gestire il suo paese. Il giorno prima della partenza venne a farmi visita.
-Non potevo partire senza salutare il mio salvatore-, mi disse quando fummo soli.
-Stai attenta, mia signora. Se i romani sono tutti come il tuo amante, Roma è un posto molto pericoloso per te-, la misi in guardia.
-Lo so, Khalàd. Ma lo sto facendo per l’Egitto e tu sai che è l’unico modo per tenere le legioni di Roma lontane dalla nostra terra-, rispose lei. Poi mi fissò con sguardo indagatore. –Ti ho offerto di diventare governatore. Perché non hai accettato? Qui puoi dirmelo. Non c’è nessuno che ci possa sentire.-
-Ti sarò più utile rimanendo al mio posto. Il tuo uomo ha infiltrato troppi romani tra il consiglio di governo e faranno di tutto per manovrare il governatore a loro piacimento. Non amo trovarmi in certe situazioni.-
-Capisco. Ognuno fa ciò che deve.-
-Ti auguro ogni bene, regina d’Egitto ma, ti supplico, torna presto perché il tuo popolo ha bisogno di te.-
Che Cleopatra tornò in Egitto con il figlio è Storia perché ciò avvenne dopo l’assassinio di Cesare in senato, nel 44 a.c., appena quattro anni dopo che il conquistatore era giunto nella terra dei faraoni. La sua morte però, non fermò il processo di trasformazione di Roma da repubblica a potenza imperiale. Il nipote prediletto del conquistatore, Ottaviano, era in rapida ascesa e, pochi anni dopo la caduta del suo illustre protettore, era già uno dei nuovi uomini forti di Roma, assieme a Marco Antonio, con cui però era in aperto conflitto. Cesare si era fatto nominare “dittatore unico a vita” dal senato romano ma era morto senza figli legittimi. Ora, ognuno dei suoi fedeli pretendeva l’eredità del grande condottiero. Pretendeva Roma. Io ancora non immaginavo che quella lotta intestina a quello che oramai era l’Impero Romano, sarebbe stata così legata alle sorti dell’Egitto.
-Ottaviano conquista potere ogni giorni che passa-, mi confidò Cleopatra dopo il suo ritorno, un giorno in cui ero andato a farle visita. Ero diventato il suo consigliere personale e passavo molto tempo con lei, anche se mi ero sempre rifiutato di entrare nel suo letto. Avevo imparato che chi cadeva nella tela amorosa della regina d’Egitto era perduto e in suo potere. Come era accaduto al prode Marco Antonio, il suo nuovo amante.
-Antonio può contrastarlo con le forze congiunte del suo esercito e del nostro?- le domandai attendendomi una risposta sincera.
-No. Siamo troppo inferiori di numero.-
-Allora trascinatelo in mare-, suggerii.
-Come?!- fece lei sbarrando gli occhi.
-Unendo le navi di Marco Antonio e quelle egiziane potete contare su ben cinquecento navi. Ottaviano non può riunire in breve tempo una flotta in grado di contrastarvi.-
-Potrebbe funzionare, Maestro della Biblioteca-, esclamò una voce alle nostre spalle. Era Marco Antonio che veniva avanti verso il terrazzo su cui stavamo io e la regina d’Egitto. –Sei davvero sicuro di essere soltanto uno studioso?- insinuò il generale romano.
-Potrei non essere “soltanto” un studioso, generale-, risposi cordialmente versando anche al nuovo venuto una coppa di fresca e fragrante birra di malto. –Ma questo conta poco. Non è uno che vince le battaglie e le guerre, ma i molti.-
-Questo è vero-, concordò lui sedendosi. –Allora, come pensi dovrei fare per costringere Ottaviano ad affrontarmi in mare?-
-Muovendo la flotta molto velocemente, in modo da costringere il tuo rivale a correrti incontro con le forze che riuscirà a radunare in poco tempo.- Marco Antonio si fece pensieroso ma era troppo intelligente per non considerare i vantaggi di quella strategia. –Se puoi, cerca di affrontarlo al largo delle coste dell’Epiro, dove in caso di necessità avrai porti a te amici per i rifornimenti ed eventuali imprevisti.-
-Potrebbe funzionare, amore mio-, esclamò Cleopatra sostenendo la mia idea.
-Si. Forse è davvero la nostra unica possibilità-, concordò il romano. –Faremo così ma devo mettere in moto il piano fin da ora. Dobbiamo partire il prima possibile.-

