lunedì 30 giugno 2008

8 - IL FUOCO DELLA BRITANNIA

E’ sera e ci sediamo al tavolo da giardino sul grande terrazzo superiore della casa. La cena a base di pesce cucinata da mia moglie e mia nipote è stata ottima. Semplice e gustosa, un po’ come loro. Solo mia moglie conosce il motivo per cui mi isolo a parlare per tanto tempo con Cristina. Sa che lo devo fare e quindi non viene a disturbarmi, non si lamenta se facciamo tardi a tavola o se tiriamo notte a discutere. Immagino che la brezza marina accarezzi tanto noi quanto il cielo stellato, il quale sta per ascoltare la narrazione degli ultimi atti di un mondo che cambiò radicalmente, precipitando nella tenebra.
-E’ ora di riprendere, nonno. Hai detto che la tua prossima tappa è stata una delle più importanti-, mi dice Cristina servendo per me e per lei il liquore digestivo al limone, una specialità delle regioni del sud dell’Italia.-
-Fondamentale, direi, per molti aspetti. Fondamentale per me come uomo, per la Storia di una certa parte del mondo e anche per la mia ricerca della verità e della conoscenza.-
-Dicesti a Giuseppe di Arimatea che te ne saresti andato anche tu. Dove di preciso? Non troppo lontano da lui se hai potuto raggiungerlo in punto di morte per farti dare…. quella cosa.- Ha persino paura di nominarla tanto ne è suggestionata.
-La ciotola di coccio-, confermo divertito per stuzzicarla un po’.
-Quella cosa li!- insiste lei irritandosi. Non è il caso di osare di più.

Molti sollevarono dei dubbi sulla resurrezione di Gesù detto il Cristo. Per me, che avevo poca fiducia nelle divinità, fu per certi versi autentica perché almeno ebbi la certezza che il corpo del mio amico non sarebbe stato profanato e avrebbe potuto riposare in pace. Passati quei giorni di confusione e mistero, decisi di accettare l’invito di Giuseppe di Arimatea e di andare insieme a lui in Britannia, uno dei luoghi più remoti del mondo conosciuto, situata “a nord e a occidente di tutto”. Il luogo ideale per fa riposare il sangue di Cristo, secondo lui.
La Britannia, al tempo in cui noi vi andammo, non era ancora provincia romana, anche se lo sarebbe diventata di li a poco, e agli occhi del mio amico doveva sembrare l’ultima terra libera del mondo. Roma, tuttavia, aveva già postato gli occhi su quelle che i primi navigatori chiamavano Isole Pretanniche. Albion chiamavano anticamente quella terra e, all’epoca della crocifissione di Gesù, alcune spedizioni esplorative vi avevano già messo piede. Apparentemente selvaggia, era occupata da popolazioni dello stesso ceppo etnico dei Galli.
Fu con una di queste spedizioni che, dopo un lungo viaggio attraverso tutto l’Impero romano, io e Giuseppe approdammo in quel luogo magico. Poco dopo essere sbarcati lasciammo il gruppo romano e decidemmo di prendere strade diverse.
-Dove porterai il sangue di Gesù?- gli chiesi vedendo che era intenzionato a proseguire da solo nel suo intento.
-In un luogo sicuro. E se non lo troverò verrò a cercarti e lo affiderò a te-, mi rispose l’ebreo stringendosi addosso le pesanti vesti di lana che ci eravamo procurati attraversando la Pannonia. Ne io ne lui eravamo abituati al freddo umido delle terre del nord e più volte, durante il viaggio, il mio amico cadde preda dei malanni.
-Perché non vuoi che venga con te? Che senso ha dividerci?- insistetti, ma sapevo già la sua risposta e, per quanto insensata, capivo benissimo come si sentiva.
-Non ha nessun senso, hai ragione, Khalàd. Eppure sento dentro di me che è una cosa che devo fare da solo.-
-In questo caso ti auguro buona fortuna, Giuseppe. Che lo spirito di Gesù Cristo sia con te-, gli augurai.
-Tu che farai, taverniere… o dovrei dire guerriero?-
Gli sorrisi. Non potevo negare l’evidenza dopo quello che mi aveva visto fare a Gerusalemme. –Non lo so. Questa è la terra dei Celti ed è un popolo che mi è totalmente sconosciuto.-
-Sono barbari e pagani-, esclamò Giuseppe, ritrovando un po’ dell’arroganza che caratterizzava il Sinedrio guidato da Caifa. –Ma anche il pagano più convinto non potrà trovare nulla di oscuro nelle parole di Cristo.-

-Dopo quanto vi rivedeste?- mi chiede mia nipote.
-Pochi anni. Il fisico di Giuseppe non era proprio abituato al clima umido della Britannia e si ammalò gravemente. Riuscì a farmi arrivare un messaggio, non so come, al villaggio in cui vivevo per chiedermi di andare da lui. Doveva consegnarmi la…-
-Quella cosa-, taglia corto Cristina. –Tu che avevi fatto nel frattempo?-
-Cercai di capire che ci facevo io li.-

In un insediamento di agricoltori poco lontano dal punto dove eravamo sbarcati, incontrai un uomo che parlava abbastanza bene il latino. Era anziano ma in gioventù aveva viaggiato molto, giungendo persino a vedere Roma. Anche se non capivo ciò che la gente gli diceva, in quella lingua dai suoni dolci e musicali, notavo che tutti lo trattavano con molto rispetto. Vestiva con una tunica di colore chiaro, semplice, senza ornamenti, fatta eccezione per un medaglione di bronzo che portava al collo e che riproduceva un elaborato disegno a me sconosciuto. Si aiutava a camminare con un lungo bastone nodoso che sembrava più un simbolo che un effettivo strumento. Fin da subito ebbi il sospetto che quell’uomo fosse un sacerdote o comunque un uomo di grande saggezza. Il suo nome era Twilir.
-Cosa ti porta nella nostra terra, straniero?- mi chiese in latino dopo aver fatto le dovute presentazioni.
-Non lo so neppure io. Intanto mi piacerebbe imparare la vostra lingua, poi, magari, trovare un posto dove vivere e lavorare. So fare molti mestieri.-
-Un uomo che desidera apprendere e lavorare è sempre ben accetto su quest’isola. Al contrario, chi viene per conquistare, non lo sarà mai.- La seconda metà del commento riguardava il fatto che ero sceso da una nave romana. Già allora i timori su una possibile invasione in forze serpeggiavano tra i vari popoli che vivevano su quell’isola. –Io divento vecchio e i miei affari mi portano a viaggiare molto. Restami accanto per un po’, in modo da aiutarmi nei miei compiti, e nel frattempo ti insegnerò la nostra lingua.-
-Ti sono grato dell’opportunità che mi offri. Qual è il tuo mestiere, se posso chiedertelo?-
Sorrise. -Con le parole che si usano a Roma potrei definirmi un sacerdote, ma sarebbe un termine riduttivo. Sono un “druido”, anche se per te questo non significa nulla per ora.-
-Imparo in fretta. Presto capirò esattamente ciò che sei, amico Twilir-, gli risposi con un pizzico di orgoglio inerente le mie grandi capacità di apprendimento.
-Vedremo. Spesso non basta una vita per capire a fondo il significato del nostro ruolo, neppure a noi stessi.-
-Credimi. Ho molto tempo per imparare.- Quella risposta che avevo spesso utilizzato racchiudeva molto di me. Amarezza, rassegnazione, entusiasmo e, soprattutto, consapevolezza. Allo stesso modo in cui iniziavo a capire quel perverso meccanismo che mi catapultava in fatti salienti per la Storia dell’uomo, prendevo sempre più coscienza del fatto che il mio compito non era solo quello di osservare lo scorrere del tempo, o di combattere, ma principalmente di imparare.
Iniziai a viaggiare per tutta la Britannia del sud, fatta di verdi pianure, rigogliosi boschi e dolci colline, apprendendo i primi rudimenti della lingua celtica. Twilir era un uomo paziente e meticoloso. Non si accontentava che io imparassi a parlare la sua lingua madre. Pretendeva che lo facessi anche bene, insistendo sulle pronunce e sulle inflessioni della voce. Il mio compagno era effettivamente un druido ma mi spiegò che il loro gruppo si divideva in svariate categorie. C’erano druidi sacrificatori, con il compito di interpretare le viscere degli animali immolati. I druidi sognatori erano quegli individui dotati del dono della visione nel sonno. I druidi divinatori interpretavano i segni della natura per trarre auspici o per dare suggerimenti ai capi, per guidare al meglio le loro tribù. C’erano persino i maghi, potenti druidi in diretto contatto con gli Dei, dai quali avevano ottenuto la grande conoscenza e si diceva fossero capaci di prodigi strepitosi. Tra i druidi erano annoverati anche i “bardaghs”, i bardi, cantori e suonatori d’arpa animati dal sacro fuoco dell’arte e della poesia.
-Quale potere divino possono avere i bardi?- domandai a Twilir il giorno in cui mi spiegò com’era suddiviso il loro ceto sociale.
-E se ti dicessi che il loro potere è il più reale e terrificante di tutti?-
-Non ci crederei-, risposi sicuro.
-Imparerai a conoscerli e allora capirai-, disse enigmaticamente il druido.
Twilir era un giudice, un uomo di conoscenza portatore della Legge. Girava di villaggio in villaggio per risolvere le contese tra gli abitanti, seguendo la logica del bene comune e del rispetto e della Legge stessa. Tale Legge era un insieme di canoni secondo i quali il buon celta doveva vivere. Questi canoni, questi dettami, erano differenti a seconda del livello sociale e del ruolo svolto dall’individuo all’interno della comunità. Oltre a regole di comportamento ben precise, stabilivano persino quanti e quali averi un appartenente alla tribù potesse o dovesse possedere.
Le contese sulle quali il mio compagno era chiamato a giudicare erano perlopiù screzi di poco conto, discussioni senza valore, eppure Twilir trattava ogni caso che gli veniva sottoposto con la stessa serietà ed equità di giudizio. Gli chiesi come mai si occupasse con tanta passione anche a quei casi che potevano essere lasciati a risolversi da soli.
-Anche il torto più piccolo può generare, col tempo, gravi inimicizie e portare disarmonia nella comunità. Se tutti i casi vengono affrontai con gli stessi valori di giudizio, nessuno rimarrà scontento, neppure chi otterrà una sentenza sfavorevole.-
-E’ una cosa che non capirò mai. Mi sembra un perdita di tempo-, commentai con noncuranza.
-Ora ti sembra così perché siamo sempre in viaggio. Quando ti fermerai a vivere da qualche parte, in una comunità o villaggio, capirai meglio le mie parole.-
Una sera, un mese dopo aver intrapreso il mio viaggio con Twilir, eravamo ospitati in una casa destinata ai druidi in visita, in un piccolo villaggio nel cuore dell’attuale Galles. Ad un certo punto, per scaldarmi, decisi di tirare fuori la spada e di allenarmi un po’. Le case celtiche, fatte di fredda pietra grigia e legno e con il tetto di paglia e frasche, non riuscivano a tener fuori del tutto il freddo e l’umidità di quel luogo e il fuoco che Twilir aveva acceso non bastava a scaldarmi. Si andava verso l’inverno, l’inverno più rigido che avessi mai incontrato.
Una volta estratta la spada iniziai subito ad eseguire le sequenze e i movimenti appresi a Sparta e a Troia. Ero riuscito ad elaborarli ottenendo uno stile tutto mio. Dovevo solo migliorarlo. Appena il druido vide la spada, però, per poco non gli venne un colpo. Lasciò cadere la ciotola di brodo che teneva in mano e si alzò di colpo.
-Dove hai trovato quella spada?!- mi chiese con gli occhi spalancati per lo stupore.
-Perché lo vuoi sapere?- gli domandai guardingo. Sapevo che non era pericoloso ma i miei sensi animali mi dicevano di stare all’erta.
-Il metallo. E’ caduto dal cielo, vero?-
Fui io a restare di sasso. –E tu come fai a saperlo?!-
-Sediamoci, Khalàd. Forse il nostro incontro non è stato casuale-, mi invitò il druido continuando ad osservare l’arma. –La fattura è sicuramente egizia. Riconosco lo stile per aver visto altri manufatti di quel paese.-
-Non ti sbagli. Dove hai visto altri oggetti provenienti dall’Egitto?- gli domandai risedendomi.
-Anticamente i navigatori fenici giungevano fino a qui e portavano molti manufatti dalle terre del sud, anche da quella dei faraoni.-
-E come fai a sapere che il metallo è caduto dal cielo?-
-Perché anche qui, circa trent’anni fa, una stella cadde dal cielo e si schiantò in un lago, facendolo scomparire. Il cuore di quella stella era fatto di metallo.-
-Che cosa ne faceste?-
-Questo è un segreto che appartiene solo ai druidi ma, possedendo già tu una “spada del cielo”, posso dirti qualcosa. Forgiammo anche noi una spada. I divinatori continuavano a dire che un giorno un grande condottiero l’avrebbe impugnata e i sognatori confermavano questa versione. Che i due gruppi elargissero le stesse predizioni era una cosa mai sentita e questo fu considerato un segno degli Dei.-
-Chi forgiò la spada? La lama risultò imperfetta come questa?- domandai.
-No. La lama che uscì dalla forgia era perfetta e magnifica, indistruttibile come il mare e lucente come una stella. La forgiò un uomo speciale, un fabbro appartenente ad un’antica stirpe di metallurghi, l’unico che sapesse dove trovare il Fuoco della Britannia, una particolare fonte di calore in grado di fondere quel metallo divino.-
-Allora, forse, potrebbe riforgiare la mia. Renderla perfetta.-
-Forse. Ma questa è un’altra faccenda. Dobbiamo andare a nord, al bosco sacro dei druidi, e parlare con il capo del mio ordine. Sono convinto che tu sia qui per qualche motivo e la spada ne è la prova. Dobbiamo capire quale sia questo motivo.-
-Faremo come vuoi, Twilir. Non ho molti progetti per il futuro e magari il tuo capo potrà darmene uno.-

-La spada di cui parlava Twilir non sarà stata mica…-, inizia Cristina a bocca aperta.
-Si-, mi limito a confermare annuendo con la testa.
-Ma è solo una leggenda!-
-Basata su elementi di verità. La spada esisteva e, per quanto ne so, esiste ancora.-
-E tu sai dov’è?-
-Naturalmente.-
-E non me lo dirai, vero?-
-Neppure sotto tortura.-
Cristina sospira delusa. –Vai avanti, nonno.-

Interrompemmo il viaggio che avevamo intrapreso e puntammo verso nord, abbandonando prati e dolci colline per inoltrarci in oscure foreste su sentieri più impervi. Ci vollero oltre dieci giorni prima che Twilir mi annunciasse che il bosco sacro, dove si riuniva il Consiglio dei druidi, era vicino.
-Quando saremo all’interno del bosco, mantieni il silenzio finché non ti sarà concesso di parlare. Non essendo uno di noi sarai un “invisibile” finché i miei fratelli non ti conosceranno. Se ti verranno fatte domande, rispondi in modo semplice e chiaro, e se a tua volta ne vorrai fare alcune, limitati a quelle strettamente necessarie e accetta le risposte come vengono. Ci sarà tempo dopo per le spiegazioni. Nelle occasioni ufficiali noi druidi siamo piuttosto parchi di parole. Tuttavia, dopo la presentazione, ci ritireremo con il capo-druido e potrai parlare più apertamente.-
-Dobbiamo onorare il cerimoniale, insomma-, commentai inculcandomi in testa tutte quelle istruzioni.
Twilir parve divertito. –Io sono un giudice che porta sulle spalle la conoscenza della Legge di Breohn, colui che la promulgò per primo. Non sono un mistico, quindi anche a me il cerimoniale pare un po’ superfluo a volte. Ciò nonostante, il rispetto delle consuetudini e delle tradizioni è fondamentale per mantenere unito un popolo, perciò è sempre bene seguirle, anche quando sembrano inutili.-
-Lo terrò a mente. E’ una bella cosa quella che hai detto e vale la pena rifletterci su.-
Percorrevamo da due giorni una solitaria strada di campagna e la sagoma delle colline all’orizzonte sembrava non avvicinarsi mai. Ogni tanto chiedevo al mio compagno se il luogo in cui eravamo diretti si trovasse tra quelle colline, ma lui faceva finta di non sentirmi. Calò la sera e il cielo si fece stellato, senza il velo delle nubi cariche di pioggia. Faceva freddo ma il giorno precedente il sole aveva riscaldato un po’ la terra. Lo stesso calore, faceva alzare in quel momento una fitta nebbia.
-Siamo arrivati-, annunciò Twilir indicando la nebbia avanti a noi. –Il bosco sacro.-
-Non vedo nulla, Twilir. Solo nebbia-, risposi. Aguzzai la vista, richiamai anche lo spirito del leopardo, ma non riuscii comunque a vedere nulla.
-Guarda bene-, insistette il druido.
Aguzzai ancora di più la vista e stavolta mi sembrò di vedere qualcosa, un punto luminoso che si avvicinava a noi e diventava sempre più grande. Un uomo sbucò dalla nebbia e teneva in mano una torcia. Vestiva come Twilir e immaginai fosse anche lui un druido. Era giovane, forse su vent’anni, ma dal suo volto serio traspariva saggezza, segno che porbabilmente era stato allevato nell’ambiente che ora serviva.
-Bentornato, Twilir di Caledan. Il Consiglio aspetta te e il tuo compagno-, ci annunciò il giovane.
-Ti ringrazio, fratello Olef.-
-Ci aspettavano? Come facevano a sapere che…-, dissi perplesso e un po’ stupito. Sentivo dentro di me che quella non sarebbe stata una notte qualsiasi.
-Uno dei sognatori ha predetto il vostro arrivo, uomo del sud-, mi spiegò Olef. –Il capo-druido è ansioso di incontrarti.-
-Non facciamolo aspettare-, aggiunse il giudice dei celti. –Proseguiamo.-
Seguii i due sacerdoti all’interno della nebbia che si rivelò talmente inconsistente da scomparire pochi istanti dopo che vi ero passato in mezzo. Mi trovavo in un luogo diverso da quello che mi sarei aspettato. Ero all’interno di un boschetto di querce, l’albero sacro dei celti, e non faceva freddo. Ci avvicinavano ad una grande radura delimitata da alte pietre disposte in circolo. Al centro dello spazio aperto c’era una specie di altare di roccia, su cui era acceso un fuoco. Il luogo era deserto, o almeno credevo. Appena vi entrammo, altre persone fecero il loro ingresso nella radura, tutte vestite con lunghe tuniche chiare e con il cappuccio tirato sul capo. Uno di loro, un uomo alto dai capelli e la barba brizzolati, si fece avanti e venne verso di noi. I suoi occhi azzurri brillavano come zaffiri nella notte, come pure la lucente testa di drago alato che sormontava il bastone al quale si appoggiava. Anche sul suo petto spiccava un medaglione di bronzo ma con un disegno diverso da quello di Twilir. Forse era quel disegno ad indicare la specialità che un druido praticava. Twilir e Olef chinarono il capo quando l’uomo si fermò davanti a noi.
-Ti rendiamo omaggio, capo-druido Taliesin-, dissero in coro i miei due accompagnatori.