-Aspetta un momento!- esclama sbalordita Cristina. –Stai dicendo che sei stato tu a mandarli per mare fino alla battaglia di Azio?!-
-Non ce li ho mandati io-, preciso. –Suggerii loro la mossa migliore da fare. Se poi si sono fatti sconfiggere avendo una superiorità di navi e uomini di ben quattro a uno, beh… affari loro.-
-Ma nonno! La battaglia di Azio fu un terremoto per tutta l’Europa e il bacino mediterraneo. Ottaviano eliminò il suo ultimo rivale e divenne imperatore, seppellendo di fatto la repubblica di Roma, e l’Egitto perse la sua indipendenza, come molti altri territori del medioriente.-
-Sarebbe accaduto lo stesso, cara. Marco Antonio sarebbe stato comunque sconfitto a terra. La battaglia di Azio fece solo più rumore.-

Ignaro di aver effettivamente suggerito loro la strada che avrebbe portato all’inizio della fine, guardai Antonio e Cleopatra mettersi in azione e far preparare una grande flotta di quasi cinquecento navi, tra romane ed egiziane. Gli egiziani non combattevano in mare quindi i capitani africani furono affiancati da ufficiali romani più esperti. La regina d’Egitto volle essere al fianco del suo uomo e si imbarcò col la flotta. Guardandoli partire alla volta del mare di Grecia, dall’alto del grande faro, tornò dopo tanto tempo a farsi sentire quel senso di inquietudine che già in passato mi aveva fatto visita. Era per me il tempo di riprendere il mio viaggio perché, evidentemente, il mio oscuro compito era compiuto anche in quel luogo.
Non avevo fretta e feci i miei preparativi con calma. Non ultima tra le cose da fare, nominai un successore alla guida della Grande Biblioteca. La scelta cadde su un giovane studioso che mi era stato al fianco fin dall’infanzia e che si era dimostrato devoto e affidabile. La mia creatura era in buone mani.
Circa un mese dopo la partenza della flotta, a pochi giorni dalla data che avevo scelto per andarmene, anche se non sapevo per dove, la flotta di Antonio e Cleopatra fece ritorno. Era stata quasi dimezzata e le navi che entrarono in porto erano ridotte male. Erano stati sconfitti, ma questo era il male minore.
-Cosa è successo?!- domandai sorpreso quando giunsi a palazzo e fui ricevuto dalla regina e dal suo amante.
-Siamo stati sconfitti, dannato burocrate!- inveì contro di me il generale romano. –Erano in inferiorità numerica ma Ottaviano ci ha sconfitti! E’ tutta colpa tua! Tu ci hai detto di andare!- Quella discussione iniziava male… per Marco Antonio.
-Antonio! Non è colpa sua!- esclamò Cleopatra.
-Taci! Che ne può sapere una donna....-
Questo era troppo. In quasi trecento anni non mi ero mai considerato un vero suddito del regno d’Egitto, ma non potevo sopportare quell’insulto alla donna che avevo protetto fin da bambina e che era abbastanza sveglia da aver capito cosa fosse andato storto. Il manrovescio che rifilai a Marco Antonio fece volare il generale sconfitto di parecchi metri indietro.
-Fai tu silenzio, romano!- lo ammonii con lo sguardo più feroce che sapevo fare, lo sguardo del Leone. –Mia regina-, chiamai poi Cleopatra. –Per quale motivo siete stati sconfitti?-
Ora anche lo sguardo di lei era duro e freddo nei confronti del suo amante. –Perché i comandanti romani si sono dimostrati degli inetti. Pensando che la nostra superiorità numerica bastasse a vincere la battaglia, si sono lanciati allo sbaraglio con le loro navi e sono caduti nella trappola di Ottaviano. E’ stato un disastro totale.-
Un sibilo metallico fece attivare i miei sensi animali. Antonio aveva estratto il suo gladio. –Pensi davvero di potermi umiliare così davanti alla mia donna?!- mi urlò contro. Il suo attacco, dettato dalla rabbia e alimentato dalla cocente umiliazione, fu prevedibile e goffo. Lo schivai con facilità e con pochi pugni ben assestati lo disarmai e lo feci volare nuovamente gambe all’aria. –Lo sapevo! Tu sei un guerriero!- disse il romano rialzandosi e asciugandosi il sangue che gli colava da un labbro ferito.
-Se anche fosse, tu non te ne devi preoccupare. Fai il tuo dovere e raggiungi l’esercito. Ottaviano starà sicuramente venendo qui e devi preparati ad affrontarlo.-
-Ottaviano è già qui-, mi riferì la regina senza più speranza. -Oramai avrà gia bloccato il porto con le sue navi.-
-Motivo di più per combattere… o fuggire. Io me ne sto andando. Vieni con me, Cleopatra. Ti porterò in un luogo sicuro.-
-Sei un codardo! Fuggi nel momento del pericolo!- Un altro mio gelido sguardo fu sufficiente a zittire Antonio.
-Mi hai già salvato una volta, Khalàd. Ora è giusto che resti accanto al mio popolo. Ma tu hai già fatto molto per me e voglio che tu ti metta in salvo-, mi disse la regina abbracciandomi come un fratello maggiore. Il suo viso era rigato di lacrime. –Ho vissuto la mia vita intensamente. Se devo, morirò da regina.-
La tristezza per quelle parole mi inondò violentemente e fui sul punto di cambiare idea e restare. Nella mia lunga vita, però, avevo imparato che chi gode degli onori del popolo deve anche sopportarne gli oneri. Avrei reso un maggior servigio alla giovane sovrana lasciandola al suo destino, lasciando che il suo nome divenisse immortale come me.
-Se me ne vado non è per codardìa. Potrei affrontare l’intero esercito di Ottaviano da solo e vedere il sole sorgere domani, ma sento dentro di me che non posso influire troppo sugli eventi che devono accadere. Addio, mia regina. Ti auguro una sorte migliore di quella che tu stessa immagini.-
Mi voltai senza guardarla ed uscii dalla sala per lasciare definitivamente il palazzo, Alessandria e l’Egitto.
-Soldati! Uccidetelo!- sentii la voce di Marco Antonio echeggiare nel corridoio che mi avrebbe portato all’esterno.
-Antonio! No!- gridò Cleopatra in preda alla disperazione.
Innumerevoli frecce trapassarono la veste e si piantarono nella carne della mia schiena. Caddi in ginocchio ma strinsi i denti. Mi strappai la tunica di dosso e mostrai loro qualcosa che li avrebbe sbalorditi. Avevo imparato molto sul mio corpo da quando mi ero reso conto di essere immortale. Gonfiai i muscoli della schiena e lentamente spinsi fuori le frecce, facendole cadere sul pavimento. Le ferite si richiusero all’istante e fu silenzio. Gli amanti e le guardie che avevano scagliato i dardi erano impietriti per lo stupore e qualcuno aveva persino iniziato ad indietreggiare. Raccolsi i brandelli della mia tunica e me li avvolsi intorno alla meglio. Sarei tornato alla Biblioteca a prendere le mie cose e me ne sarei andato, anche se non sapevo dove.