-Taliesin?! Un nome che non mi è nuovo-, commenta Cristina inarcando un sopracciglio, forse cercando di ricordare dove lo ha già sentito.
-Era il vero nome gallese di Merlino-, affermo correndole in aiuto.
-Era dunque Merlino il capo-druido? Mi sembra un po’ assurdo.-
-Non era lui ma un suo antenato. Nelle famiglie celtiche pochi nomi si tramandano per generazioni-, le spiego, anche se sembra credere poco alla cosa.

-Chi porti davanti a noi, fratello Twilir?- domandò Taliesin scrutandomi da capo a piedi.
-Porto un uomo che già impugna una “spada del cielo”-, si limitò a riferire Twilir. I druidi erano davvero poco inclini a dire molto durante le cerimonie ufficiali.
Il capo-druido si rivolse a me. –Posso conoscere il tuo nome, uomo del sud?- mi chiese cortesemente puntando il suo sguardo su di me. Il suo viso era inespressivo e non lasciava trasparire nulla.
-Mi chiamo Khalàd e vengo dall’antica città di Uruk-, mi limitai a rispondere, seguendo i consigli del druido giudice.
-Benvenuto tra noi, Khalàd di Uruk. Sappi che è un grande onore per te essere qui stasera. Solitamente solo i druidi possono entrare nel bosco sacro. Posso ora vedere la tua spada?-
Annuii ed estrassi lentamente la mia lama egizia benedetta dal Dio Seth. La tenni sui palmi delle mani e la porsi a Taliesin. Il capo dei sacerdoti, tuttavia, non la sfiorò neppure, limitandosi ad osservarla.
-Il metallo è sicuramente caduto dal cielo anche se la fattura non è delle migliori-, commentò Taliesin dopo un attento esame. –Cosa cerchi in questo luogo, Khalàd?- Ma non erano stati loro a farmi andare li?
-Cerco la mia strada, grande Taliesin-, risposi alla maniera rispettosa e sintetica che ci si aspettava. Un barlume di sorriso comparve sul volto del capo-druido ed egli annuì.
-Decideremo presto sul da farsi, quando saremo soli. Il fatto che tu sia venuto a noi con un’arma simile è di per se un segno molto potente e dobbiamo rifletterci su. Ti consideriamo nostro gradito ospite, Khalàd di Uruk. Il giudice Twilir si occuperà di te e non ti farà mancare nulla.-
-Ti ringrazio, capo-druido. Sarò onorato di passare del tempo in vostra compagnia.-
Detto questo, Taliesin si voltò e tornò verso l’angolo della radura dal quale era emerso, scomparendo. Anche gli altri druidi del Consiglio si voltarono e scomparvero tra le querce.
-Ora andiamo, amico mio. Il villaggio dei druidi non è lontano e la mia casa non si scalderà da sola se non accendiamo il fuoco.-
Uscimmo di nuovo attraverso la nebbia e, guardandomi alle spalle, avevo l’impressione che il bosco sacro dei sacerdoti di Britannia non si trovasse affatto dietro di noi ma in chissà quale altro luogo. Nella mia lunga vita non avevo mai neppure pensato alla parola “magia” ma in quell’occasione un lecito dubbio sfiorò la mia mente.
Il villaggio di cui parlava Twilir non distava molto e lo raggiungemmo in meno di dieci minuti. Era un insediamento composto da molteplici case di legno e pietra dal tetto di paglia. A differenza degli altri villaggi dei britanni, nessuna palizzata proteggeva l’abitato e mi sembrò inverosimile che la sola fama di questi sacerdoti bastasse a tenere alla larga i malintenzionati. Il luogo pareva disabitato ed era reso ancora più lugubre dal vento freddo che spirava e ci gelava le ossa. Olef ci abbandonò appena entrati nel villaggio. La disposizione delle case non era casuale. Ogni edificio era costruito in un luogo preciso e chi sapeva farlo, poteva leggere in questa disposizione la carica e l’importanza del druido a cui apparteneva. Twilir doveva essere ben importante visto che la sua abitazione era situata vicino al centro dell’abitato, poco lontano da quella del capo-druido.
Inizialmente avevo pensato che il posto fosse abbandonato poi, guardando bene attraverso le fessure delle imposte, notai dei fiochi bagliori provenire da dentro le case. L’interno di quella del giudice era tuttavia freddo e l’uomo si affrettò ad accendere il fuoco per riscaldare sia noi che la casa.
-E’ da molto che manco. Spero di avere abbastanza cibo conservato per preparare qualcosa da mangiare-, disse il Druido rovistando nelle sacche appese ad una parete. Ora che vedevo bene la casa notai che era spoglia, arredata con l’essenziale e aveva il pavimento di terra battuta ricoperto di paglia. Una specie di tavolaccio di legno e un sacco di tela riempito di piume fungevano da letto mentre diverse casse disposte lungo le pareti servivano per conservare le suppellettili del druido. Alle pareti, appese a pesanti chiodi di ferro, stavano innumerevoli sacche di tela e cuoio dalle quali si levavano gli odori più disparati. Un tavolo e delle panche occupavano il centro della stanza e dopo aver levato la polvere, il giudice mi invitò a sedermi mentre lui preparava la cena.
Dopo aver ridato vita alla sua abitazione, Twilir mise sul fuoco una pentola d’acqua e radunò sul tavolo di fronte a me gli ingredienti per una zuppa. C’era della carne secca, delle cipolle, alcune radici che l’uomo aveva raccolto lungo il cammino, spezie di cui non conoscevo il nome e infine il sale. Non so perché mi risultasse tanto sorprendente vedere del sale. In fondo eravamo su un’isola circondata dal mare. Forse, intimamente, consideravo i britanni dei barbari incivili, incapaci di utilizzare anche le più basilari conoscenze di sopravvivenza. Come mi vergognai della mia arroganza in quel momento.

-In fondo era vero-, afferma mia nipote. –Erano dei barbari. Non erano ancora venuti a contatto con il mondo romano, quindi erano poco più che uomini preistorici.-
-Commetti il mio stesso errore di allora-, tento di spiegarle. –I romani non hanno creato la civiltà in Britannia. L’hanno solo spinta ad evolversi. La cultura celtica era, anche prima dell’avvento di Roma, una delle più affascinanti e raffinate del mondo.-
-Ma, se ben ricordo, neppure sapevano scrivere-, protesta lei.
-Credimi, bambina mia. Avevano altri modi di tramandare la loro conoscenza.-

La zuppa che Twilir riuscì a cucinare con quella poca roba fu veramente deliziosa e il profumo che invase la piccola casa mi scatenò ricordi che oramai pensavo totalmente perduti. Mia madre era solita cucinare una pietanza simile. Mi si inumidirono gli occhi a quel pensiero ma riuscii a riprendere il controllo in tempo prima che Twilir notasse la mia commozione. Cenammo allegramente parlando delle nostre rispettive esperienze in giro per il mondo. Chiaramente limitavo le mie ad un arco di tempo plausibile per un uomo della mia apparente età. Avevamo quasi svuotato le nostre ciotole di zuppa quando qualcuno bussò alla porta.
-Ce ne ha messo di tempo ad arrivare-, commentò il druido andando ad aprire.
-Aspettavi qualcuno?-
-Mio cugino, ma è in ritardo. Meriterebbe che lo lasciassi fuori a congelare.-
Grande fu la mia sorpresa quando Taliesin, il capo-druido, fece il suo ingresso nella casa del mio amico.
-Ci avviciniamo al cuore dell’inverno, cugino-, esclamò il nuovo venuto togliendosi il mantello dai colori sgargianti che indossava e sedendosi a tavola con noi.
-Siete cugini?!- domandai sorpreso.
-A volte me ne dimentico anch’io-, commentò ironico il padrone di casa mentre riempiva una ciotola di zuppa fumante anche per Taliesin. –Non smetterò mai di domandarmi come il vecchio Inahl abbia potuto nominarti suo successore a capo del Consiglio.-
-Perché sono più bello di te, Twilir-, scherzò il capo-druido, rivelando la sua vera personalità. –Spero ti abbia trattato bene, amico del sud-, disse poi rivolgendosi a me.
-L’ospitalità di tuo cugino è impeccabile, grande Taliesin.-
-Lascia stare il “grande”, Khalàd. Questo zuccone non lo merita-, mi corresse il giudice versando anche per me e per se stesso un’altra misura di brodo caldo.
-Hai creato un po’ di scompiglio con quella spada, lo sai?- mi disse Taliesin mentre metteva in tavola una forma di pane scuro ancora abbastanza morbido.
-Non era mia intenzione…-, iniziai esitante.
-Non devi scusarti. Gli Dei hanno un disegno per tutto e se tu hai avuto in dono un’arma del genere un motivo ci deve essere.-
-Vorrei conoscerlo anche io-, commentai amaro, cosa che non sfuggì ai due cugini.
-La Britannia potrà apparire selvaggia e inospitale a chi come te proviene dalle terre dominate dalla civiltà di Roma-, iniziò Taliesin. –Tuttavia è ancora una terra libera dove ogni uomo può costruire la sua strada.-
-Cosa intendi dire con questo? Che sono padrone del mio destino? Perché se è questo che intendi ti assicuro che ti sbagli.-
-Gli Dei tracciano le vie, Khalàd-, mi spiegò Twilir. –Siamo noi, però, a scegliere il modo di percorrerle.-
-Pensieri profondi per l’ora tarda, cugino-, intervenne Taliesin. –Abbiamo qui un uomo che cerca se stesso e una “spada del cielo” senza uno scopo. Che dobbiamo fare? I nostri compagni sacrificatori, divinatori e sognatori non sono riusciti a trarre indicazioni su di lui. Sapevano solo che sarebbe arrivato.-
-Dobbiamo rivolgerci a “lei”, Taliesin-, disse il giudice al suo superiore.
Taliesin annuì. –Lo pensavo anch’io.-
-Chi è “lei”?- domandai senza capire.
-E’ una veggente. Molto potente. I suoi genitori sono morti che era una bambina ed è stata allevata dai druidi. Il suo potere è molto grande, forse perché la sua famiglia non ha origini dalla Britannia ma da una terra molto lontana chiamata Grecia-, mi spiegò il capo-druido.
-Sono stato in Grecia ma non credo che i loro veggenti siano migliori dei vostri. Gli Dei sono meno chiacchieroni di quello che si possa immaginare-, commentai.
-Forse. Ma il suo potere è autentico e più volte ha fatto previsioni accurate che ad altri sembravano impossibili.-
-Se può darmi qualche valido consiglio la vedrò volentieri-, mi limitai a dire.
L’incontro fu fissato per il mattino seguente, al bosco di querce. Stavo in mezzo alla radura dove il fuoco ardeva ancora. Non faceva freddo e il sole che filtrava tra i rami degli antichi alberi creava un’atmosfera davvero magica. I druidi del Consiglio erano già arrivati ed erano disposti in circolo al limitare della radura, con i cappucci delle loro vesti calati sul viso, come la sera avanti. Mentre attendevamo l’arrivo della veggente, uno di loro, un bardo, intonò una canzone per ingannare l’attesa. Capii finalmente il motivo per cui i bardi erano annoverati tra i sacerdoti. Il potere ammaliante della sua musica e la forza delle sue parole potevano incantare anche la bestia più feroce. Fui subito conquistato da quel suono dolce che accompagnava le parole di un antico poema, la storia di un grande guerriero e della sua amata, credo. I bardi erano forse i più potenti tra i druidi perché, come ebbi modo di verificare, le loro parole arrivavano dritte al cuore e rendevano schiavo chiunque. I bardi erano anche la memoria storica del loro popolo, i depositari della cultura celtica che veniva tramandata oralmente, sotto forma di racconto o poema, dai più anziani ai più giovani.
Quando l’ultima nota del sacro strumento risuonò nell’aria, Taliesin si fece avanti e sollevò il suo bastone dalla testa di drago. –La veggente è arriva-, disse soltanto. Poi indicò con il bastone una figura minuta che a piccoli passi si avvicinava alla radura attraverso le querce. La sua veste era bianca e portava anche lei il cappuccio tirato sul capo. Due lunghe ciocche di capelli ondulati e neri scendevano dai lati del copricapo e subito qualcosa di lei mi risultò familiare. Si fermò davanti a me e al capo-druido e mostrò finalmente il suo volto, la sua pelle candida come il latte, i suoi occhi neri come la notte… Rimasi impietrito per lo stupore e anche lei ebbe lo stesso effetto, a giudicare dal modo in cui spalancò gli occhi quando mi vide in faccia. Tra lo sgomento generale dei presenti, le presi il viso delicatamente tra le mani e la baciai con passione. Un bacio al quale lei ricambiò con altrettanta intensità.
-Cassandra. Ti ho ritrovato-, riuscii solo a dire in un sussurro quando le nostre labbra si separarono.
-Il mio nome è Caysia-, disse lei con voce altrettanto carica d’emozione. –Non ti ho mai visto prima d’ora ma dal primo momento che ho posato gli occhi su di te sapevo che noi due eravamo legati indissolubilmente.-

-Mi puoi spiegare? Era Cassandra, immortale come te, o una donna che le somigliava?- mi domanda Cristina confusa.
-Discendeva dalla famiglia di lei. La mia Cassandra, probabilmente, si era creata una nuova famiglia in Grecia, a Itaca. Per qualche motivo i suoi discendenti mossero verso il nord, fino a giungere in Britannia e li vi erano rimasti. Il potere della veggenza, evidentemente, si era tramandato.-
-E’ una spiegazione plausibile, ma mi dici che lei ti ha riconosciuto!-
-E’ una cosa difficile da spiegare. Era come se la sua anima avesse attraversato i secoli come avevo fatto io e…-
-Lascia perdere, nonno. Mi fai venire il mal di testa.-