-Non ti pesa non aver salvato Cleopatra?-
-All’inizio fu doloroso convivere con quella scelta ma poi, riflettendo sulle conseguenze di quel gesto, capii che fu la cosa migliore per l’Egitto. Il regno dei faraoni doveva finire li-, rispondo prendendo dalla mia cassa un fagotto di tela di lino avvolto in una busta di plastica. Tolgo il fagotto dalla plastica e lo passo a Cristina. –Fai attenzione. È ben conservato ma devi maneggiarlo con delicatezza.-
Mia nipote apre l’involucro di tela sopra il tavolo e rivela un rotolo di papiro. Con estrema delicatezza lo apre e ne osserva stupita il contenuto. Nella tela ho inserito anche il certificato di datazione che anni addietro ho fatto fare da un laboratorio specializzato.
-E’ un testo in antico egizio… e in greco… e in latino! Ma come è possibile?!-
-Proviene dalla Grande Biblioteca di Alessandria, poi andata a fuoco con tutto il suo immenso sapere. E’ forse l’unico rotolo esistente al mondo. Se fosse appartenuto a qualcun altro, i geroglifici egiziani sarebbero stati decodificati molto tempo prima del ritrovamento della Stele di Rosetta.-
-Strabiliante… ma non prova che tu sia stato realmente li-, mi fa notare lei accigliandosi ma senza staccare gli occhi dal papiro.
-Guarda il marchio dell’archivista che l’ha catalogato, sull’angolo in basso a destra-, le suggerisco.
Quando abbassa gli occhi sul punto che le ho indicato credo sia preda di un capogiro perché la vedo barcollare. Sul sottile foglio di papiro vi è impresso, ad inchiostro nero, il simbolo dell’ibis di Thot accompagnato da un nome in greco antico. Il mio.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

A dire il vero fu Catone a pronunciare la frase "Cartago Delenda Est" che significa "Cartagine deve essere distrutta"

In ogni caso complimenti per la fantasia :)

Luke Saints ha detto...

Preso in castagna! Hai ragione. La cosa che però mi fa arrabbiare è che era una delle poche informazioni di cui mi sentivo assolutamente sicuro e che non sono andato a verificare. Vedrò come rimediare, magari quando farò la revisione finale del romanzo prima di ripubblicarlo per intero.
Grazie per la dritta!

Luke Saints ha detto...

Ciao Gimmy. Non ho perso tempo e ho già corretto il mio errore modificando un po' il paragrafo. Se hai modo di leggerlo fammi sapere che ne pensi. Ciao.

Anonimo ha detto...

Così è molto meglio.
Ancora complimenti, continua così :)