Taliesin ci guardava sbalordito. –Voi due vi conoscevate già? E’ impossibile! Khalàd! Hai detto che questa è la prima volta che visiti la Britannia!-
-E’ vero, capo-druido. Non ti ho mentito, ma posso darvi una spiegazione a tutto, in un altro momento. Ora… Caysia… vorresti provare a scrutare dentro di me, in cerca di una visione profetica?-
La ragazza, poco più che ventenne, annuì e puntò i suoi neri occhi indagatori su di me. Li chiuse dopo pochi istanti, sospirando, come se la cosa le procurasse sfinimento.
-La tua via è segnata ma è molto confusa. Vedo però qualcosa, qualcosa che succederà a breve. Vedo un uomo che vive nel fuoco. Ti batterai con lui. Ora lo stesso uomo sta battendo del ferro con un martello. Ti porge una spada ma non è quella che porti al fianco. Ora vedo un altro uomo, a cavallo, seguito da altri come lui. Porta un mantello rosso e impugna un vessillo raffigurante un’aquila. Sul suo petto però, è visibile la flebile immagine di un drago alato, come fosse uno stemma….-
Caysia cadde sfinita ma la presi tra le braccia prima che potesse toccare terra. –Sei stata molto brava, amore mio. Ora vedo più in la del domani e voglio che tu ne faccia parte.-
-Cosa succede, Khalàd?! Alcune cose di ciò che ha detto le comprendo, altre invece…-, esclamò Taliesin preoccupato.
-Ho bisogno di parlare a te e al Consiglio più liberamente, amico mio, senza formalità e cerimonie. So che non è vostra usanza rompere le tradizioni ma ciò che devo dirvi è importante per voi e la Britannia.-
Il capo-druido mi fissò intensamente poi annuì. –Amici-, chiamò Taliesin e gli altri druidi presenti si fecero avanti. –Riuniamoci accanto al sacro fuoco. Gli auspici sono tratti e vanno interpretati. L’uomo del sud ne conosce già in parte il significato e vuole condividere questa conoscenza con noi.-
Quando Caysia si fu ripresa, parlai al Consiglio dei sacerdoti di Britannia. –Amici druidi-, iniziai. –La veggente mi ha parlato di molte cose e una di queste riguarda la vostra terra. Tre parole bastano per esprimervi ciò che accade e questo darà inizio ad un tempo di grandi cambiamenti. Roma sta arrivando.-
-Il vessillo dell’aquila-, commentò Taliesin con il viso inespressivo.
-Vengono in pace o da conquistatori?- domandò uno dei presenti, interrompendo di fatto il silenzio che aveva caratterizzato il Consiglio nei miei confronti, ad eccezione di Taliesin.
-I romani impongono la loro di pace. Sottomettiti o muori, è il loro pensiero.-
-Possiamo combatterli, Khalàd?- mi chiese Taliesin sinceramente preoccupato. Scossi la testa.
-Roma è una grande, enorme, inarrestabile macchina da guerra. Se vai allo scontro con le legioni conoscerai solo la sconfitta.-
-Siamo destinati al giogo, allora-, parlò un altro druido infervorandosi, probabilmente per nascondere la paura. Un accordo dell’arpa del bardo lo richiamò alla calma. Si poteva soprassedere sulle formalità per una volta ma non sul rispetto che si doveva ai compagni, al luogo e all’ospite.
-C’è un modo per non essere sconfitti da Roma-, annunciai. –Non opporsi. Ho visto con i miei occhi che dove i romani dominano senza opposizione, anche la popolazione vive nel benessere e senza patemi. Dove invece il popolo si rivolta… Roma risponde con il ferro.-
Dai volti dei druidi capii che la mia soluzione non era molto gradita. –Rifletteremo sulle tue parole, uomo del sud-, mi disse formalmente Taliesin, per riportare la discussione nell’ordine del cerimoniale. –Ti chiederei un favore. Accompagneresti la veggente alla sua abitazione? E’ stanca e ha bisogno di riposo. Io vi raggiungerò dopo che avremo discusso.-
-Sarà un onore, capo-druido-, risposi prendendo la mano di Caysia e accomiatandomi poi dal Consiglio.
Il sole del mattino riscaldava un po’ la terra e la ragazza alzò il viso al cielo per lasciarsi scaldare la pelle dai raggi luminosi. Non sapevo che dire, specie per spiegare il bacio.
-Sento che sei confuso… Khalàd. Riguarda me?- mi domandò lei mentre mi conduceva per mano sulla strada per il villaggio.
-Lo sono, Caysia. Mi sembra incredibile quello che sta accadendo, eppure dovrei essere abituato alle stranezze.-
-Perché quando ti ho visto è stato come se ti conoscessi e…-, arrossì, -Ti amassi da sempre?-
-Non so come sia potuto succedere ma una cosa posso dirtela con certezza. Ti ho amato, ti amo e ti amerò sempre con tutto il mio cuore.- Stavo piangendo perché l’emozione per quel miracolo era troppo forte da assorbire in un attimo.
-Chi siamo, Khalàd?- mi domandò Caysia quando fummo in vista del villaggio.
-Tu sei stata Cassandra, principessa troiana e figlia del re Priamo. Il Dio Apollo ti fece il dono della preveggenza ma più volte si rivelò una maledizione piuttosto che una benedizione. Fosti fatta prigioniera dai greci quando Troia fu distrutta ma io riuscii a convincere Ulisse, il re di Itaca, a riscattarti e a portarti in salvo. Purtroppo poi non sono potuto tornare da te e immagino che la tua vita sia continuata per altre strade.-
-Chi eri tu? Un principe? Un re? Un guerriero? Qual era il tuo nome? Se tu ricordi, forse posso risvegliare anch’io questi ricordi ancestrali.-
-Io ero me stesso. Probabilmente la tua anima ha viaggiato nel tempo. Io l’ho fatto in carne e ossa.-
Mi lasciò la mano di colpo e si ritrasse spaventata. –Mi stai dicendo che sei…-
-Non qui. In casa. Devo mostrarti una cosa-, le dissi serio. –Una cosa che non ti mostrai neppure al tempo in cui ci siamo conosciuti, centinaia di anni fa.-
Lei annuì e mi tese timidamente di nuovo la mano. Caysia viveva sola, in una casa un po’ isolata al limitare del villaggio. Era strano che una persona con un potere così grande non abitasse accanto al capo-druido.
-Io non sono un druido-, mi spiegò quando richiuse la porta alle nostre spalle. –Mi lasciano vivere qui solo per proteggermi. Taliesin ritiene che il mio potere possa essere usato contro il popolo celta.-
-Taliesin è saggio-, concordai. La casa era totalmente diversa da quella di Twilir anche se l’aspetto esterno era identico. In quella della mia amata si vedeva chiaramente l’impronta di una donna, nell’arredo, nei colori, nell’ordine.
-Ora dimmi, Khalàd. Chi sei?-
-Io sono un immortale. Sono nato in Mesopotamia, nella città di Uruk, oltre duemilaquatrocento anni fa. Una notte, un fulmine scagliato dal cielo da qualche divinità in vena di scherzi, mi lasciò questa cicatrice-, le dissi mostrandole il marchio del cielo impresso sulla mia carne. –E uccise il mio migliore amico. Eravamo andati a vedere il luogo dove una stella era caduta e vi trovammo il metallo per fare la mia spada.- Per provarle ciò, estrassi la mia lama egizia e mi ferii superficialmente un braccio. Con gli occhi colmi di terrore, Caysia vide la ferita smettere di sanguinare e richiudersi.
-Ho paura di ciò che mi hai detto e di quello che ho visto-, disse lei dopo un lungo momento di silenzio. –Eppure non riesco a temerti.-
-Ciò che io sono non dipende dalla mia volontà. Dentro questo corpo immortale c’è un uomo che sa discernere il bene dal male, sa soffrire e, soprattutto, sa amare.-
Mi corse incontro e mi baciò ancora più appassionatamente di quanto avesse fatto nel bosco sacro. Le accarezzai i capelli sottili come fili di seta, mi inebriai del suo profumo floreale, la strinsi a me come non avevo più stretto una donna da quando avevo lasciato Troia.
-Ora non c’è tempo per noi, amore mio-, le dissi fissandola dolcemente negli occhi. Lei annuì.
-Attendiamo Taliesin. C’è molto da dire e molte decisioni da prendere.-
Il capo-druido bussò alla porta di Caysia non molto tempo dopo. Twilir era con lui.
-Il Consiglio sembra impazzito!-, sbottò il capo dei sacerdoti sedendosi. –Mettono in dubbio le parole di Caysia, dopo che innumerevoli volte le sue previsioni si sono avverate.-
-Non credono che i romani arriveranno?- domandai accigliandomi.
-Neppure una parola. Solo il bardo ha parlato in favore della veggente-, continuò Twilir. –Pensano che se anche i romani arrivassero, li potremmo sconfiggere in mare o lungo le coste.-
-Pazzi. Non hanno idea di ciò che Roma può scatenare.-
-E’ la nostra terra, Khalàd. Puoi biasimarli se vogliono difenderla?- tornò a chiedermi il giudice.
-No. Non li biasimo. Ma a chi resterà questa terra dopo che loro saranno morti?- Un silenzio glaciale cadde nella stanza perché le mie dure parole avevano colto nel segno. –Hai detto che conosci il significato della prima parte della visione di Caysia-, chiesi a Taliesin per rompere la tensione del momento.
-E’ vero. Ma credo sia inutile parlarne.-
-Invece devi, capo-druido-, intervenne la mia amata. –Oppure lo farò io. Se quell’uomo compare nella visione deve esserci un valido motivo.-
-E va bene. Il suo nome è Calhorn ed è l’ultimo discendente di un antico popolo di fabbri dalle capacità quasi magiche.-
-Raccontagli tutto, Taliesin-, lo esortò suo cugino Twilir mentre versava per tutti un forte e dolce liquore da una fiaschetta che aveva portato con se. –Deve sapere, se davvero è destinato ad incontrare e a battersi con Calhorn.-
-Ne parlate come fosse un demone-, commentai.
-Non è proprio un demone, ma diciamo che ha un gran brutto carattere-, aggiunse il custode della Legge.
-E’ forse l’uomo che ha forgiato l’altra spada?-
-Si-, confermò Twilir, incurante dell’occhiata di disappunto che il cugino gli aveva indirizzato per quella rivelazione.
-In divinatori, i veggenti e i sacrificatori di allora-, iniziò Taliesin, -Parlarono della stella caduta come di un dono del cielo alla Britannia. Provammo a fondere il metallo che trovammo nel cratere che un tempo era stato un lago, ma non ci riuscimmo. Abbandonammo il progetto in attesa di imparare nuove tecniche per operare sui metalli ma un giorno un uomo, un fabbro, si presentò al capo-druido, il mio predecessore Inahl, e gli fece un’offerta. Lui avrebbe fuso il metallo e forgiato la spada e noi, in cambio, gli avremmo insegnato alcuni dei nostri segreti.-
-Mantenne il patto?- domandai al druido.
-Si. Ma quando Calhorn andò da Inahl per reclamare il suo compenso, me ne vergogno a dirlo, il capo-druido rifiutò di rispettare l’accordo. Il fabbro allora minacciò di tenere per se la spada perché sapeva quanto importante fosse per i druidi. Inahl cedette ed elargì l’insegnamento al fabbro. Tuttavia, da quel giorno, non volle più saperne di noi e si ritirò nella sua dimora a nord, tra le montagne.-
-Come ha fatto a fondere il metallo?-
-Ha usato il Fuoco della Britannia, anche se non sappiamo cosa sia esattamente. Calhorn ne è il custode e solo lui sa usarlo.-
-Posso vederla? La spada intendo-, chiesi a Taliesin.
-L’ho portata proprio per questo-, rispose l’uomo togliendosi dalla spalla un fagotto dalla forma allungata. Lo svolse sopra il tavolo e comparve una lunga spada infilata in un fodero di cuoio. L’elsa e l’impugnatura formavano una sorta di croce con la lama. Il pomolo, che serviva a bilanciare l’arma, era modellato a testa di drago, allo stesso modo in cui quello della mia raffigurava uno sciacallo. –Ecco Excalibur, la “spada del cielo”, forgiata per difendere la Britannia da coloro che vogliono sottometterci e distruggerci.-
La presi in mano con reverenziale timore e la estrassi dal fodero. Una lama lucente e perfetta comparve dalla protezione di cuoio e io seppi allora quanto imperfetta era stata la mia fino a quel momento, al di là dell’estetica. Bilanciamento e maneggevolezza erano strabilianti e anche il taglio era qualcosa di mai visto. Mi strappai alcuni capelli e li gettai in aria, facendoli ricadere sulla lama che li tagliò senza neppure essere mossa. Quella era la spada più potente del mondo. Dopo aver posato Excalibur, estrassi la mia spada e la posai di fianco alla britanna. Un suono acuto che assomigliava ad una vibrazione inondò la stanza e capimmo che il fenomeno era provocato dalle due spade. -Hanno percepito la vicinanza l’una dell’altra e ora cantano la loro canzone-, affermò Twilir sbigottito. –E’ un vero prodigio!-
-Devi andare da Calhorn-, mi disse Caysia senza distogliere gli occhi dalle due spade.
-Si. Devo. La mia spada deve essere riforgiata ancora una volta-, dissi riprendendo la lama egizia e rinfoderandola. –Dove posso trovare Calhorn?- domandai a Taliesin mentre anch’egli riponeva Excalibur e la celava nuovamente alla vista.
-Se questo è il tuo desiderio ti ci accompagnerò io, Khalàd-, mi disse Twilir. –Il viaggio non è lungo ma per trattare con il fabbro è bene che ci sia con te qualcuno che lo conosca.-
-Ti sono grato per il tuo aiuto, Twilir.-
-Non devi ringraziarmi. Mi farò volentieri un viaggetto al nord e poi la moglie di Taliesin non lo perdonerebbe mai se partisse ora, nel bel mezzo dell’inverno e con un bambino in arrivo.-
-Stai per diventare padre?!- gli domandai sorpreso.
Il capo-druido annuì con il viso sorridente. –Nascerà poco prima di Beltane, la Festa del Rinnovamento.-
-Le mie congratulazioni, amico mio.-
-C’è ancora una cosa che non capisco-, intervenne Caysia riportando il discorso sul tema principale del nostro incontro. -Io ho visto anche un uomo a cavallo, un romano a quanto dici.-
-Esatto-, confermai. –Il vessillo dell’aquila è l’emblema imperiale di Roma.-
-Perché allora sul suo petto compariva uno dei nostri simboli sacri, il drago?-
-E’ una cosa che non adesso comprendo ma forse il tempo svelerà anche questo mistero.-
Non volevo correre e chiesi a Twilir se poteva ospitarmi a casa sua per un po’, finché non saremmo partiti, ma Caysia si oppose decisamente.
-Non se ne parla, Khalàd. Tu resti qui-, mi intimò con uno sguardo malizioso carico di significato.
-Sei sicura di quello che fai, Caysia. Vi conoscete appena…-, iniziò timido Taliesin.
-Non hai una moglie che ti aspetta, capo-druido?- le disse senza neppure guardarlo.
-Naturalmente. E anche Twilir deve andare. Non è vero cugino?-
-Direi di si. Khalàd è in buone mani a quanto vedo-, mi derise l’anziano giudice facendomi arrossire come un bambino.

-Ti ha preso al laccio e ti ha messo nel recinto, nonno-, rincara la dose Cristina. E’ incredibile come dopo tanto tempo mi senta ancora in imbarazzo ripensando a quella situazione.
-Lo volevo anch’io-, rispondo per cercare di giustificarmi anche se la realtà è evidente. Caysia aveva preso le redini della situazione.

-Quando partiremo, Twilir?- domandai al custode della Legge prima che uscisse dalla casa della mia amata.
-Tra due o tre giorni. Devo fare dei preparativi e dobbiamo anche consultare gli àuguri sull’esito della nostra missione. Chiederò ad un sacrificatore di leggere le interiora per noi.-
-E’ necessario?-
-Non sottovalutare i messaggi degli Dei, Khalàd-, mi rispose Twilir tornando serio. –Hanno molti modi per manifestare la loro volontà.-
-E sia, allora. Attenderò il tuo arrivo.-
Richiusa la porta per tenere fuori il freddo, Caysia non perse tempo. Come se si fosse trattenuta per un tempo insopportabile, mi corse incontro e mi buttò le bracci al collo, baciandomi con passione. I suoi occhi erano bagnati di lacrime.
-Non so perché piango, ma sono lacrime di gioia-, mi disse quando riuscimmo nuovamente a guardarci negli occhi.-
-E’ la tua anima che piange di gioia, perché ci siamo ritrovati dopo tanto tempo. Le spiegai accarezzandole i lunghi capelli corvini.
-Non lasciarmi mai più, Khalàd. Vai dal fabbro, riforgia la spada e torna da me, guerriero immortale.-
-Lo farò. Non temere-, le assicurai prima di baciarla nuovamente. Nel silenzio della stanza, in nostri passi si diressero verso il letto per dare inizia ad un appassionato tempo d’amore.
Due giorni dopo, Twilir venne a bussare alla nostra porta. –E’ tempo, Khalàd. Il sacrificatore ci aspetta per trarre gli auspici.-
Il sacrificatore di cui il giudice parlava era un uomo alto e talmente magro da poter essere scambiato per il ramo di un albero. Lo incontrammo al limitare del villaggio dei druidi, in uno spiazzo erboso dove stava una pietra che serviva da altare. La pietra era tutta annerita, probabilmente dal sangue dei precedenti sacrifici. Il druido teneva al laccio una capretta.
-Siamo qui, Oldin. Possiamo cominciare.-
Il sacrificatore annuì e prese in braccio il povero animale, lo mise sopra la pietra ed estrasse il coltello rituale dalla cintura della sua veste. Ignorando i belati di disperazione della povera capra, Oldin tagliò la gola all’animale bagnando poi la pietra con il suo sangue. Stavo per dire qualcosa ma Twilir mi strinse un braccio e scosse la testa. Non era il caso. Si attese che la capra fosse morta dissanguata, poi il sacrificatore la rivoltò e le squarciò la pancia. Un fumo nauseabondo si levò da quel corpo inerme perché il freddo del mattino era pungente. Posato il coltello, Oldin infilò le mani nel ventre aperto della capra e iniziò a rovistare tra le interiora.
-Il vostro viaggio si preannuncia tranquillo-, sentenziò il druido con una voce roca e sgradevole almeno quanto il suo compito. –Arduo però sarà portarlo a termine. Vedo una temporanea separazione e… un incantesimo oscuro che dev’essere annientato.- Il sacrificatore rivoltò le viscere della capra ancora per un po’ ma non disse altro. –E’ tutto-, concluse.
-Ti siamo grati, fratello Oldin. Appena potrò ti pagherò il compenso stabilito-, disse Twilir all’altro druido.
-Di quale compenso parli?-
-Il servizio di un druido va pagato come qualsiasi altro. Non viviamo d’aria, amico mio-, mi spiegò il giudice britanno.
-E a quanto ammonta questo compenso?-
-Bisogna risarcirlo di una capretta e del cibo per tre giorni, oppure l’equivalente in oro o in manufatti vendibili, per comprare provviste al villaggio vicino. Durante l’inverno il cibo è scarso così tra noi… diciamo che pratichiamo il credito-, concluse sorridendo. –Ora andiamo.-
-Aspetta, Twilir. Il servizio era per me, quindi è giusto che sia io a pagare. Ho dell’oro romano. Pensi possa andare bene?-
Ci accordammo per una moneta d’oro e partimmo finalmente per il nostro viaggio. Gli auspici erano stati buoni e anche se si parlava di un incantesimo oscuro il mio animo era sereno. Ora che avevo ritrovato il mio amore avrei potuto affrontare anche un’armata di demoni.
Twilir aveva ragione. Non fu un viaggio lungo perché Calhorn viveva poco più a nord del villaggio dei druidi, nel cuore delle colline della Britannia, in un luogo isolato e selvaggio dove nessun uomo sano di mente avrebbe costruito la sua casa. Impiegammo tre giorni di cammino per raggiungere la dimora del fabbro, una casa completamente di pietra addossata ad una parete rocciosa che costituiva il fianco di una bassa altura. Era mattino ma il sole non scaldava quell’angolo di mondo perché l’abitazione era rivolta a nord.
-Calhorn!- chiamò a gran voce Twilir. –Sei in casa?- Nessuna risposta.
-Forse non c’è-, ipotizzai io.
-Speriamo il contrario o avremo fatto un viaggio a vuoto.-
-Calhorn! Sono Twilir!- ripeté il mio amico.
-Motivo in più per non rispondere!- esclamò una voce possente e burbera proveniente dall’interno della casa. Un uomo basso e dalle spalle larghe, con indosso solo un grembiule di cuoio, uscì dalla casa di pietra. In mano stringeva una pesante scure. Aveva lunghi capelli bianchi raccolti in una treccia che gli scendeva lungo la schiena. Anche la barba era lunga e bianca ma l’uomo la teneva tagliata e raccolta in modo che assomigliasse a tante spine rigide. –I druidi non sono ben accetti qui.-
-Lo so, amico, ma questo è un caso particolare. Non sono qui per i druidi ma per questo giovane guerriero.-
-E che vuole?-
-Ha una “spada del cielo” da riforgiare. Ti interessa?-
Calhorn alzò un sopracciglio cespuglioso e puntò i suoi piccoli occhi grigi su di me. –Dipende. Costerà molto e poi si deve meritare il mio aiuto.-
-Non basta che ti paghi?- gli domandai iniziando a stancarmi della sua reticenza.
-Sono l’unico che sa lavorare il metallo per fare le “spade del cielo”. Pensi che chiunque ne trovi un po’ possa venire da me e farmi lavorare? Dovrai batterti con me e sconfiggermi. Allora accetterò il lavoro.-
Sorrisi. Sarebbe stato un gioco da ragazzi. –Accetto!- La visione di Caysia era veritiera ma non avevo ragione per dubitarne.
-Stai attento, Khalàd. Non sottovalutarlo. Ha una capacità nascosta di cui solo Taliesin è a conoscenza e questo potrebbe girare lo scontro a suo favore-, mi ammonì Twilir.
-Vedremo-, commentai estraendo la mia spada egizia. –Anche io ho capacità nascoste che mi possono tornare utili.-
Avanzai verso il fabbro che mi aspettava davanti alla sua casa, con l’ascia impugnata saldamente a due mani. Scattai in avanti per tentare di sorprenderlo ma il suo atteggiamento non cambiò. Deviò il mio attacco e si spostò dalla mia traiettoria.
-Bella mossa, ragazzo. Avrei provato anch’io così-, mi disse il basso uomo quasi a deridermi.
Muovendosi con un’agilità impressionante fece per piazzarmi un colpo di piatto appena dietro al ginocchio. Io però ero un combattente troppo esperto per farmi sorprendere in quel modo ed evitai facilmente quello sporco trucco. Calhorn non si ritrasse. Non intendeva studiare la mia tecnica come qualsiasi combattente con un po’ di esperienza avrebbe fatto. Iniziò ad attaccarmi a colpi d’ascia sempre più possenti che, pur non sfiorandomi, mi fecero indietreggiare di parecchio. Alcuni li schivai, altri li parai con facilità. Ero però sorpreso dalla tranquillità con cui il fabbro viveva quello scontro, e avevo caldo, molto caldo. Sembrava che l’aria attorno a me iniziasse a scottare, ed eravamo nel cuore dell’inverno. Calhorn, invece, pareva diventare sempre più forte. Che fosse il potere segreto di cui mi aveva parlato Twilir? La conoscenza ottenuta in cambio della creazione della spada Excalibur? Decisi di ricorrere anche io ad una forza superiore, ad una forza animale. Richiamai a me lo spirito del leone ed iniziai ad attaccare selvaggiamente il mio avversario allo stesso modo in cui lui aveva attaccato me. I miei colpi erano rapidi e precisi e sarebbero stati tutti letali se non avessi girato la mia spada di piatto per non ferire il fabbro. L’aria si fece incandescente ma non me ne curai. Ora il nostro duello si svolgeva in un continuo rovesciamento di fronte fatto di assalti e tattiche difensive. Ad ogni momento che passava diventavamo entrambi più forti. Lui, probabilmente, grazie al fuoco che non so come riusciva ad emanare, io con l’aiuto dello spirito animale che mi dominava. In un ultimo possente scontro, le nostre armi volarono via dalle nostre mani e si piantarono nel terreno poco lontano da noi. L’aria tornò a raffreddarsi e io dissolsi il potere spirituale dell’animale africano.
-Superbo!- esclamò il fabbro tarchiato riprendendo fiato. –Nessuno mi aera mai stato alla pari prima d’ora.-
-Che mi dici del calore che sentivo tutto intorno a me?-
-E tu che mi dici di quella forza e quella ferocia che hai richiamato in tuo aiuto?-
-Ognuno ha i suoi segreti, Calhorn-, gli risposi. –Vuoi riforgiare la mia spada, ora?-
Il fabbro guerriero mi osservò intensamente poi annuì. –Prendi le nostre armi e seguitemi dentro, tutti e due.-
-Magnifico, Khalàd. Non avevo mai visto nulla di simile-, esclamò sorpreso Twilir quando mi fu accanto.
-E’ stata dura. Il combattimento più strano che abbia mai intrapreso.-
-Lo hai impressionato e questo non accade tanto spesso-, mi spiegò il giudice. –Lo so perché in tutti questi anni ho tenuto i contatti con lui, all’insaputa degli altri druidi che sembrano disprezzarlo.-
-Per quale motivo?-
-Ritengono che la forza che lui nasconde, il Fuoco della Britannia dovrebbe appartenere a loro. Inahl, il vecchio capo-druido, era un uomo molto saggio ma anche molto arrogante. Aveva idee ben precise sulle divisioni sociali e sugli uomini da ritenersi inferiori. Calhorn, per lui, era uno di essi.-
-Ma non per te. Come mai?-
-Io sono un custode della Legge di Breohn, un druido originario dell’isola magica che affianca la Britannia, quella che nella versione più arcaica della nostra lingua chiamiamo Inish Fàil, l’isola del destino. La Legge riconosce una netta differenza tra le classi sociali della nostra civiltà, tuttavia associa ad ognuna di esse la stessa importanza per il benessere e la sopravvivenza dei celti, si chiamino essi Britanni, Pitti, Scoti o Calédoni.-
La casa di Calhorn era, se possibile, ancora più spoglia di quella del mio amico druido, eppure era calda, nonostante non vedessi nessun fuoco acceso. Gli riconsegnai l’ascia e lui indicò la mia spada. –Fammela vedere-, mi disse senza mezzi termini, gettando la scure in un angolo della stanza.
Gli consegnai la mia arma ed attesi che la esaminasse. La girò e la rigirò, osservando attentamente la lama, poi l’impugnatura e infine il pomolo a testa di sciacallo. La soppesò e la fece volteggiare un po’.
-Un’arma notevole ma imperfetta-, fu il suo commento.
-Non sarei venuto da te se non ne fossi cosciente.-
-E’ lo stesso metallo usato per Excalibur-, aggiunse Twilir.
-No, non è lo stesso, amico mio-, disse il fabbro scuotendo la testa. –Questo sembra più duro dell’altro, più adatto a creare una spada che debba resistere al tempo che non ad un’arma invincibile.- Le potenze celesti avevano pensato davvero a tutto, pensai con sarcasmo.
-Posso riforgiarla ma il potere di quest’arma sarà inferiore a quello di Excalibur-, sentenziò Calhorn.
-Non importa. Il suo scopo è proprio quello di attraversare il tempo.-

-Non capisco-, mi dice Cristina perplessa. –Hai detto che sai dove si trova Excalibur. Allora anche lei ha attraversato il tempo.-
-Lo ha fatto-, confermo. –Ma il metallo stellare di quella spada non ha resistito all’influsso del tempo come ha fatto la mia. Se la vedessi ora la riterresti una comune spada medievale e null’altro.-

-Fai ciò che devi, continuai. Pagherò qualsiasi prezzo pur di vedere la mia spada rinascere più forte di prima-, aggiunsi.
-Certo che mi pagherai! Mica lavoro per la gloria, io!- fu la sua burbera risposta, accompagnata da un mezzo sorriso. Il suo viso si fece serio di colpo. Stringeva l’impugnatura della spada come se volesse frantumarla e sulla sua fronte comparvero gocce di sudore. Di colpo la gettò sul tavolo che c’era nella stanza e si accasciò su una panca.
-Che ti succede, Calhorn?- gli domandai preoccupato.
-Magia!- esclamò spalancando gli occhi. –Una magia oscura avvolge questa spada. Ora è debole ma è indissolubilmente legata alla spada. Deve essere distrutta per poter rifondere il metallo.-
-Oldin lo aveva predetto, Khalàd-, aggiunse Twilir continuando ad osservare pensieroso la mia arma.
-Lo so. Il sacrificatore ha visto giusto e avrei dovuto immaginare di cosa si trattava-, risposi.
Era il potere di Seth, Dio dei deserti e dell’uragano. Lontano dall’Egitto il suo potere era venuto meno ma la spada, oramai, era un tutt’uno con esso.
-Puoi farlo?- domandai ansioso. Mi doleva separarmi dallo spirito di Seth che, per quanto fosse un Dio oscuro, mi era stato sempre vicino in battaglia. –Puoi dissolvere l’incantesimo?-
-Non ora. Per poterlo fare, un’entità altrettanto oscura mi deve affiancare e il momento è passato-, spiegò Calhorn.
-Sahmain, il Dio della morte-, disse Twilir terribilmente serio. –Non sarà pericoloso?-
-Probabile, ma non c’è altro mezzo-, sentenziò il fabbro. –Torna da me il giorno che Twilir ti dirà e vedrai di persona la forgiatura della tua nuova spada-, mi disse dopo essersi ripreso.
-Gli farai vedere il Fuoco della Britannia?- gli chiese il giudice meravigliato.
-Certo. Lui non è un druido. Mi è più simpatico di voi-, rispose Calhorn ridendo e anche Twilir si unì a lui.
Fu triste tornare senza la mia spada ma se non c’era altro mezzo ero disposto ad aspettare.
-Non essere in pena per la tua arma-, cercò di rincuorarmi il druido durante il viaggio di ritorno. –E’ in buone mani. Tra meno di un anno la riavrai e sarà sicuramente magnifica.-
-Mi fido del tuo giudizio, amico mio. Oldin aveva visto giusto nelle viscere. Una separazione c’è stata.-
-Non crucciarti ora. Hai qualcuno che ti aspetta a casa e troveremo sicuramente qualcosa di utile da fare per un uomo dalle grandi doti come te.-
Inutile dire quale fosse stata la felicità di Caysia nel vedermi tornare sano e salvo. Nel momento in cui la vidi sulla soglia di casa la spada uscì totalmente dai miei pensieri e la mia mente fu colmata solo di lei.
Iniziai a vivere stabilmente con i druidi e, come era avvenuto per il Popolo del Leone, condivisi con loro le mie grandi conoscenze. In breve tempo, anche se non ero un iniziato ai misteri della religione celtica, iniziarono a considerarmi a tutti gli effetti uno di loro, come accadeva per Caysia, e molto spesso ero invitato assieme a lei alle riunioni del Consiglio. Quando giunse la bella stagione i druidi si misero in viaggio, vagando per tutta la Britannia per offrire i loro servigi e le loro conoscenza al popolo di quella terra. Viaggiai anche io, con Caysia, e assieme a noi venne Twilir.
-Sono vecchio e certi viaggio diventano duri da affrontare da solo-, motivò la sua decisione, ed entrambi fummo felici di avere con noi quell’amico che tanto aveva fatto per me.
Tornò la stagione fredda e una sera il custode della Legge bussò alla nostra porta. Quando aprii vidi che il suo volto era molto serio.
-E’ giunto il momento?- gli domandai sapendo già di cosa si trattava.
-Si. Domattina presto partiremo. Tra tre giorni sarà la notte benedetta dal Dio della morte e con il suo aiuto la tua spada verrà riforgiata.-
Il mattino seguente eravamo pronti prima che il sole sorgesse ma quale fu la nostra sorpresa quando Caysia annunciò che sarebbe venuta con noi.
-Non so se sia il caso, ragazza…-, iniziò a dire Twilir perplesso.
-Nulla mi farà cambiare idea, amico druido. Voglio essere presente anch’io alla rinascita della spada del mio amato. E poi non resterò più da sola mentre fuori gli spiriti dei morti vagano nell’oscurità, in attesa che qualcuno si ricordi di portarmi il “fuoco nuovo”-, insistette, riferendosi alla festa in onore della morte in cui si diceva che gli spiriti inquieti vagassero nella notte finché un nuovo fuoco, benedetto dai druidi, non avesse riacceso i focolari.
-E va bene-, acconsentì il giudice. –Ma non so come la prenderà Calhorn.-
Calhorn la prese bene. Conosceva Caysia di fama e si sentiva onorato di avere nella sua casa la grande veggente, persino imbarazzato per l’inadeguatezza della sua misera dimora.
-Non preoccuparti, mastro fabbro. Starò benissimo qui. Preoccupati soltanto del compito che ti sei assunto. La scorsa notte una visione mi ha avvertito che l’ora scelta è propizia per dare nuova vita a quel metallo.
-Davvero hai avuto una visione?- le chiesi sottovoce quando il fabbro si fu allontanato per preparare la sua fucina, anche se ancora nessuno l’aveva vista.
-No. E’ solo uno stratagemma per farlo lavorare con più convinzione-, rispose lei strizzandomi l’occhio.
Prima che la luna fosse alta nel cielo, Calhorn ci invitò a seguirlo nella sua fucina, dove ardeva il Fuoco della Britannia. Nonostante detestasse apertamente i druidi, aveva concesso anche a Twilir di seguirci, a dimostrazione del fatto che il fabbro considerava il giudice un uomo degno di rispetto e amicizia. Si accedeva alla fucina tramite un pertugio dietro la sua casa perché era situata all’interno della collina, in una caverna. Mentre scendevamo al lume della torcia tenuta alta da Calhorn, il calore si faceva sempre più intenso e, quando giungemmo a destinazione, era divenuto quasi insopportabile. Il fabbro, invece, sembrava a suo agio. Il calore era sprigionato da un fiume di fuoco che scorreva accanto allo spiazzo roccioso su cui ci trovavamo. Il Fuoco della Britannia, il sangue incandescente della terra, un torrente di lava che scorreva sotto la collina accanto alla casa del fabbro. Guardammo sbalorditi quello spettacolo affascinante e allo stesso tempo terrificante. Poco lontano da noi si trovavano l’incudine, una rastrelliera a cui erano appesi gli attrezzi di forgia assieme alla mia spada e una vasca di pietra vuota dove sarebbe stato versato il liquido di raffreddamento. Calhorn aveva un otre di pelle animale con se, probabilmente il liquido era li dentro.
-Resterete solo il tempo necessario per vedere la forza oscura della spada dissolversi e il metallo diventare incandescente. Poi dovrete andarvene mentre io resterò a lavorare tutta la notte. Non resistereste molto tempo a questo calore.
-E tu come fai a resistere? Abitudine?- domandò Twilir che sudava copiosamente almeno quanto me. Anche Caysia non stava molto bene e temevo che svenisse da un momento all’altro.
-Devo ringraziare Inahl-, rispose. –Il pagamento per Excalibur e stato la capacità di assorbire le energie della natura e di assoggettarle ai miei scopi. Ci riesco solo con il fuoco ma per me tanto basta.-
-Ecco perché l’aria si scaldava quando combattevamo!- esclamai un po’ indignato per quello stratagemma.
-Bando alle chiacchiere. Procediamo. La veggente non durerà molto qui dentro.-
Presa la spada, Calhorn si avvicinò al fiume di fuoco e vi si inginocchiò accanto. Infilò la lama nella lava incandescente e poi la ritrasse. Nessun segno che il metallo si arroventasse. Ripeté l’operazione e stavolta invocò l’aiuto divino.
-Sahmain, signore della notte, dissolvi con il tuo grande potere il maleficio che avvolge questa lama e permettimi di riforgiarla perché diventi uno strumento per aiutare il tuo popolo!- esclamò il fabbro a gran voce, stringendo la spada con quanta forza aveva. Gli occhi dello sciacallo del pomolo si illuminarono per un attimo, poi una nube nera si levò dall’impugnatura della spada, mentre l’artigiano quasi urlò per lo sforzo di resistere all’onda d’urto del potere di Sahmain. Quando il fabbro la estrasse dalla lava, il metallo si era fatto incandescente e poté iniziare la lavorazione.
-Andatevene ora ma tu, uomo del sud, torna tra qualche ora. Dovrai dare l’ultimo colpo di martello alla lama-, ci ordinò ancora ansimante per l’immane sforzo sostenuto.
Eseguimmo il suo comando senza perdere tempo. Caysia era al limite della resistenza e anche Twilir faticava a respirare. Quando fummo nuovamente all’aperto ringraziammo il cielo per il freddo che la notte portava con se e ci riempimmo i polmoni di aria fresca come se non ne assaporassimo da molto tempo.

-Perché Calhorn voleva che tu dessi l’ultimo colpo di martello?-
-Per legare la spada indissolubilmente a me piuttosto che al qualche altra divinità oscura-, spiego a mia nipote.

Quando tornai nella caverna vidi che l’uomo aveva lavorato con una velocità impressionante. Aveva modellato una nuova elsa e un nuovo pomolo, entrambi con motivi provenienti dalla tradizione celtica e la lama era ormai finita. Nella vasca di pietra un liquido rosso e puzzolente era servito per raffreddare il metallo e temprarlo.
-E’ sangue di agnello-, mi spiegò il fabbro, notando che osservavo il liquido cremisi con un certo disgusto. -Il sangue di innocenti genera una tempra unica nel suo genere, l’unica degna di una “spada del cielo”.-
-E’ finita?- gli chiesi per cambiare discorso.
-Manca un solo colpo di martello e lo dovrai dare tu. Nel momento in cui cali l’attrezzo sulla lama, pensa al nome che vuoi dare alla spada e non rivelarlo mai a nessuno in futuro. In questo modo nessuno riuscirà a sciogliere il legame che c’è tra te e l’arma.-
Presi il martello che Calhorn mi porgeva e pensai per qualche istante. Calai di colpo il martello sul punto che il fabbro mi indicava e la lama fu finita. Per ridare a Seth almeno una parte di ciò che gli era stato tolto, accompagnai quel colpo di martello ad un nome che onorasse il suo terribile potere. La chiamai “Uragano”.
-Ben fatto, Khalàd. Ora torna in casa perché devo terminare il lavoro assemblando le varie parti della spada.-
-Il tuo oro sarà li ad aspettarti con me-, gli assicurai prima di andarmene.
Era l’alba quando Calhorn ricomparve in superficie. La spada che mi portava era totalmente diversa da quella che gli avevo affidato quasi un anno prima, non tanto nella forma, quando nella sua stessa essenza. La lama era perfettamente liscia e più lunga, e si allargava con una linea morbida in prossimità della punta. Sembrava più leggera ma questo dipendeva, forse, dal fatto che aveva un bilanciamento perfetto.
-Non è affilata. Questo compito spetta a te che ne sei il padrone. Ora che ti è legata, nessun altro potrà espletare questo compito.
-Non so come ringraziarti, Calhorn-, gli dissi con sincera gratitudine consegnandogli un sacchetto pieno di aurei romani, molti di più di quelli che avevamo pattuito. Rimase sorpreso da quella piccola fortuna.
-Quest’oro basterà a farlo… assieme ad una promessa.-
-Che promessa?- gli chiesi senza capire.
-Che ti prenderai cura di questa splendida donna e non la lascerai mai sola-, rispose il fabbro inchinandosi a Caysia quasi come un cortigiano.
-Non temere, Calhorn. Non mancherò-, dissi sorridendo alla mia amata.

-E il resto della profezia di Caysia? L’arrivo di Roma? E Excalibur? Hai detto che ce l’hai tu!-
-Piano, Cristina. E’ un’altra storia questa e te la racconterò domani. Ora sono stanco.-
-Ma nonno!- piagnucola mia nipote come una bambina piccola.
-Pazienza, piccola mia. Pazienza.-

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Questo libro mi sta piacendo sempre di più, è veramente interessante...aspetto con ansia i prossimi capitoli. Buon lavoro!!!

Luke Saints ha detto...

Grazie e attendi fiducioso.

Silvano Bottaro ha detto...

"...Inizialmente avevo pensato che il posto fosse abbandonato poi, guardando bene..." grazie, luke! "...E’ da molto che manco. Spero di avere abbastanza..." tempo per recuperare.
Ciao

Luke Saints ha detto...

Originale come commento! Grazie davvero!